[Autori Vari • 17.12.03] Con il rinvio alle Camere della Gasparri, radio e televisioni locali speravano che un minore rastrellamento di pubblicità da parte di Rete4 e di Rai Tre apportasse qualche beneficio alle "locali". Con le voci di un decreto truffa "salva Rete4" invece, sembra di essere  ritornati al 1985 quando la Sinistra intimorita da una campagna martellante, primeggiò nell'accogliere le pretese della Fininvest che imponeva con la massima violenza la legittimazione delle sue reti...

MASS-MEDIA. IL COORDINAMENTO NAZIONALE NUOVE ANTENNE SULLA LEGGE DI RIASSETTO DEL SISTEMA RADIOTELEVISIVO

Con il rinvio alle Camere della Gasparri, radio e televisioni locali speravano che un minore rastrellamento di pubblicità da parte di Rete4 e di Rai Tre apportasse qualche beneficio alle “locali”.
Con le voci di un decreto truffa “salva Rete4” invece, sembra di essere  ritornati al 1985 quando la Sinistra intimorita da una campagna martellante, primeggiò nell’accogliere le pretese della Fininvest che imponeva con la massima violenza la legittimazione delle sue reti.
Per evitare i medesimi errori, è necessario quindi far chiarezza su pochi  punti; cominciando col dire che intanto Rete4 non ha 1000 dipendenti e neppure 700 come in una intervista ha dichiarato Emilio Fede ma al massimo 300 persone che lavorano per essa e che le sue trasmissioni da satellite non arresterebbero completamente la pubblicità. Inoltre, i ricavi di Mediaset sono talmente elevati (il mantenimento delle reti costa meno di un decimo rispetto al fatturato) da poter consentire un agevole assorbimento sulle altre reti di personale eventualmente in esubero: soluzione purtroppo
non praticabile per le migliaia di maestranze minacciate di licenziamento di tante fabbriche nazionali di cui ben pochi parlano.
Rai Tre non correrebbe nessun pericolo perdendo la pubblicità perché l’Azienda nel suo complesso ha un tetto di pubblicità che non deve superare indipendentemente dalle reti possedute: l’affermazione di interessati allarmisti che essa si troverebbe in difficoltà finanziarie è falso perché la pubblicità potrà essere dirottata sulle altre reti mantenendo inalterati gli attuali livelli di entrate finanziarie.
Infine, far rientrare dalla porta ciò che è stato cacciato dalla finestra significa infischiarsi della nota sentenza della Consulta e non dare ascolto al Capo dello Stato perché per raggiungere il mitico pluralismo di cui favoleggia Gasparri, occorre creare un ragguardevole parco ricevitori digitali al momento totalmente inesistente. Dieci/quindici anni richiederà la transizione al digitale terrestre come insegna quello da satellite che dopo vent’anni di sforzi, di incentivi (sportivi) e di pubblicità si è sviluppato molto relativamente. (Conna)

Per informazioni: CONNA – Coordinamento Nazionale Nuove Antenne Via Festo Avieno 115 – Roma Tel. –  06.24418833
 

