[di Giulio Girardi • 21.01.02] Per cercare di capire cio' che sta accadendo dopo l'11 settembre nel mondo, e quale sia in particolare il senso di questa guerra, per capire cio' che sta cambiando e cio' che non sta cambiando nella storia, vorrei tentare una strada, quella di esplorare le ideologie cui si ispirano i protagonisti, che sono il potere americano con i suoi alleati, impersonato da George Bush, e l'integralismo islamico, impersonato da Osama Bin Laden.

GIULIO GIRARDI: I FONDAMENTI IDEOLOGICI DELLA GUERRA MONDIALE IN CORSO

Richiamando l’attenzione sui fondamenti ideologici della guerra, non intendo certo considerarli come la sua spiegazione adeguata. Il ruolo dei fattori economici e politici rimane in essa decisivo, ma l’esplorazione delle ideologie mi pare importante per capire il corso oggettivo della guerra ed il consenso popolare che la sostiene dalle due parti. Tale esplorazione dovrebbe permetterci di capire perche’ grandi masse umane si stiano affrontando ed uccidendo, perche’ nei due campi vi siano gruppi numerosi disposti a rischiare la vita per la loro causa. Ma questo apporto mi pare interessante anche per una ragione opposta: esso dovrebbe consentirci di cogliere non solo cio’ che i combattenti dei due campi credono, ma anche le ragioni per cui essi non credono alle realta’ che ad un osservatore esterno sembrano evidenti. Perche’, in altre parole, analisi e valutazioni che ad un osservatore esterno sembrano evidentemente errate, possano contare su un consenso cosi’ massiccio. Vogliamo cioe’ riferirci alle ideologie nel loro duplice significato di illuminazione della realta’ e di occultamento di essa. E’ un problema epistemologico, dicevo, all’apparenza astratto, ma in realta’ estremamente concreto perche’ in questo e’ uno degli aspetti piu’ decisivi di questa guerra, ossia il consenso maggioritario col quale nonostante le stragi di innocenti che va perpetrando e’ stata accolta da una parte e dall’altra. Problema quindi politicamente e tragicamente centrale: quello della complicita’ delle vittime con i loro carnefici. Questo approccio costituisce inoltre la premessa da cui partire per affrontare la domanda a mio parere decisiva: e’ inevitabile, come si afferma da tanto, sia in occidente sia all’interno dell’integralismo islamico, schierarsi da una parte o dall’altra? E’ inevitabile, come si afferma in occidente, schierarsi con la democrazia o con il terrorismo, con la civilta’ o con la barbarie? Oppure esiste una via alternativa? E in tal caso quale ne e’ il contenuto positivo? Se poi come mi sembra evidente le due ideologie di cui siamo in presenza assolvono l’una e l’altra una funzione di occultamento e deformazione della realta’, si impone la domanda: esiste un punto di vista sulla storia che consenta di avvicinarsi maggiormente alla realta’, dissipando le nebbie dell’ideologia? Finalmente, l’esplorazione dei fondamenti ideologici della guerra e del consenso di cui essa gode, e’ il necessario punto di partenza di qualunque strategia alternativa. Contestare la guerra significa in primo luogo sradicare il consenso popolare su cui essa poggia, e rafforzare il grido insurrezionale della coscienza mondiale contro di essa. Ritengo quindi che su questo tema dovrebbe essere richiamata con forza l’attenzione del Forum Mondiale di Porto Alegre. Tenteremo quindi di analizzare il punto di vista del potere nordamericano ed occidentale e il punto di vista dell’integralismo islamico, per poi interrogarci sulla possibilita’ di un punto di vista alternativo.

