ARMI A GONFIE VELE

Balzo in avanti delle esportazioni italiane di armi: nel 2003 le autorizzazioni governative crescono del 39,4% e le consegne di materiale del 29,2%. Più di metà dei sistemi d’arma vengono esportati a paesi del Sud del mondo. Boom delle forniture all’Asia, mentre nell’anno della guerra in Iraq il Medio Oriente resta un cliente rilevante. In Africa si vende sopratutto alla Nigeria, che si dibatte nella crisi e nelle violenze interne. Tra le banche, Capitalia-Banca di Roma da sola al comando con quasi un terzo delle operazioni.
 
L’export italiano di armamenti è cresciuto lo scorso anno quasi del 40%. Toccando i 1.282,3 milioni di euro contro i 920,2 milioni del 2002 (che già era un 6,6% in più rispetto al 2001). Le operazioni effettuate sono passate da 487 a 630 milioni. Ce lo comunica l’annuale Relazione del governo, che risulta ancora ricca di informazioni nonostante le modifiche della legge 185, approvate dal Parlamento dopo una vivace battaglia di opinione pubblica.

Del resto è stata proprio la protesta della società civile a consentire di limitare i danni della revisione. Comunque nel 2003 non è stata concessa nessuna “licenza globale di progetto”, la nuova figura autorizzatoria che si teme possa allentare i controlli della legge.

In compenso, nonostante la 185, le esportazioni continuano a subire scarse limitazioni. La maggiore commessa del 2003 è la fornitura di 12 velivoli da trasporto C27J dell’Alenia Aeronautica (gruppo Finmeccanica) alla Grecia, per un valore di 235 milioni e mezzo di euro. Ma subito dopo il paese europeo membro della Nato, i clienti più importanti sono paesi del Sud del mondo spesso collocati in aree calde: a loro va il 53% delle autorizzazioni e il 54% delle consegne.

Seconda tra le destinazioni autorizzate (166 milioni) e prima per operazioni effettuate (90 milioni) è la Malaysia, a cui sono stati forniti, tra l’altro, siluri pesanti Whitehead, cannoni navali Oto Melara, radar Alenia Marconi. Terzo cliente è la Cina con 127 milioni di euro, il livello più elevato mai raggiunto dalle vendite italiane a Pechino.

Negli ultimi dieci anni, ricorda Oscar, l’Osservatorio sul commercio delle armi dell’Ires Toscana, le esportazioni belliche in Cina ammontano a poco meno di 200 milioni di euro, nonostante non fosse mai venuta meno la decisione dell’Unione europea di sospendere le forniture dopo la repressione di Piazza Tien an Men quindici anni fa.

Poche le cautele nelle vendite in Medio Oriente, nonostante la situazione nell’area si stia facendo esplosiva. In Arabia Saudita, l’Italia ha continuato a inviare componenti, per 91 milioni di euro, dei cacciabombardieri Tornado esportati fino al 1998 dalla Gran Bretagna con il megacontratto “Al Yamamah” (La Colomba): 120 aerei in cambio di 400 mila barili di petrolio al giorno. Sulla commessa c’è un’indagine in corso a Londra.

Proseguono inoltre le consegne di apparati di controllo del tiro per carri armati alla Siria: quasi 56 milioni di euro nel 2003, nonostante il clima di tensione, le violazioni dei diritti umani e i sospetti di triangolazione.

La Francia con i radar della Galileo Avionica e la Danimarca a cui l’Agusta ha venduto elicotteri EH-101 sono i due principali clienti occidentali dell’industria militare italiana. Alla Polonia, già paese Nato e new entry nell’Unione europea, l’Oto Melara comincia a fornire le torrette Hit Fist da 30 mm destinate a nuovi blindati che potrebbero rimpiazzare un vasto parco di veicoli venduti in passato dal regime comunista – e recentemente dai governi democratici – a paesi come Angola, Etiopia, Iran. Un affare, per ora, da 47,6 milioni di euro.

Secondo la relazione del governo, la diminuzione delle tensioni tra India e Pakistan è «un rilevante fattore di distensione» che permette «un sostanziale allentamento del rigoroso regime restrittivo adottato in passato». Così vendiamo apparati radaristici ed elettronici avanzati al Pakistan per 70 milioni e materiale all’India per 26 milioni. Restano invece modeste le esportazioni in America Latina e in Africa, ma tra esse spiccano le forniture alla Nigeria: 11 milioni di euro tra aggiornamenti dei semoventi Palmaria già venduti e nuovi obici campali, tutti prodotti Oto Melara.

Capitalia leader

Le operazioni bancarie collegate all’export di armi ammontano nel 2003 a 722 milioni di euro. Anche su questo versante il 40% delle transazioni riguarda contratti con paesi asiatici e il 16% con paesi del Medio Oriente. Solo poco più di un quarto del totale si riferisce a operazioni con paesi Nato e occidentali. In testa di nuovo la Malaysia, insieme a Francia, India, Cile e Pakistan.

