[di Giulietto Chiesa • 04.06.02] Lo stato dell'informazione-comunicazione, in Italia e nel mondo, è altamente preoccupante. Il pluralismo dell'informazione è più apparente che sostanziale. E la tendenza è al peggioramento.

DEMOCRAZIA NELLA COMUNICAZIONE

Ciò che milioni e milioni di persone ascoltano, leggono -e soprattutto vedono- ogni giorno è definito da gruppi ristretti, che decidono ciò che il grande pubblico deve sapere e ciò che non deve sapere. Il cosiddetto “quarto potere” è in gran parte ormai così strettamente intrecciato al potere politico, e dipendente da forti interessi privati, detentori e controllori dei media, da aver rinunciato quasi del tutto a funzioni di controllo e di critica. Mai il nostro paese era stato così dominato da testate che agiscono come giornali “di partito” (anche se dichiaratamente e pomposamente autoqualificatisi come “indipendenti”). La situazione italiana -di totale monopolio televisivo e di quasi totale monopolio mediatico, ulteriormente entrambi inquinati da un gigantesco conflitto d’interessi- è un caso limite. Altrove le cose sono solo leggermente meno gravi. La soverchiante maggioranza dei flussi di comunicazione (l’informazione in senso stretto è un sottoinsieme della comunicazione, e non è il principale) è ormai rodotta da un pugno di colossi mondiali, tra cui spiccano conglomerati impressionanti per dimensione e potenza come America on line – Time Warner, Vivendi International [Vivendi Universal, NdE], Sky News, Bertellsman [Bertelsmann, NdE] ecc.
La società globale, la cosiddetta “società della conoscenza”, è letteralmente nelle mani dei produttori di una gigantesca “fabbrica dei sogni”, che lavora all’istupidimento collettivo e serve -essendone al tempo stesso figlia e sorella- gl’interessi della globalizzazione americana. Se c’è un luogo dove questa globalizzazione ha già espresso tutta la sua forza e virulenza, questo è il campo della comunicazione. È proprio in questo campo che si istituzionalizzano e si riproducono false conoscenze, pregiudizi, luoghi comuni e si rafforza la costruzione sociale della realtà dominante. Costruzione cui non sfuggono gli stessi operatori della comunicazione che funzionano da ripetitori. Il criterio dominante, anzi esclusivo, di questi conglomerati è quello del mercato, in cui tutto (informazione, intrattenimento, ovviamente pubblicità) è parte integrante, sinergica, del processo di creazione dei bisogni, per una produzione forzosa, artificiale, di merci. Anche l’informazione, i processi culturali di massa, l’intratenimento, sono essenzialmente merci.
Come tali sono usati dai loro proprietari e creatori in funzione delle esigenze del mercato, e soprattutto dell’organizzazione del dominio. Il sistema mediatico finisce con l’imporre una definizione della realtà selezionando ciò che è rilevante o di pubblico interesse, producendo automatismi, indebolendo ogni forma di riflessività. Attraverso questo processo di definizione e di selezione della realtà si produce un modo di pensare e di conoscere acritico che si cristallizza come un vero e proprio sfondo cognitivo. Ma proprio questo modo di conoscere, “ciò che tutti pensano”, è usato poi dai media come fonte di legittimazione per la produzione e la selezione delle notizie.
L’informazione diviene così tautologica, riproducendo la realtà sociale che ha contribuito a creare. Basti pensare all’informazione sulle guerre in atto che, attraverso la costruzione delle notizie, l’assunzione – sacralizzazione di stereotipi, riproduce il senso comune sulla inevitabilità e “naturalità” della guerra. Ne consegue che, per essi, è del tutto indifferente, comunque secondario, che vi sia un rapporto tra ciò che producono e la realtà. Se serve -e serve sempre ai proprietari della “fabbrica di sogni”- la realtà può essere sostanzialmente modificata nel passaggio verso la sua raffigurazione virtuale, abbellita o incupita non importa, comunque manipolata, in funzione delle esigenze del mercato e, soprattutto, dell’organizzazione del dominio.
Estreme e miserabili propaggini italiane di queste logiche sono le applicazioni operative dell’Infotainment (informazione più intrattenimento) e delle soft news (notizie leggere): cavalli di Troia introdotti negli spazi informativi residui con lo scopo di ridurre ulteriormente il loro contenuto, fino ad annullarlo del tutto. Giornali e televisioni diventano sempre più auto-referenziali, parlano di sé, tra di loro e con il potere, si riempiono di pettegolezzi, amplificano le inezie e le pongono al centro dello schermo (o delle prime pagine), “dimenticando” i problemi della gente, le contraddizioni della società e del mondo, la cultura, i valori civili. La disgregazione e la svalutazione della sfera pubblica, ad esempio, viene rafforzata dai media che tendono a spettacolarizzare sempre più il privato a scapito del discorso pubblico. Le apparentemente innocue e leggere rubriche d’intrattenimento rendono sempre più confusi a livello esperenziale e cognitivo i confini tra pubblico e privato.