Il punto di vista del potere nordamericano e’ evidentemente quello che domina il sistema politico ed informativo mondiale. Esso si esprime negli sforzi e nelle decisioni delle autorita’ degli Usa, del governo e delle camere, degli alleati occidentali, della Nato, etc. Per quanto ci riguarda direttamente esso si esprime negli sforzi e nelle decisioni delle autorita’ italiane, della presidenza della Repubblica, del governo e delle camere. Alle ragioni oggettive che certamente fondano questa scelta di campo, si aggiunge la convinzione che solo facendo proprio il punto di vista dei grandi sara’ possibile per l’Italia sedersi oggi e domani al tavolo dei grandi, e sara’ possibile al governo oggi in carica conquistare in Italia e all’estero la credibilita’ che finora gli e’ mancata. Questo punto di vista viene assunto ed argomentato da gran parte dei mezzi di comunicazione di massa degli Usa e dei Paesi alleati. Esso e’ condiviso dalla grande maggioranza del popolo americano e dagli altri popoli occidentali, tra i quali il nostro. Ed e’ questo largo consenso che consente alle autorita’ di procedere con tanta sicurezza. Cio’ che considero particolarmente importante e preoccupante, e’ il fatto che questo punto di vista sia condiviso anche da quasi tutti i partiti e movimenti di sinistra, i quali hanno capito che solo allineandosi alle scelte del potere nordamericano ed occidentale sul tema della guerra e del terrorismo, come su quello della globalizzazione, potranno rimanere al potere nei loro paesi, o riconquistarlo se lo hanno perduto, anche se queste scelte provocano per la sinistra e per molti dei suoi militanti, una drammatica crisi di identita’, un’angosciosa serie di interrogativi sul significato della loro militanza. Ma vogliamo esplorare un poco piu’ da vicino il punto di vista del potere nordamericano nei confronti del terrorismo. Lo faro’ prendendo come punto di partenza il discorso pronunciato da George W. Bush il 20 settembre, nel quale il presidente formulo’ la sua dichiarazione di guerra al terrorismo e ne illustro’ il senso. Molti commentatori hanno subito qualificato questo discorso come il piu’ importante della presidenza Bush. La BBC lo ha considerato addirittura il piu’ significativo di un presidente americano dopo la seconda guerra mondiale. Qualche aspetto saliente del discorso. Alla comunita’ internazionale Bush rivolse un ammonimento categorico: in questa guerra non e’ possibile neutralita’, o con noi o con i terroristi. Peraltro sappiamo che Dio non e’ neutrale. La definizione dell’obiettivo della guerra implica l’identificazione del nuovo nemico principale: nell’immediato esso veniva indicato nel milionario saudita Osama Bin Laden e nella rete terroristica internazionale che egli dirige e finanzia, Al Qaeda. Ma la guerra intende colpire tutte le organizzazioni terroristiche del mondo e i governi che le appoggiano. Bush caratterizza queste organizzazioni come una rete, termine che attribuisce loro una certa unita’ e coordinazione mondiale, riconoscendo al tempo stesso che esse non sono facilmente localizzabili. Si comprende cosi’ perche’ questa guerra sara’ diversa dalle altre, in cui il nemico era uno stato, o un insieme di stati chiaramente organizzati. Si comprende anche perche’ sara’ prevedibilmente assai lunga. In questo discorso Bush evita il termine crociata che aveva usato precedentemente, ma non evita di satanizzare il nemico. Si tratta per lui di assassini, eredi di tutte le ideologie assassine del secolo XX. Sacrificando vite umane per servire le loro visioni radicali, abbandonando tutti i valori eccetto la volonta’ di potenza, essi seguono il cammino del fascismo, del nazismo e del totalitarismo, e seguiranno il loro cammino anche nel sepolcro della storia della menzogne fallimentari. Quale il motivo di un comportamento cosi’ abietto? Bush non si preoccupa molto di approfondire una questione cosi’ importante. La sua riposta e’ assai semplice: la loro motivazione, oltre la volonta’ di potenza, e’ l’odio, l’odio della democrazia e delle liberta’. Essi odiano cio’ che vedono in questa camera, un governo democraticamente eletto, ci odiano per le nostre liberta’. Sebbene Bush abbia escluso espressamente che il nemico degli Usa e dell’Occidente siano i musulmani, ed abbia evitato di caratterizzare la guerra come una crociata, la sua dichiarazione di guerra e la sua caratterizzazione etica del nemico, banda di assassini mossi dall’odio, dall’invidia e dalla volonta’ di potenza, imprime alla guerra il carattere di un conflitto mondiale fra il bene e il male, che prolunga ed attualizza quello del secolo XX con il comunismo ateo, considerato il regno del male, un conflitto tra il bene e il male, tra la civilta’ e la barbarie, la liberta’ e il totalitarismo, nei confronti del quale tutti i popoli e tutte le persone del mondo sono chiamati a schierarsi. Proclamando poi che Dio non e’ neutrale, Bush afferma solennemente che il punto di vista di Dio coincide con il suo, e con quello del potere occidentale. Questa convinzione permettera’ agli strateghi della guerra di denominarla in un primo tempo giustizia infinita. In tale prospettiva quindi, il conflitto non e’ solo etico, tra bene e male, ma e’ anche religioso, tra Dio e i suoi nemici. La parola crociata e’ scomparsa, ma la sostanza del suo significato rimane intatta. Nei confronti del terrorismo islamico e’ esplosa unanime la condanna, non solo da parte degli Usa e degli stati occidentali ed arabi che hanno aderito alla guerra, ma anche di quelle minoranze che in tutte le parti del mondo, contestano la validita’ della guerra come risposta al terrorismo. Solo quindi un atteggiamento settario puo’ qualificare i fautori del rifiuto della guerra come conniventi con il terrorismo. Ma e’ comprensibile la domanda che i fautori della guerra rivolgono a quanti ne contestano la validita’: qual e’ allora la vostra risposta al terrorismo? Il presupposto alla domanda e’ molto chiaro: per rispondere al terrorismo altre vie diverse dalla guerra non esistono. Si tratta comunque di una domanda molto esigente, alla quale non possiamo certamente sottrarci, e che ci impegna a porre in atto un’ampia ricerca popolare partecipativa.

Ma tale ricerca deve partire da una analisi approfondita del terrorismo islamico e delle sue ragioni. Infatti solo comprendendo la sua natura e la sua genesi potremo decidere come combatterlo con efficacia. I dirigenti nordamericani ed occidentali, non hanno finora compreso la vitale importanza di quest’analisi per elaborare una strategia adeguata di risposta. Per cogliere il senso che Bin Laden e i suoi seguaci attribuiscono alla loro lotta e’ necessario partire dall’analisi che essi compiono della politica nordamericana e quindi dell’attivita’ occidentale di cui essa e’ l’espressione. Questa analisi si incentra su una vigorosa ritorsione del terrorismo contro gli Usa ed il loro complice principale, lo stato d’Israele. Gli americani ci accusano – dice Bin Laden – di essere terroristi. Ma sono loro i piu’ grandi terroristi della storia. Ovunque volgiamo lo sguardo, vediamo gli Usa come leader del terrorismo e del crimine nel mondo. Gli Usa non considerano un atto di terrorismo lanciare una bomba atomica in un paese lontano migliaia di miglia. Quelle bombe sono state gettate contro intere popolazioni, comprese donne, bambini e anziani. E ancora oggi in Giappone rimangono tracce di quelle bombe Ma il terrorismo e l’imperialismo nordamericano che Bin Laden denuncia con particolare virulenza e’ quello di cui sono vittime innumerevoli paesi islamici. Nei loro confronti l’imperialismo nordamericano rappresenta una fatidica incursione, essi sono vittime di aggressione militare, di sfruttamento e usurpazione economica, di attacchi all’egemonia e ai valori dell’Islam. E’ chiaro, dice, che non esiste alcun dovere piu’ importante che respingere il nemico americano fuori dalla Terra Santa. Non c’e’ altro dovere dopo la fede che combattere il nemico che sta corrompendo la vita e la religione. Se non c’e’ altro modo di cacciare il nemico tranne una mobilitazione collettiva di tutti i musulmani, allora i musulmani hanno il dovere di ignorare le insignificanti differenze che sussistono tra loro. Sono queste incessanti aggressioni perpetrate dall’imperialismo nordamericano ed ebraico, non la liberta’ e la democrazia, che secondo Bin Laden generano nei musulmani risentimento e odio e quindi l’esplosione del terrorismo. L’ostilita’ che l’America continua a dimostrare contro i musulmani ha avuto come reazione una crescita d’odio contro l’America e l’Occidente. Se il governo americano e’ serio quando dice di voler fermare  gli attentati all’interno del territorio degli Usa, allora che la smetta di provocare i sentimenti di un miliardo e duecento milioni di musulmani. Allora questa reazione non si puo’ caratterizzare come antiamericanismo, ma come antimperialismo e piu’ precisamente come antimperialismo islamico.