Riportiamo di seguito il testo del rinvio alle Camere del Decreto Gasparri
 
Signori parlamentari, in data 5 dicembre 2003, mi e’ stata inviata per la promulgazione la legge: “Norme di principio in materia di assetto del sistema radiotelevisivo e della Rai- Radiotelevisione italiana Spa, nonche’ delega al governo per l’emanazione del testo unico della radiotelevisione”, approvata alla Camera dei Deputati il 3 aprile 2003, modificata dal Senato il 22 luglio 2003, nuovamente modificata dalla Camera dei Deputati il 2 ottobre 2003 e approvata in via definitiva dal Senato il 2 dicembre 2003.
Il relativo disegno di legge era stato presentato dal governo alla Camera dei Deputati il 23 settembre 2002. Successivamente, il 20 novembre 2002, era sopraggiunta la sentenza della Corte Costituzionale n.466, che dichiarava “la illegittimita’ costituzionale dell’articolo 3, comma 7, della legge 31 luglio 1997, n.249 (Istituzione della Autorita’ per le garanzie nelle comunicazioni e norme sui sistemi delle telecomunicazioni e radiotelevisivo, nella parte in cui non prevede la fissazione di un termine finale certo, e non prorogabile, che comunque non oltrepassi il 31 dicembre 2003, entro il quale i programmi irradiati dalle emittenti eccedenti i limiti di cui al comma 6 dello stesso articolo 3, devono essere trasmessi esclusivamente via satellite o via cavo”.
La data del 31 dicembre 2003 era gia’ stata indicata, come termine per la cessazione del regime transitorio di cui all’articolo 3, settimo comma, della legge n.249 del 1997, dall’Autorita’ per le garanzie nelle comunicazioni (Deliberazione n.346 del 7 agosto 2001).
Detto articolo 3 rinvia ai limiti fissati dal sesto comma dell’articolo 2 della stessa legge n. 249, laddove si stabilisce che ad uno stesso soggetto a soggetti controllati o collegati ‘non possono essere rilasciate concessioni ne’ autorizzazioni che consentano di irradiare piu’ del venti per cento rispettivamente delle reti televisive o radiofoniche analogiche e dei programmi televisivi o radiofonici numerici, in ambito nazionale, trasmessi su frequenze terrestri, sulla base del piano delle frequenze. La sentenza della Corte n. 466 del 20 novembre 2002 muove dalla considerazione della situazione di fatto allora esistente che, a suo giudizio, ‘non garantisce… l’attuazione del principio del pluralismo informativo esterno, che rappresenta uno degli imperativi’ ineludibili emergenti dalla giurisprudenza costituzionale in materia.
Nell’ultima delle considerazioni in diritto, la Corte precisa che ‘la presente decisione, concernente le trasmissioni televisive in ambito nazionale su frequenze terrestri analogiche, non pregiudica il diverso futuro assetto che potrebbe derivare dallo sviluppo della tecnica di trasmissione digitale terrestre, con conseguente aumento delle risorse tecniche disponibili.
Dalla sentenza i cui contenuti essenziali sono stati richiamati dai presidenti delle Autorita’ per le garanzie nelle comunicazioni e dell’Autorita’ garante della concorrenza e del mercato, nelle audizioni rese alle Commissioni riunite VII e IX della Camera dei deputati il 10 settembre 2003, discende pertanto che per poter considerate maturate le condizioni del diverso futuro assetto derivante dall’espansione della tecnica di trasmissione digitale terrestre e, quindi, per poter giudicare superabile il limite temporale fissato nel dispositivo, deve necessariamente ricorrere la condizione che sia intervenuto un effettivo arricchimento del pluralismo derivante da tale espansione.
La legge a me inviata si fa carico di questo problema. Le norme che disciplinano l’aspetto sopra considerato sono contenute nell’articolo 25, il cui primo comma stabilisce che, entro il 31 dicembre 2003, dovranno essere rese attive reti televisive digitali terrestri ponendo, in particolare, a carico della societa’ concessionaria del servizio pubblico (secondo comma) l’obbligo di predisporre impianti (blocchi di diffusione) che consentano il raggiungimento del cinquanta per cento della popolazione entro il primo gennaio 2004 e del settanta per cento entro il primo gennaio 2005.
L’articolo 25, terzo comma, stabilisce inoltre che ‘l’Autorita’ per le garanzie nelle comunicazioni, entro i 12 mesi successivi al 31 dicembre 2003, svolge un esame della complessiva offerta dei programmi televisivi digitali terrestri allo scopo di accertare: a) la quota di popolazione raggiunta dalle nuove reti digitali terrestri; b) la presenza sul mercato di decoder a prezzi accessibili; c) l’effettiva offerta al pubblico su tali reti anche di programmi diversi da quelli diffusi dalle reti analogiche.
Cio’ premesso, ritengo di dover formulare alcune osservazioni in merito alla compatibilita’ di talune disposizioni della legge in esame con la sentenza n.466/2002 della Corte Costituzionale.