Responsabilità collettive e individuali, diritti e doveri vengono annegati in un mare di lacrime e di false emozioni. Si sostiene che questo è ciò che il pubblico desidera, ed è in parte vero. Ma si dimentica di dire perché lo vuole e come e da cosa venga nutrito questo desiderio; si dimentica di dire che il pubblico desidera e pensa ciò che è socialmente disponibile; si dimentica di dire che quello stesso pubblico viene deprivato quotidianamente dai media e dall’organizzazione sociale di risorse che possano indurlo ad una qualche riflessività, ad andare oltre il proprio impoverito piccolo io.
Ma consegue da tutto ciò che milioni di persone sono sottoposte incessantemente a un “rumore di fondo” che viene deciso e creato in luoghi senza alcuna legittimazione democratica e che influenzano tuttavia la loro vita in modo radicale . Il grande pubblico non sembra accorgersi che la comunicazione è sempre più decisiva per determinare non solo il livello d’informazione di una società, la sua cultura collettiva, ma soprattutto il suo livello emozionale e perfino il suo livello etico. Pochi capiscono che la scuola e la famiglia (ma anche l’oratorio e la parrocchia) sono già state travolte dalla pervasività e dalla potenza dei messaggi comunicativi cui sono sottoposte le giovani generazioni. La discesa del tasso d’intelligenza e dei valori morali e civili è scandita dagli editti quotidiani dei vari “Auditel”, divenuti inappellabili giudici del nostro vivere comune, del nostro modo di consumare, perfino di divertirci. Inappellabili, insindacabili, perché determinanti nel definire le correnti di milioni di euro’investimenti pubblicitari.
Nuoce alla democrazia? Peggio per la democrazia, perché non rientra nei calcoli aziendali. Nuoce all’educazione civica? Peggio per l’educazione civica. Nuoce all’equilibrio psichico dei telespettatori? Peggio per loro. Quasi nessuno si prende cura del fatto che l’homo videns è una variante antropologica che modifica i termini di tutte le più importanti componenti della vita sociale, e che non occuparsene è cosa di gran lunga più irresponsabile di quanto sarebbe il decidere l’abolizione di qualunque sistema d’istruzione pubblica. La contro-informazione è sempre stata -ed è- uno strumento importante per aiutare il formarsi e l’estendersi dello spirito critico, per fornire contenuti diversi da quelli ammanniti dal sistema mediatico, per incoraggiare la partecipazione democratica alla formazione dell’opinione pubblica. La contro-informazione è troppo spesso anche un ghetto, nel quale ci si rinchiude dimenticando che la stragrande maggioranza dei fruitori di informazione resta tagliata fuori. Una sola serata di Bruno Vespa annichilisce lo sforzo compiuto da migliaia di attivisti per emancipare un pubblico necessariamente succube di meccanismi che non può conoscere (perché nessuno glieli ha mai spiegati). Et pour cause.
Ed è perfettamente inutile spegnere il televisore, perché questa scelta individuale contro la stupidità non risolve il problema dell’istupidimento collettivo, della lobotomizzazione di massa. E’ una constatazione: milioni di persone questa sera, e domani, e sempre, non spegneranno i loro televisori. Se dunque, come diceva Marshall Mc Luhan, non possiamo difenderci come un “polipo che lotta contro l’Empire State Building”, diviene indispensabile passare alla carica e -sempre citando Mc Luhan- “prenderli a calci negli elettrodi”. Affrontando il problema in termini politici, promuovendo un progetto capace di investire il sistema mediatico nel suo complesso, coinvolgendo l’intero processo della comunicazione -addetti, strumenti, linguaggi- avviando una “critica pratica” sistematica, multilaterale, distribuita sul territorio, continua. Una intenzione diffusa, che nei fatti già esiste, ma, allo stato attuale disgiunta in 100, mille gocce, ciascuna isolata dalle altre. Gruppi, circoli, associazioni, soggetti individuali, istituti, sono variamente impegnati in un prezioso lavoro d’informazione e contro-informazione, ma che non può -così com’è- sfidare con risultati apprezzabili, l’intero sistema mediatico. Lo stesso risveglio della sensibilità collettiva, ravvisabile in quel potente e complesso arco d’esperienze che prende le mosse da Seattle 1999 per dispiegarsi fino ai più recenti fermenti movimentisti della società civile, è certamente una condizione necessaria ma non sufficiente ad aprire un varco adeguato nella blindatura dell’informazione. Ci si trova dunque di fronte ad una singolare congiuntura, nella quale al rinnovato desiderio di partecipazione ed alla straordinaria convergenza sui contenuti, si contrappone una decisa