Confrontando dal punto di vista degli oppressi e delle oppresse come soggetti alternativi, i due progetti storici che ho cercato di caratterizzare, mi colpiscono nel loro rapporto due aspetti che sembrerebbero contrastanti. Da un lato essi sono radicalmente opposti tra loro. Dall’altro presentano tra loro profonde affinita’. La contrapposizione tra i due progetti e’ scontata, dato che essi ispirano i due campi nemici della guerra. Sorprendente e sconvolgente e’ invece constatare  la profonda affinita’ tra i due nemici mortali e, chiamiamoli con il loro nome, tra i due opposti terrorismi. Constatazione che mi sembra importante anche per scoprire le vie dell’alternativa. Nella prospettiva di Bin Laden infatti gli aggressori diventano vittime e le vittime aggressori. Terroristi non sono piu’ gli islamici ma i nordamericani. Difensori della liberta’ e di giustizia infinita non sono piu’ gli occidentali ma gli islamici mobilitati. Gli eroi e martiri della guerra non sono i soldati occidentali o i pompieri di New York, ma i giovani musulmani che sacrificano la vita per la causa, in particolare quelli impegnati in attacchi suicidi. I valori etico- politici chiamati ad affermarsi su scala mondiale non sono piu’ quelli occidentali e cristiani, ma quelli islamici. Alla coalizione internazionale convocata dagli Usa e costruito intorno all’occidente si contrappone la comunita’ degli stati islamici fedeli alla loro religione. La condanna non colpisce piu’ gli stati che ospitano terroristi, ma quei paesi islamici che difendono gli Usa, che ospitano le loro truppe, che combattono al loro fianco contro altri paesi islamici e tradiscono quindi la loro religione. Il regno del bene diventa regno del male e viceversa. Dio stesso cambia campo passando dallíoccidente all’islam. Sono i musulmani e non piu’ i nordamericani a dichiarare che in questa guerra Dio non e’ neutrale, che “Dio e’ con noi”. D’altro lato si riscontrano tra i due approcci profonde e sconvolgenti affinita’. Gli uni e gli altri si considerano aggrediti e quindi vittime. Gli uni e gli altri si considerano impegnati a combattere il terrorismo. Gli uni e gli altri demonizzano il loro nemico e lo pongono come terrorista, come assassino, anzi come satanico. Gli uni e gli altri ritengono di essere difensori della liberta’ e della giustizia contro gli oppressori, di rappresentare quindi il regno del bene e di essere in guerra contro il regno del male. Gli uni e gli altri pensano che l’attacco sferrato contro un membro della loro alleanza  deve essere percepito da ciascuno come sferrato contro di lui e provocare di conseguenza la sua reazione militare. Gli uni e gli altri ritengono di stare combattendo una guerra giusta, anzi una guerra santa. Gli uni e gli altri perseguono per volere di Dio  un progetto imperialista, l’instaurazione cioe’ di un ordine mondiale egemonizzato dai loro valori. Gli uni e gli altri ritengono che il loro “destino manifesto” di egemonizzare il mondo, possa e debba prevalere sul diritto di ogni popolo all’autodeterminazione. Gli uni e gli altri ritengono che il fine da loro perseguito giustifichi tutti i mezzi, in particolare il ricorso alla violenza militare ed economica. Ritengono pertanto che sia giusto sacrificare alla causa anche le vite di tantissimi innocenti, comprese quelle di donne e bambini. Gli uni e gli altri pongono tutti i paesi del mondo di fronte a questo dilemma: o con noi o contro di noi, non vi e’ alternativa. In una parola esiste un pensiero unico imperniato sul diritto del piu’ forte, che accomuna il progetto storico occidentale e quello dell’integralismo islamico. Tra i due progetti imperiali allora e’ inevitabile la scelta? Se i due progetti storici che si scontrano sono l’uno e l’altro imperialisti e terroristi non e’ per nulla evidente che sia ineludibile la scelta di campo fra di essi. E’ anzi ineludibile dal punto di vista degli oppressi e delle oppresse la necessita’ di respingerli entrambi. Respingerli, ma in nome di che cosa? In nome di quale punto di vista? Di quale strategia? Di quale progetto?
