[Editoriale di «Missione Oggi» di Maggio 2004] I duecento cittadini madrileni trucidati negli orribili attentati terroristici dell’11 marzo 2004, hanno segnato anche per l’Europa l’ingresso in quell’angosciosa e per ora indefinibile era del terrorismo globale e della “guerra infinita”...

MISSIONE OGGI. «TRA LE LACRIME DI MADRID E L’ANGOSCIA DELL’EUROPA»

I duecento cittadini madrileni trucidati negli orribili attentati terroristici dell’11 marzo 2004, hanno segnato anche per l’Europa l’ingresso in quell’angosciosa e per ora indefinibile era del terrorismo globale e della “guerra infinita”. Dopo lo sconcerto dei primi giorni, l’opinione pubblica sembra aver già archiviato la tragedia, anche se inconsciamente si teme che un prossimo massacro possa di nuovo colpire alla cieca cittadini inermi, magari del nostro Paese. Eppure i problemi sollevati da questo nuovo tipo di terrorismo, sono di straordinaria gravità e complessità, e non sopportano né semplificazioni né reazioni affidate alla pura emotività.

Del resto la unanime condanna, assoluta e netta, di questa moderna barbarie, non è di per sé sufficiente a scongiurare il ripetersi di atti tremendi come quelli dell’11 settembre 2001 e dell’11 marzo 2004. Allora bisogna, con pazienza, cercare di capire, con il cuore ma anche con la ragionevolezza, che cosa sta succedendo, quali sono le cause di questo inedito fenomeno, quali gli obiettivi che si propone, e infine, quali le possibili risposte efficaci.

LOTTA PER LE RISORSE

Innanzitutto va chiarito ancora una volta,  che questo terrorismo non nasce dalla identità religiosa e culturale dell’Islam. Anzi, tale identità esalta la vita, l’amore, la pace,  attingendo le proprie radici in quel comune patrimonio delle tre grandi religioni monoteiste rappresentato dalla Torah. Semmai, come è avvenuto in vari momenti storici – basti ricordare i sanguinosi conflitti dell’Irlanda del nord e dell’ex Jugoslavia, segnati anche dalla contrapposizione religiosa -, l’Islam viene strumentalizzato da gruppi, come Al Qaeda, per perseguire i propri obiettivi politici. Quali siano, è difficile dirlo. Certo è che tali reti terroristiche sono espressione anche di una lotta interna alle stesse classi dirigenti arabe che controllano gran parte delle risorse petrolifere mondiali e che sono interessate a riposizionarsi sullo scenario internazionale, intessendo alleanze, destabilizzando regimi considerati subalterni alle potenze industrializzate, ecc. Di converso, all’interno del mondo occidentale, vi sono forze che spingono per una sorta di neocolonialismo caratterizzato da un sempre più pressante controllo delle principali fonti energetiche ( vedi in questo numero di MO l’articolo “Il tallone d’Achille degli Stati Uniti”). Si potrà obiettare che la realtà non è riducibile a quanto schematicamente qui riassunto; tuttavia da questa sommaria  analisi non si può espungere la percezione che una buona parte del mondo islamico ha dei rapporti con l’Occidente: quella della subalternità e del disprezzo. E’ anche su questi sentimenti che la multinazionale del terrorismo può far leva per ottenere un consenso diffuso alimentato anche dalla strumentalizzazione della religione islamica.

Con il corollario che, stante la schiacciante superiorità dell’Occidente in uno scontro militare convenzionale, alla forza soverchiante dei suoi sofisticati armamenti, l’unica risposta possibile è per l’appunto il terrorismo. Risposta alimentata anche dalla constatazione, spesso misconosciuta dall’opinione pubblica occidentale, che anche le nostre guerre convenzionali, hanno una sovraccarico “terroristico” enorme (in termini di civili inermi trucidati), pari se non superiore a quel fenomeno che usiamo nominare propriamente con questo termine. Insomma, siamo di fronte ad una situazione paradossale: mentre negli ultimi cinquant’anni l’Occidente si è garantito una relativa pace grazie all’equilibrio del terrore tra i due blocchi contrapposti, oggi che gode nei confronti del “nuovo” nemico di una  schiacciante superiorità tecnologica e militare, subisce colpi terribili contro i quali appare impotente nell’elaborare una difesa efficace, se non l’idea di dover affrontare una “guerra infinita” dagli esiti incerti.

TRE POSSIBILI SCENARI

Dopo l’11 settembre si è detto da varie parti: “Il mondo non sarà più come prima”. Tuttavia, ormai trascorsi due anni e mezzo, sembra ancora difficile ipotizzare come sarà questo mondo “nuovo”. Qualcuno ha voluto abbozzare qualche “possibile scenario”.
Il primo è quello dell’unus rex unum imperium, cioè della riedizione postmoderna di una sorta di impero romano globale, pacificato, come lo fu quello storico dalle legioni di Augusto, capace di imporre a tutto il pianeta la propria legge. La sua carta fondativa è stata riassunta nel progetto per il nuovo secolo americano. Ma le prime sperimentazioni sul campo (Afghanistan, e soprattutto Iraq) hanno mostrato quanto sia irrealistica una simile opzione, e addirittura controproducente nella lotta al terrorismo.
Il secondo è quello dello scontro tra civiltà, come effetto anche del fallimento della precedente opzione e quindi del corto circuito terrorismo-guerra infinita-terrorismo. Una prospettiva, questa sì, davvero catastrofica per il futuro dell’umanità, che tutti dicono di voler scongiurare, ma che trova alimento sia nei progetti dell’estremismo islamico più radicale, sia nell’estremismo di alcune posizioni occidentali che accreditano una presunta superiorità della civiltà occidentale.

Il terzo invece è quello di una nuova convivenza fra le nazioni, i popoli, le civiltà, le religioni, le culture regolata da norme condivise, affidate all’unica autorità che può legittimamente ed efficacemente riportare ordine nel mondo, un’Onu rinnovata e potenziata nelle sue funzioni. Regole condivise capaci di rispondere positivamente ai bisogni essenziali di tutti: una nuova cooperazione paritaria fra chi detiene le tecnologie e chi le risorse, che sappia offrire prospettive di sopravvivenza dignitosa anche a quei popoli che non hanno né le une, né le altre; un dialogo fra le diverse religioni, il cristianesimo e l’islam innanzitutto, che sappia esaltare il messaggio di pace e di solidarietà in esse contenuto ed emarginare invece le tendenze distruttive dell’odio e dell’intolleranza; l’entrata in campo autorevole dell’Onu nelle zone di conflitto più pericolose (Palestina e Iraq, soprattutto), con forze di pace estranee alle parti direttamente o indirettamente in conflitto; un’efficace lotta al terrorismo, che oltre alla prevenzione e repressione operate dai servizi di polizia coordinati a livello internazionale, si affidi all’appoggio attivo di tutte le componenti politiche e della società civile presenti nei vari paesi dell’area mediorientale; il coinvolgimento degli stessi paesi islamici per bonificare il terreno di coltura del terrorismo sul piano politico, economico e sociale.

Questo terzo scenario, può apparire oggi irrealistico. Tuttavia è l’unico che può offrire un futuro di speranza, per un secolo che vorremo immaginare finalmente improntato sul dialogo e sulla cooperazione fra culture e popoli diversi, e tuttavia uniti nel rispetto reciproco e semmai impegnati nell’unica “guerra” necessaria per tutti: quella contro la fame, contro la sfruttamento insensato degli uomini e dell’ambiente naturale.
                                                                                
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