restrizione degli spazi democratici dell’informazione. Su questo terreno, diviene essenziale ampliare la capacità propositiva, tesaurizzare le molteplici esperienze, garantirne la visibilità, fino a raggiungere, sensibilizzare, coinvolgere attivamente coloro i quali del sistema mediatico sono sempre stati considerati semplici, e passivi fruitori. A fronte di questo complesso d’esigenze e con l’obiettivo di garantire risposte efficaci nasce oggi MegaChip. Una proposta aperta all’intero circuito della comunicazione e dell’informazione. Realizzata, attraverso l’apporto essenziale di molteplici esperienze operative e progettuali, ciascuna con propri referenti e competenze, ma con la finalità di rivolgersi congiuntamente all’essenziale battaglia per la democrazia nel sistema mediatico. Le competenze e gli obiettivi di MegaChip sono dunque: Avviare un osservatorio democratico sul sistema mediatico. Attraverso la collaborazione con i più rigorosi e competenti esperti del settore, effettueremo una verifica analitica dell’intero sistema; strumenti e segni, contenuti e mistificazioni, prodotti ed effetti. Un’indagine condotta a partire dall’immenso patrimonio già presente su Internet -coll’obiettivo di realizzare una banca dati dedicata-, fino a giungere ad una ricerca scientifica sull'”homo videns”, evidenziando la complessa varietà d’effetti indotti dai messaggi televisivi sul pubblico. La stessa verifica, puntuale e sistematica, sarà estesa al mondo della produzione giornalistica, pubblicitaria, cinematografica, radiofonica. Garantendo al contempo strumenti operativi e visibilità alle realtà coinvolte nell’iniziativa. In estrema sintesi dunque una lettura critica complessiva e permanente sullo “stato dell’arte”, componente essenziale ai fini della battaglia per la democrazia nella comunicazione e per l’elaborazione di un’efficace piattaforma progettuale. Offrire una competente organizzazione di servizio agli operatori della comunicazione. MegaChip si prefigge di divenire un punto di riferimento essenziale per l’intero movimento della comunicazione democratica. Un libero spazio informativo, puntualmente mirato e qualitativamente garantito, a disposizione degli operatori del settore. Dall’aggiornamento su tutto quanto prodotto in rete riferibile all’ambito mediatico, fino alla ricerca delle intelligenze più vigili e sensibili. Essenziale sarà dunque l’ambito operativo per la formazione delle competenze sull’informazione-comunicazione. Laddove vi è un vuoto completo d’attenzione, nel quale attualmente passano le più scandalose, e moralmente degradanti, forme di stravolgimento della professione giornalistica. Saranno inoltre coinvolte in maniera decisiva le organizzazioni dei consumatori; considerando la comunicazione alla stregua di un consumo primario, reputiamo essenziale garantire una tutela di primo piano. Garantire un univoco riferimento politico-sociale. E’ crescente, ed oramai diffusa, la consapevolezza di essere minacciati non da un fantomatico nemico esterno all’Occidente, ma da forze potenti che nascono dall’interno dell’Occidente. Tuttavia, sul terreno dell’etica, della correttezza, della qualità della comunicazione, costruttori di notizie e disinformatori sono più deboli di quanto sembrano, perché sono servi di tutti i padroni. La loro apparente invulnerabilità deriva dal fatto che non sono mai stati realmente sfidati. MegaChip vuole dunque dare battaglia, con obiettivi mirati e dichiarati. Un’azione politica e culturale contro il sistema mediatico così come funziona e opera, per incalzarlo dovunque sia possibile e imporgli correttezza informativa e comunicativa. Una prassi di sensibilizzazione e pressione nei confronti della rappresentanza politica. Una capacità propositiva costante per assicurare qualità, attendibilità e visibilità all’intero progetto, fino a divenire, laddove non sia garantita sufficiente permeabilità ai contenuti, riferimento democratico esso stesso. MegaChip è dunque un progetto articolato, che fa della sua complessità un punto di forza. Vogliamo unire le mille gocce in un’esperienza comune, capace in prospettiva, di agire in forme coordinate e simultanee, divenendo in questo modo, “notizia”. Valorizzeremo le molteplici specificità in una proposta comune, salvaguardando l’identità di ciascuno. Questo ci proponiamo di fare. Su questo apriamo una discussione con tutti coloro che avvertono l’esigenza strategica di affrontare questo inedito versante di lotta. Lo riteniamo un passo decisivo per l’irrinunciabile tutela della democrazia, dei diritti sociali e civili, e della pace. (Di Giulietto Chiesa e tanti altri, Roma, 25aprile 2002).