24.094 VICENTINI ALLE URNE


24.094 vicentini hanno votato nella consultazione popolare autogestita sul destino dell’area Dal Molin. Rappresentano il 28,56% degli aventi diritto e quasi il 50% delle elettrici e degli elettori che hanno votato alle recenti elezioni amministrative. Il SI all’acquisizione dell’area da parte del comune trionfa con il 95% dei voti, il NO si ferma a poco meno del 5%. É una prova straordinaria di partecipazione popolare e di democrazia diretta, che non ha eguali in nessun paese occidentale.

Dopo la bocciatura da parte del Consiglio di Stato del Referendum istituzionale, indetto dal Consiglio Comunale, in tre giorni  si sono allestiti  i seggi davanti alle scuole, trovati i Presidenti e gli scrutatori, stampate le schede, informato la cittadinanza e messo insieme un vero e proprio esercito di volontari. Si è assicurata la regolarità del voto e si è dato vita a quella che è stata una vera e propria mobilitazione popolare dal basso. Nonostante l’appello al non voto del centrodestra cittadino, alla distruzione delle schede elettorali organizzata da Forza Italia in cassonetti allestiti per l’occasione, nonostante i richiami all’inutilità del voto e i tentativi di ingannare i cittadini con manifesti falsi e locandine del Gazzettino, il giornale più venduto in Veneto, con cui si informava che era possibile recarsi alle urne solo fino alle 13 anziché alle 21. Nonostante tutto questo, ce l’abbiamo fatta.

É scattata in una parte consistente della città la voglia di contare e di esprimersi, rompendo quella rassegnazione («tanto hanno già deciso») e quella «obbedienza a ordini superiori», tipica dei sudditi, non dei cittadini.

In questa piccola città è successo qualcosa di importante: è nata fuori dai partiti, su una questione che chiama in causa la sovranità  e l’autonomia decisionale sul proprio territorio e  insieme il diritto di parola su una questione globale come la pace, la nuova politica. Una politica popolata da giovani, che riscopre la militanza, che si appassiona a una causa, che sfida i luoghi comuni e che si autorappresenta. Questa volta Vicenza ci stupisce, non perché “città bianca” come all’epoca della Democrazia Cristiana o leghista in quelli più recenti. No. Vicenza stupisce perché, mentre in gran parte d’Italia il centrosinistra perde, qui -se pure per pochi voti – vince, perché l’autonomia federalista, patrimonio della destra leghista, matura e si esprime in una battaglia per la democrazia e per la pace, patrimonio tradizionale della sinistra. E una parte rilevante della cosiddetta società civile decide di farlo senza la guida di partiti nel migliore dei casi disattenti, nel peggiore dei casi ostili a una battaglia così difficile e audace.

Il Sindaco, tenendo fede ai propositi della sua campagna elettorale, sceglie coraggiosamente di rappresentare questa nuova Vicenza ed è come se venisse rieletto, questa volta senza diffidenza e incertezza, ma con una vera e propria investitura popolare. É così che compie il miracolo di riconciliare un movimento ampio e di protesta contro la sordità dei governi di centrodestra come di centro sinistra e la sordità di partiti lontani dalle aspettative popolari, con le istituzioni, anzi con l’istituzione locale. Ai gazebo dove si votava si respirava un’aria di condivisione e di unità come non succedeva da molto. E c’erano tutti: gli assessori, i consiglieri comunali, i rappresentanti dei partiti di centrosinistra. Quelli che si sono spesi dal primo giorno e quelli che sono arrivati all’ultimo. Quelli che avevano capito e quelli che avevano criticato.

Ma sopra tutti quelle donne, quei giovani, quei cittadini “comuni”, che da tre anni sacrificano testardamente la famiglia, il tempo libero e le serate per la causa «NO Dal Molin» e che stanno ricostruendo nei fatti e  dal basso, con idee, pratiche, facce diverse un nuovo campo di centrosinistra. In mezzo al popolo e non nelle stanze chiuse e autoreferenziali dove abita una politica stanca, incapace di “osare l’impossibile” e di “rappresentare i sentimenti semplici e gli interessi quotidiani” dei cittadini e delle cittadine.

Il centrodestra potrà dire che la maggioranza dei vicentini ha seguito il suo consiglio ed è rimasta a casa, si inventerà brogli, presenterà altri ricorsi. Ma resta il fatto che, senza e contro di loro, si è scritta una pagina di partecipazione e democrazia destinata a contare e a cambiare  il futuro  di questa comunità. E ne esce con le ossa rotte soprattutto la Lega, quella del «paroni a casa nostra», che -come ha detto bene il Sindaco Variati – «giura a Pontida e tradisce a Vicenza».

E per la sinistra si apre uno spiraglio, una possibilità di ricominciare ad alzare la testa anche da queste parti, in questo Nordest così ostile, se comincerà umilmente ad ascoltare e se cercherà finalmente di capire. Smettendo ogni atteggiamento di arroganza e di autosufficienza. Per chi vuol capire, da Vicenza viene un segnale potente di novità. Da qui ci viene un insegnamento prezioso: possiamo ricostruire una nuova sinistra, una sinistra unita non nel chiuso dei palazzi, ma dando voce e rappresentanza  ai cittadini, battendoci per cause che riteniamo giuste senza incertezze e titubanza, mescolandoci con la gente e abitando il nostro territorio. E domani? Mi chiedevano con angoscia i più prudenti, quelli che arrivano sempre dopo, quando si vince, per capirci. E domani? «Domani è un altro giorno».

Lalla Trupia