[Chiama l'Africa • 10.12.00] "Di fronte alla descrizione di un'Africa afflitta da problemi etnici e incapace di trovare una sua via allo sviluppo e alla democrazia dobbiamo lanciare una sfida culturale".

Breve resoconto dell’Assemblea Nazionale di Chiama l’Africa

L’incontro è stato introdotto da Jean Leonard Touadi, il quale ha fatto un’analisi sulla situazione attuale del continente africano supportata da considerazioni di ordine politico, economico, culturale e religioso. L’Africa moderna,  dopo il crollo delle ideologie, si trova al centro di una “geopolitica del cinismo”, ha detto Touadi,  in cui quello che conta è soltanto la logica del profitto e degli interessi economici.  Nell’insieme si assiste da secoli ad un processo di destrutturazione della società africana a vantaggio degli interessi economici e politici delle principali potenze occidentali. All’interno di questo processo secolare di impoverimento sono tuttavia sempre esistiti “nuclei di resistenza”, luoghi di innovazione e di elaborazione di sistemi produttivi, riproduttivi e distributivi alternativi alla logica dominante. E’ dalle elaborazioni di questi gruppi di resistenza che bisogna partire per lanciare una vera e propria ricostruzione della società africana, sulla base dei valori che le sono propri e in alternativa ai valori mercantilistici del profitto. Bisogna ripartire da queste peculiarità e lasciare all’Africa la sapienza, la volontà e il tempo per seguire questo processo, per ricostruire le proprie società dal basso, a partire dall’educazione e dalla formazione di una classe di intellettuali più aderenti alle peculiarità delle culture tradizionali. Bisogna lasciare inoltre che l’Africa trovi la sua via alla democrazia, riconoscendole il diritto di sbagliare. Questa analisi è stata supportata e completata dall’intervento di Eugenio Melandri che ha richiamato alcuni recenti tentativi di lanciare una “ricolonizzazione” dell’Africa. L’Africa in realtà non è mai stata decolonizzata, se non ad immagine e somiglianza della cultura europea. Di fronte alla descrizione di un’Africa afflitta da problemi etnici e incapace di trovare una sua via allo sviluppo e alla democrazia dobbiamo lanciare una sfida culturale. L’Africa può. Questo continua ad essere lo slogan di Chiama l’Africa. A patto che si cominci con il togliere gli impedimenti, a patto che le potenze occidentali (Europa ed Usa ) facciano un passo indietro.Non dobbiamo ricolonizzare l’Africa, ma farci colonizzare dai “gruppi di resistenza” di cui ha parlato Touadi, da quella società civile organizzata che – contrastando la cultura del fatalismo africano – cerca di risolvere i problemi e si adopera per la costruzione di un futuro migliore.Dalle analisi ai bilanci dell’anno appena concluso e alle ipotesi operative per il futuro. Il presidente Secondo Ferioli ha descritto l’itinerario delle mostre e delle iniziative svolte durante l’anno nelle varie città italiane, rispetto alle quali bisognerà valorizzare il rapporto già molto valido con le associazioni coinvolte, con una presenza attenta e puntuale sui territori. Per garantire la possibilità di continuare a svolgere un ruolo di servizio e nello stesso tempo di cambiamento culturale nella società italiana bisognerà investire maggiormente nella progettualità e incrementare le risorse economiche.Gli impegni per il futuro: – L’Africa può come tesi politica, attraverso cui ribadire le capacità, le ricchezze, e la dignità dell’Africa- Una prosecuzione dell’impegno contro le guerre dimenticate e il commercio delle armi- Una concertazione dell’informazione sull’Africa in Italia e in Europa, attraverso una maggiore attenzione al coordinamento di tutte le realtà già impegnate in questo ambito- L’apertura ad una dimensione più europea- Un potenziamento dell’impegno nella formazione e nell’educazione con una maggiore presenza all’interno delle scuole- La costituzione di una commissione per l’autofinanziamento che analizzi la fattibilità di alcune proposte presentate in assemblea (la fornitura a enti e istituti pubblici e privati di pacchetti formativi per operatori interculturali; l’organizzazione di campi di lavoro per la raccolta e il riuso di materiale riciclabile che ci ponga in stretto legame con l’economia informale africana).