[Famiglia Cristiana • 28.03.04] Per la prima volta le scelte dei consumatori condizionano i coltivatori, che rifiutano il frumento Ogm. Iniziative in Italia per scongiurare il rischio della pasta Frankenstein...

GRANO BIOTECH, IL MERCATO DICE NO

Per la prima volta le scelte dei consumatori condizionano i coltivatori, che rifiutano il frumento Ogm. Iniziative in Italia per scongiurare il rischio della pasta Frankenstein. Sembra una dichiarazione di guerra: «Non siamo pronti per il grano transgenico».

A scriverlo a caratteri cubitali, su un volantino dove spiccano anche le fotografie delle loro facce, non sono i “soliti” ambientalisti contrari agli Ogm (Organismi geneticamente modificati), ma compassati dirigenti delle più importanti associazioni di agricoltori canadesi. E la preoccupazione che li anima non ha niente a che vedere con quelle espresse dai movimenti di consumatori (il Canada già coltiva da tempo mais, colza e soia transgenici), ma più concretamente è una preoccupazione di natura economica: è il mercato che non vuole gli Ogm e qui si rischia di perdere clienti.

Contro il grano transgenico, insomma, scende in campo il libero mercato. Tutto è cominciato quando, nel dicembre del 2002, la multinazionale americana Monsanto ha presentato alle autorità canadesi e statunitensi la richiesta di autorizzazione per la commercializzazione di un frumento modificato per resistere all’erbicida glifosato, sempre prodotto dalla Monsanto. Ma mentre fino ad ora la gran parte delle coltivazioni transgeniche finiva nei mangimi animali o in prodotti, come gli oli vegetali, profondamente trasformati, nel caso del grano, sia tenero sia duro, il consumo è quasi tutto destinato all’alimentazione umana.

I più noti importatori del grano nordamericano sono gli europei e gli asiatici e proprio qui i consumatori sono molto diffidenti nei confronti di quello che chiamano “il cibo di Frankenstein”. Prevedibile, dunque, che sempre più aziende europee e asiatiche chiedano grano certificato Ogm free, cioè libero da Ogm e che siano talmente preoccupate da possibili contaminazioni da rivolgersi, per evitare problemi, ad altri esportatori. E a questo punto, a essere preoccupati sono anche gli agricoltori e l’intera filiera del frumento nordamericano, dai proprietari dei magazzini di stoccaggio ai trasportatori. Quei semi che nessuno vuole Una preoccupazione suffragata dai numeri: negli ultimi anni, infatti, sono crollate le esportazioni nordamericane in Europa di colza e mais, anche delle varietà non transgeniche, perché il rischio di contaminazione accidentale è alto, e tenere rigidamente separate le due filiere, adottando tutte le misure di controllo, è piuttosto costoso. Per questo, molti importatori si sono rivolti altrove.

Un dato per tutti: mentre nel 1995 la colza importata in Europa e proveniente dal Canada era più dell’80 per cento del totale (il rimanente 20 per cento era polacco), nel 2000 il rapporto si è invertito, con il 90 per cento di colza polacca e il dieci per cento di colza canadese. Così il Canadian Wheat Board, l’agenzia canadese di commercializzazione dei cereali, ha presentato al ministro per l’agricoltura Vanclif una petizione sottoscritta da ben quindici organizzazioni di agricoltori. Vi si chiede che, oltre alle valutazioni di impatto sulla salute e sull’ambiente che precedono o negano l’autorizzazione alla coltivazione commerciale di una varietà transgenica, si introduca un’analoga valutazione obbligatoria sul rapporto costi-benefici, cioè un’analisi sui rischi economici. E c’è un altro problema: per il momento la richiesta della Monsanto riguarda una varietà di grano tenero ma, secondo gli addetti ai lavori, sotto il profilo commerciale si rischia di compromettere anche l’export di grano duro.

