[Vincenzo Andraous • 21.03.04] Il Santo Padre nel Suo messaggio per la XIX Giornata Mondiale della Gioventù del 4 aprile  ha più volte richiamato l’attenzione sulla nostra incapacità a chiederci finalmente “vogliamo vedere Gesù?”. Vogliamo cercarlo e vederlo davvero o solamente incontrarlo per una comoda convenzione?...

PAROLE IN LIBERTÁ. «VOGLIAMO VEDERE GESÚ»

Il Santo Padre nel Suo messaggio per la XIX Giornata Mondiale della Gioventù del 4 aprile  ha più volte richiamato l’attenzione sulla nostra incapacità a chiederci finalmente “vogliamo vedere Gesù?”. Vogliamo cercarlo e vederlo davvero o solamente incontrarlo per una comoda convenzione?
Ho inteso così quelle Sue parole; scandagliare la nostra coscienza, il nostro intuito, la nostra creatività, la nostra  curiosità. Non ho dovuto fare molta fatica per ricordare lo stupore beato di quei greci a domandare, tanto meno ho avuto difficoltà a fare mio quell’invito: conoscere Gesù per riuscire veramente  a conoscere noi stessi. Pensandoci bene mi è venuto in mente che potrebbe risultare un quesito da porre e fin’anche opporre in qualsiasi famiglia, scuola e quindi società, senza per questo correre il rischio di incappare nel peccato di voler per forza dire qualcosa di nuovo. Noi camminiamo la nostra vita, chi a testa bassa, chi con il viso in alto, tutti protesi allo scambio relazionale e delle idee, e, in forza di ciò, abbiamo la convinzione che non c’è nulla da dare che già non ci sia. Eppure è conoscendo carico e somma di quella Croce che nasce la voglia dell’interrogativo e della volontà di crescere insieme.
Vorrei essere capace di disegnare il suono di questo messaggio datoci, di come esplicita fortezza e credibilità sufficiente per frapporsi alle etichette e agli stereotipi fuori dall’uscio di ognuno di noi che ascolta, di ciascuno di noi così bene aperto alla critica… eppure resistente alla partecipazione fattiva del miglioramento, perché ciò ci costringe a essere  tutti coinvolti, nessuno escluso.
Questo fardello è di tutti, e non è possibile scaricarla sulle sole generazioni del presente, quali unici ostacoli fragili delle mercificazioni, di quei “modelli” che favoriscono proiezioni infantili e aspettative fasulle.
“Vogliamo vedere Gesù” è un grido silenzioso e quotidiano, è sinonimo di movimento per aprire al nuovo, esso ha il compito di limitare il disagio, il malessere di quest’epoca frammentata e dilacerata, questo malessere ospitato disabitando la nostra fede.
Il Papa con questo tema dettato sottovoce ha voluto tracciare il comando e dovere a contrapporsi con autorevolezza a ogni ideologia ipocrita, interessata a mascherare colpe, oppure miopie insensibili alle ragioni stesse della vita.
Dunque come colmare quel vuoto interiore, come orientarci e sentirci vicini a noi stessi in pienezza di vita?
Domande che incalzano incessantemente, incalzano soprattutto quella persona consapevole che la propria azione morale è decisione e scelta del suo intimo, è risposta personale ad una situazione, ad un bisogno intimo, di cui PERO’ sente di far parte.
Checchè se ne dica non siamo navigatori solitari, e allora  la stessa azione morale è sempre secondo coscienza e solidaristicamente “a corpo mistico”.
Ma perché le parole sottolineate dal Pontefice abbiano un accesso davvero leale, occorre stare in relazione con noi stessi per sentirci  impegnati ad agire, nella maniera e nella misura che ci consentiamo. Ecco perché ritengo importante quella domanda-affermativa: “Vogliamo vedere Gesù”, essa è importante nella misura in cui ci educa e ci accompagna alla scoperta del mistero senza per questo avere timore di non individuarne il senso.
Ciò è insegnamento a pregare e sperare con responsabilità, in quanto scelta e responsabilità formano la più alta delle libertà. La libertà di credere in Gesù.