Una prima osservazione riguarda il termine massimo assegnato all’Autorita’ per effettuare detto esame: “Entro i dodici mesi successivi al 31 dicembre 2003″(articolo 25, terzo comma). Questo lasso di tempo- molto ampio rispetto alle presumibili occorrenze della verifica- si traduce, di fatto, in una proroga del termine finale indicato dalla Corte Costituzionale.
Una seconda osservazione concerne i poteri riconosciuti alla Autorita’: questa, entro i trenta giorni successivi al completamento dell’accertamento, invia una relazione al Governo e alle competenti Commissioni parlamentari, “nella quale verifica se sia intervenuto un effettivo ampliamento dele offerte disponibili e del pluralismo nel settore televisivo ed eventualmente formula proposte di interventi diretti a favorire l’ulteriore incremento dell’offerta di programmi televisivi digitali terrestri e dell’accesso ai medesimi” (articolo 25, terzo comma). Ne deriva che, se l’Autorita’ dovesse accertare, entro il termine assegnatole, che le supposte condizioni (raggiungimento della prestabilita quota di popolazione da parte delle nuove reti digitali terrestri, presenza sul mercato di decoder a prezzi accessibili; effettiva offerta al pubblico) non si sono verificate, non si avrebbe alcuna conseguenza certa. La legge, infatti, non fornisce indicazioni in ordine al tipo e agli effetti dei provvedimenti che dovrebbero seguire all’eventuale esito negativo dell’accertamento.
Si consideri, inoltre, che il paragrafo 11, penultimo capoverso, delle considerazioni in diritto della sentenza n.466, recita: “D’altro canto, la data del 31 dicembre 2003 offre margini temporali all’intervento del legislatore per determinare le modalita’ della definitiva cessazione del regime transitorio di cui al comma 7 dell’articolo 3 della legge n. 249 del 1977”.
Ne consegue che il 1° gennaio 2004 puo’ essere considerato come il dies a quo non di un nuovo regime transitorio, ma dell’attuazione delle predette modalita’ di cessazione del regime medesimo, che devono essere determinate dal Parlamento entro il 31 dicembre 2003. Si rende, inoltre, necessario indicare il dies ad quem e, cioe’, il termine di tale fase di attuazione.
Tutto cio’ detto in relazione alla compatibilita’ delle succitate disposizioni della legge in esame con la sentenza n.466 del 20 novembre 2002, non posso esimermi dal richiamare l’attenzione del Parlamento su altre parti della legge che-per quanto attiene al rispetto del pluralismo dell’informazione- appaiono non il linea con la giurisprudenza della Corte Costituzionale.
Si consideri, a tale proposito, che la sentenza della Corte Costituzionale n. 826 del 1988 poneva come un imperativo la necessita’ di garantire “il massimo di pluralismo esterno, onde soddisfare, attraverso una pluralita’ di voci concorrenti, il diritto del cittadino all’informazione”. E ancora, nella sentenza n.420 del 1994, la stessa Corte sottolineava l’indispensabilita’ di “un’idonea disciplina che prevenga la formazione di posizioni dominanti”. Nell’ambito dei principi fissati dalla richiamata giurisprudenza della Corte Costituzionale si e’ mosso il messaggio da me inviato alle Camere il 23 luglio 2002.
Per quanto riguarda la concentrazione dei mezzi finanziari, il sistema integrato delle comunicazioni (SIC)- assunto dalla legge in esame come base di riferimento per il calcolo dei ricavi dei singoli operatori della comunicazione- potrebbe consentire, a causa della sua dimensione, a chi ne detenga il 20 per cento (articolo 15, secondo comma, della legge) di disporre di strumenti di comunicazione in misura tale da dar luogo alla formazione di posizioni dominanti.
Quanto al problema della raccolta pubblicitaria, si richiama la sentenza della Corte Costituzionale n. 231 del 1985 che, riprendendo principi affermati in precedenti decisioni, richiede che sia evitato il pericolo ‘che la radiotelevisione, inaridendo una tradizionale fonte di finanziamento della libera stampa, rechi grave pregiudizio ad una liberta’ che la Costituzione fa oggetto di energica tutela. Si rende, infine, indispensabile espungere dal testo della legge il comma 14 dell’articolo 23, che rende applicabili alla realizzazione di reti digitali terrestri le disposizioni del decreto legislativo 4 settembre 2002, numero 198, del quale la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimita’ costituzionale con la sentenza numero 303 del 25 settembre/1 ottobre 2003. Per la stessa ragione, va soppresso il riferimento al predetto decreto legislativo dichiarato incostituzionale, contenuto nell’articolo 5, primo comma, lettera l) e nell’articolo 24, terzo comma.

Per i motivi innanzi illustrati, chiedo, alle Camere, a norma dell’articolo 74 primo comma, della Costituzione, una nuova deliberazione in ordine alla legge a me trasmessa il 5 dicembre 2003.