In Nordamerica, infatti, le due varietà vengono spesso coltivate nelle stesse aziende agricole e la loro commercializzazione ricorre ai medesimi canali e sistemi di lavorazione e circolazione sul mercato. La contaminazione accidentale, quindi, non si può escludere. Non vogliamo “grane”. E in Italia? Il problema è stato sollevato in questi giorni nel corso di un convegno significativamente intitolato “Grano o grane”, organizzato al ministero delle Politiche agricole, dal Consiglio dei diritti genetici (un’associazione indipendente di scienziati, medici e uomini di cultura), con il patrocinio dell’Istituto nazionale di economia agraria e dell’Istituto nazionale di ricerca per gli alimenti e la nutrizione e con il contributo della Coldiretti, della Cgil, della Coop, dell’Assocap e della Confederazione nazionale artigiani. Il progetto “Grano o grane” si propone di aprire un confronto tra tutti i soggetti interessati, dagli agricoltori alle aziende, al di là e al di qua dell’Atlantico, con l’obiettivo di trovare una strategia comune per garantire l’integrità del frumento trasformato e consumato in Italia.

«Siamo il Paese dove il grano, sotto forma di pane, pasta e pizza, non è solo alla base dei nostri cibi più tradizionali, ma è anche il simbolo di un’identità culturale e la base di un’attività economica fondamentale», dice Ivan Verga, uno dei soci fondatori del Consiglio dei diritti genetici.

«Il progetto darà l’avvio a un’approfondita analisi sulle implicazioni economiche, nutrizionali e socioculturali dell’eventuale introduzione del frumento transgenico e al monitoraggio delle valutazioni che le autorità economiche e politiche adotteranno in Nordamerica. Vogliamo prevenire l’eventuale problema e non subirlo, come invece è accaduto con altre colture geneticamente modificate. Faremo una vera e propria ricerca scientifica ed economica sulla questione grano, transgenico e non, finanziata dall’intera filiera produttiva che è ormai cosciente di rischiare non solo l’immagine, ma anche il portafoglio: gestire delle partite di frumento a rischio di contaminazione, infatti, significa elevare i costi, adottare procedure complesse, effettuare controlli costosi per obbedire alle norme sulla etichettatura».
 
UN POOL DI ESPERTI E QUEI “GENI” STRANI
 
Tra i soci fondatori del “Consiglio dei diritti genetici” ci sono nomi illustri: dal filosofo Emanuele Severino all’oncologo Mariano Bizzarri; dalla neurofisiologa Marirosa Di Stefano al gesuita padre Bartolomeo Sorge, direttore della rivista Aggiornamenti sociali; da padre Carlo Rocchetta, teologo ed ex consigliere ecclesiastico della Coldiretti, a Mario Capanna, ex segretario di Democrazia proletaria; da Claudia Sorlini, professore ordinario di Microbiologia agraria e direttrice del dipartimento di Scienze e tecnologie alimentari dell’Università di Milano, a Nelson Marmiroli, ordinario di Tecnologie ricombinanti e direttore del dipartimento di Scienze ambientali dell’Università di Parma.

Tra le finalità del “Consiglio dei diritti genetici”, nato due anni fa, c’è quella di promuovere, su scala nazionale e internazionale, la ricerca scientifica interdisciplinare nel campo delle biotecnologie. Il Consiglio promuove anche gruppi di ricerca specifici sui vari settori interessati: dall’agricoltura alla farmacologia, dai test genetici alle sperimentazioni sulle cellule staminali, e ha attivato un Osservatorio sulle agrobiotecnologie che, in ottemperanza alla nuova normativa europea sui meccanismi di commercializzazione degli Ogm, può fornire osservazioni e obiezioni, nel processo di valutazione prima di ogni nuova autorizzazione.
 
INTERVENTO A SORPRESA DI MONS. SCOLA
 
(Fonte: [email protected] ) Intervento a sorpresa del patriarca di Venezia, sul tema degli organismi geneticamente modificati. Secondo monsignor Angelo Scola “Non possiamo accettare di applicare l’imperativo tecnologico secondo cui tutto ciò che si può fare si deve fare anche se, secondo la mentalità invalsa, per questo si e’ oscurantisti. Si tratta invece di sviluppare un adeguato approfondimento etico con limiti e regole per le biotecnologie”. Lo ha dichiarato stamane nel corso di un incontro pubblico col mondo agricolo sul tema “Etica l’attualità delle origini”. E ancora: “La soluzione adottata – ha proseguito il patriarca – dovrà saper salvare sempre i principi necessari ed irrinunciabili, dovrà lasciar coesistere una pluralità di scelte nell’opinabile, in ogni caso sarà attenta a ricercare sulla base dei criteri-cardine della solidarietà e della sussidiarietà il massimo consenso”.