Al punto di vista degli oppressori dei due campi stiamo contrapponendo proprio il punto di vista degli oppressi e delle oppresse che emergono in tutto il mondo alla coscienza e alla dignita’ di soggetti alternativi. Punto di vista che e’ stato in realta’ la nostra bussola in questa analisi e deve continuare ad esserlo nell’elaborazione della strategia. Punto di vista che fonda una cultura alternativa a quella dei due imperialismi, una cultura cioe’ della nonviolenza liberatrice, di una nonviolenza intesa nel suo significato positivo e creativo, capace quindi di scoprire e valorizzare la forza del diritto, della verita’, della giustizia, della solidarieta’ e dell’amore. Capace quindi di scoprire e valorizzare le risorse intellettuali, morali e politiche degli oppressi e delle oppresse. Se quindi all’origine del terrorismo islamico vi e’ l’immensa collera e la profonda umiliazione provocata dall’aggressione americana nei paesi islamici, e’ evidente che scatenando nuove guerre contro paesi islamici non si sradica il terrorismo, ma lo si alimenta ed estende tragicamente. La risposta valida al terrorismo islamico e ad altri terrorismi antioccidentali, puo’ consistere solo nell’estirpare le radici, cioe’ il progetto e la pratica imperialista dell’occidente, nel porre cioe’ le basi di una civilta’ alternativa. Paradossalmente quindi la risposta valida la stanno dando i movimenti impegnati nell’elaborazione dell’alternativa alla globalizzazione neoliberale. Movimenti che il potere occidentale denuncia appunto come terroristi e che reprime violentemente. Ma nell’immediato il nostro compito prioritario e’ quello di invertire la tendenza storica rafforzando l’insurrezione e la ribellione della coscienza popolare, che sta gia’ scuotendo e sconvolgendo il mondo. Che sta sconvolgendo quel consenso che rende possibili le stragi perpetrate dal neoliberalismo e dalla guerra. Il terrorismo ci obbliga anzitutto a prendere coscienza piu’ accuratamente della minaccia di morte che per la gran parte dell’umanita’ e per la stessa madre terra, proviene non tanto dal terrorismo antioccidentale, quanto dal terrorismo scatenato dall’economia e dalla politica neoliberale. Peraltro l’insurrezione della coscienza popolare non ha come oggetto solo minacce di morte, ma anche potenzialita’ di vita e di speranza. Vorrei in parte contraddire e in parte integrare il punto di vista a questo riguardo di Giulietto Chiesa. Questa presa di coscienza implica infatti, particolarmente per merito dei popoli indigeni, la riscoperta e la riaffermazione del diritto di tutti i popoli e di tutte le persone all’autodeterminazione solidale. Diritto la cui affermazione si contrappone frontalmente alla logica neoliberale, imperniata sull’autodeterminazione del capitale finanziario transnazionale. Diritto la cui affermazione si impone quindi come l’anima di una civilta’ alternativa nonviolenta e di una strategia nonviolenta per costruirla. Ma l’insurrezione della coscienza popolare che siamo chiamati ad accendere, implica anche la scoperta e la valorizzazione delle risorse intellettuali, morali e politiche degli oppressi e delle oppresse di tutto il mondo per la costruzione di una nuova civilta’. Risorse troppo spesso ignorate, sottovalutate e persino soffocate dalle stesse organizzazioni popolari, dalle stesse organizzazioni di sinistra, vittime quasi sempre di quell’autoritarismo che denunciano nel sistema vigente. Autoritarismo della sinistra che a mio parere e’ una delle ragioni principali della nostra mancanza di creativita’ e delle nostre sconfitte storiche. Perche’ su queste risorse e sulla loro valorizzazione si fonda la convinzione che ispira la nostra mobilitazione, che ci autorizza ad affermare che un altro mondo e’ possibile. Solo ritrovando la fiducia nelle risorse inesplorate degli oppressi e delle oppresse, solo valorizzando a fondo queste risorse nelle nostre organizzazioni, nella nostra ricerca, nella nostra lotta, potremo affermare con fondamento che una nuova storia e’ possibile, che una nuova storia costruita dagli esclusi e dalle escluse di ieri e’ gia’ cominciata.


Giulio Girardi è uno dei piu’ importanti teologi e filosofi della liberazione.