[di Marco D'Eramo • 04.09.02] Può l'Africa affamata permettersi il lusso di rifiutare cereali geneticamente modificati? È una delle domande più scabrose cui deve rispondere il vertice di Johannesburg, ed è uno dei dossier più spinosi che si porta in cartella il segretario di stato americano Colin Powell, soprattutto dopo che Zimbabwe, Mozambico e la settimana scorsa Zambia hanno respinto gli aiuti alimentari offerti dagli Stati uniti che per tutta la regione ammonteranno a fine anno a 500.000 tonnellate di cereali, comprendenti varietà geneticamente modificate (invece Malawi, Swaziland e Namibia li hanno accettati).

AFRICA, IL CONTINENTE DA MODIFICARE

Così ora migliaia di tonnellate di mais e di grano giacciono nei silos del porto di Durban in Sudafrica. Della questione si occupa anche l’Organizzazione mondiale della Sanità che da ieri tiene una riunione regionale di tre giorni ad Harare, capitale dello Zimbabwe. L’Africa australe sta subendo una delle sue peggiori carestie, perché da due anni è colpita dalla siccità, i raccolti sono andati a ramengo, il bestiame ha dovuto essere abbattuto, 13 milioni di persone sono in stato d’inedia e 300.000 di loro moriranno di fame nei prossimi mesi. Ora, gli statunitensi sostengono che l’Africa non può permettersi questo lusso: non vada tanto per il sottile e salvi la vita di decine di migliaia di persone. Tanto più che – affermano – il cibo geneticamente modificato (Gm) non ha mai fatto male a nessuno, visto che negli Stati uniti sono anni che se lo mangiano, sia direttamente, sia indirettamente, attraverso la carne di bestiame allevato a mais Gm. Gli Stati uniti dimenticano che il vero timore nei confronti degli organismi Gm (Ogm) non è per i danni alla salute che può provocare la loro ingestione. […]Il fatto è che, a causa dell’opposizione mondiale agli Ogm, i farmers Usa sono in difficoltà e la stessa azienda leader del settore, la Monsanto, è in crisi profonda, nonostante la superficie coltivata a Gm si sia trentuplicata in solo 5 anni, passando da 1,7 milioni di ettari nel 1996 a 52,6 milioni di ettari nel 2001. Infatti, scrive il Guardian, a luglio la Monsanto voleva rastrellare sul mercato un miliardo di dollari, ma è riuscita a raggranellarne solo poco più della metà, anche perché i creditori sanno che sta per scadere il brevetto sul suo pesticida Roundup che genera il 45% delle sue entrate. Se negli anni ’50 era vero che gli interessi della Gm erano gli interessi dell’America, oggi la stessa sentenza continua a valere, solo che Gm significa non più General Motors ma Geneticamente modificati. Così, per scavalcare il rifiuto africano. Washington si è ridotta persino a chiedere all’Unione europea (Ue) di intercedere presso questi paesi, e di garantire loro che non è nocivo mangiare cereali Gm. Bruxelles ha risposto giovedì scorso che non erano affari suoi, che la gatta se la pelasse Washington e che, comunque, se gli Usa volevano mandare aiuti umanitari in Africa, 1) facessero come gli europei e comprassero cereali nella regione, in modo da stimolare l’agricoltura locale; 2) se proprio insistevano a mandare il proprio mais, che lo spedissero in forma di farina, così non ci sarebbe più rischio di contaminazione nell’ambiente: è questa la soluzione che il Mozambico ha alla fine accettato, di tritare il mais prima di distribuirlo; ma gli Stati uniti vi si oppongono sia perché è una soluzione cara (macinare costa 25 $ a metro cubo), sia perché, se l’accettassero, riconoscerebbero che questi cibi Gm presentano un problema vero. Ma venerdì scorso l’Ue ha un po’ ammorbidito la sua posizione, e si è detta pronta a convincere i paesi africani che non sono dannose per la salute le cinque varietà di cereali Gm ch’essa stessa permette. Chi si oppone invece all’uso di cereali Gm in Africa invoca le seguenti ragioni: 1) Non vuole che l’Africa sia considerata la pattumiera dei paesi ricchi. Come prima – con la scusa dell’aiuto umanitario – le multinazionali smaltivano nel Continente nero latte in polvere avariato, farine marce e farmaci scaduti, così ora gli Stati uniti smaltiscono gli enormi surplus di cereali Gm coltivati grazie agli immani sussidi pubblici (ogni anno Usa ed Ue sovvenzionano le loro agricolture con 350 miliardi di dollari): il 60% della produzione dei farmers americani è esportata, ma le esportazioni sono diminuite dopo le polemiche di vari paesi contro gli Ogm. Secondo Vandana Shiva, tra il 1999 e il 2000 i surplus di derrate Gm hanno costituito circa il 30% delle 500.000 tonnellate di mais “donate” dalla Us Agency for International Development alle agenzie umanitarie, tra cui il World Food Program, grazie a contratti con le corporations dell’agrobusiness. 2) Se sementi Gm vengono rilasciate nella natura, possono contaminare le sementi locali e così chiudere ai prodotti africani i mercati europei: il bestiame africano nutrito con granaglie Gm non potrà più essere esportato nei paesi che rifiutano cibo Gm. Questi cereali possono perciò spazzare via una nicchia di mercato che permetterebbe ai contadini africani di guadagnarsi da vivere. 3) Gli aiuti umanitari rendono i paesi dipendenti. Ogni tonnellata di cereali ricevuta è una tonnellata di cereali che non sarà coltivata. Con lo stesso metodo gli Stati uniti hanno smaltito eccedenze di riso ad Haiti mandando in rovina migliaia di fattorie e l’Unione europea ha smaltito le proprie eccedenze di latte nell’economia giamaicana provocando la bancarotta degli allevatori locali. 4) Le sementi Gm provocano una doppia dipendenza. Poiché la quasi totalità di essa è manipolata per resistere a uno specifico pesticida prodotto da una specifica azienda, i coltivatori saranno poi costretti in tutte le future generazioni di raccolti a usare quel pesticida. Per esempio i due terzi di semi di soia Gm sono manipolati per resistere all’erbicida Roundup della Monsanto. Ultimo punto, decisivo, è che non vale la principale ragione invocata dai fautori degli Ogm, e cioè che la biotecnologia può aumentare la produzione e quindi far sparire lo spettro della fame. Il fatto è che la fame oggi dilaga in un mondo di abbondanza […], un mondo in cui i magazzini europei e americani straboccano di derrate alimentari, di burro, latte, grano, vino olio, ma in cui ogni giorno muoiono per fame 24.000 persone, tre quarti delle quali sotto i cinque anni; più di 800 milioni di umani sono cronicamente denutriti; 180 milioni di bambini sono sotto peso e 2 miliardi di persone soffrono di malattie dovute a deficienze alimentari. Il fatto è che in Malawi si muore di fame anche se nei mercati di Lilongwe abbondano riso e mais. In fondo, per cinque anni di seguito l’India ha avuto un’eccedenza record di cereali, di 59 milioni di tonnellate, eppure decine di milioni di bambini indiani continuano a essere denutriti. Negli Stessi stati uniti, che esportano il 60% della loro produzione agricola e che hanno l’agricoltura più ricca e più efficiente del mondo, 26 milioni di poveri devono ricorrere ai Food stamps, ai bollini alimentari distribuiti dalla mutua, per riuscire a nutrirsi. La fame può decimare in un mondo ricco e le ossa a fior di pelle costeggiano l’oscena obesità dei paesi industrializzati. Vent’anni fa, scrive John Vidal del Guardian, il Ghana esportava riso, oggi la sua risicoltura è crollata sotto le importazioni di riso Usa o thailandese. I contadini pakistani hanno bruciato i loro raccolti per disperazione perché a coltivare ci perdono. Circa il 20% del cibo africano viene ora importato dai paesi ricchi, anche se potrebbe facilmente crescere sul posto. L’editorialista John Kamu del Daily Nation (Zimbabwe) cita un recente rapporto Oxfam, intitolato Rigged Rules and Double Standards, secondo cui “128 milioni di persone potrebbero uscire dalla povertà se le regole del commercio permettessero ad Africa, America latina, Asia orientale e del sud-est di aumentare la propria parte del commercio mondiale di appena l’1%. In Africa, quest’aumento generebbe un introito di 100 miliardi di dollari, il quintuplo di quanto il continente riceve in termini di aiuti e di ripianamento del debito. Con questo 1% ci potremmo ricomprare il nostro cibo”. Sono verità così sacrosante da sembrare acqua calda. Nel frattempo tutta l’altrettanto sacrosanta resistenza dei paesi dell’Africa australe contro i cereali Gm rischia di essere un’altra di quelle battaglie di retroguardia che – a differenza delle Termopili e di Roncisvalle – si rivelano inutili, semplicemente perché il nemico era già in casa: infatti uno dei maggiori produttori al mondo di cibi Gm è il Sudafrica: e si sa che la dispersione delle sementi attraverso il vento e gli uccelli non è ostacolata dai posti di confine delle frontiere umane.


Fonte: “il Manifesto” del 27/8/02