Chi ha beneficiato di più della crescita degli affari è stato il gruppo bancario Capitalia (Banca di Roma, Banco di Sicilia, Popolare di Brescia); copre da solo il 31% degli importi autorizzati, oltre 224 milioni di euro. Capitalia segue, tra l’altro, molte delle esportazioni in Malaysia, in Cina e in Kuwait, oltre che in Gran Bretagna e Francia.

Al secondo posto Banca Intesa (97 milioni), banca d’appoggio, in particolare, per le forniture di munizionamento della Simmel Difesa agli Emirati Arabi Uniti.

San Paolo-Imi e Bnl restano sempre sulla breccia, mentre cresce la presenza delle banche estere. Quest’anno è la volta di Société Générale, la storica banca francese che è impegnata con l’operazione dei siluri alla Malaysia, ma anche della tedesca Commerzbank, socia di Intesa e di Mediobanca, che segue esportazioni in Pakistan.

E con Islamabad opera anche Banca Antonveneta, una delle piccole emergenti insieme alla Cassa di Risparmio di La Spezia, che dal canto suo spazia dalla Nigeria al Sultanato del Brunei. La Cassa spezzina era controllata da Banca Intesa ma l’anno scorso è stata acquisita dalla Cassa di Risparmio di Firenze, che ha sua volta ha come soci e “partner strategici” San Paolo-Imi e l’altro colosso transalpino Bnp Paribas.
 
Banche armate, qualcuna disarma

Tra le banche che avevano annunciato l’abbandono delle operazioni di export di armi a seguito della campagna “Banche Armate”, sostenuta anche da Nigrizia, solo il Monte dei Paschi di Siena si può dire che sia arrivato al traguardo: quasi azzerate le operazioni 2003. Lontano invece dal concludere le sue è Unicredito, che ha ancora autorizzazioni per 32 milioni e operazioni svolte per 35 milioni.

Ovviamente non si vedono ancora gli effetti della recente decisione di Banca Intesa di procedere al disimpegno in questo campo. Comunque l’atteggiamento costruttivo dell’amministratore delegato del gruppo Corrado Passera nei confronti delle richieste dell’associazionismo potrebbe essere di stimolo ai dirigenti della Banca regionale europea (Bre, gruppo Banca Lombarda e Piemontese).

La Bre Banca, coinvolta per una fornitura al Belgio di kit per mitragliatrici aviotrasportabili della ditta Aerea (poco più di un milione di euro), ha pensato bene di portare in Tribunale un periodico di Cuneo, sede della banca, che aveva citato i dati della Relazione e di ritirare l’azione in giudizio solo a fronte di una smentita totale da parte del giornale.

Dal canto suo la Cassa di Risparmio di Firenze, che era uscita dalla lista, si ritrova ora sul groppone le numerose operazioni della Cassa di Risparmio di La Spezia, acquisita nel 2003, che è da sempre uno degli istituti di riferimento dell’Oto Melara. Scherzi del processo di concentrazione bancaria.
 
Armi italiane a Saddam, via Damasco?

Mentre negli Stati Uniti gli azionisti responsabili presentano mozioni sui “criteri etici per i contratti militari” nelle assemblee societarie della Boeing o della Raytheon, ci sono fondi pensione come quelli della Polizia e dei Pompieri di New York che hanno deciso di escludere dal loro portafoglio le aziende che collaborano con “stati canaglia” come Iran, Siria, Sudan. Così hanno disinvestito da imprese amiche dell’amministrazione Bush come Halliburton e General Electric, che in quei paesi hanno importanti investimenti. E le aziende italiane?

Il periodico Microfinanza segnala alcune banche e imprese coinvolte in paesi dove vengono violati i diritti umani. Ma sottolinea che il caso più clamoroso di collaborazione con uno stato «sponsor del terrore» è il contratto militare pluriennale di Finmeccanica con la Siria: 600 sistemi Turms di controllo del tiro, prodotti da Galileo Avionica, per oltre 200 milioni di euro destinati ai carri armati T72 dell’esercito di Damasco.

Le consegne sono cominciate nel 1999 e l’anno scorso hanno toccato la cifra record di 55 milioni 614 mila euro. E non è escluso – lo ha denunciato il Dipartimento alla Difesa Usa – che blindati “ammodernati” col sistema italiano siano finiti in Iraq. Quando c’era ancora Saddam.
 
[Articolo pubblicato sul mensile Nigrizia. www.nigrizia.it] 

 
CORRE L’EXPORT DI PICCOLE ARMI

[Il sole 24 ore delL’1.07.04]

L’Italia si conferma il secondo Paese al mondo, dopo gli Stati Uniti, per l’esportazione di piccole armi. Il dato emerge dall’ultimo rapporto internazionale sul settore, “Small Arm Survey 2004”, presentato ufficialmente ieri a Ginevra e discusso in via preliminare il 24 giugno nella sede Onu di New York, in una riunione internazionale sulla “rintracciabilità” delle armi piccole eleggere.
Un concetto, quello della “rintracciabilità”, che si fonda sulla marcatura, la registrazione dei dati e lo scambio di informazioni, e consente agli Stati di controllare la circolazione mondiale delle cosiddette Salw (small and lights weapons). La rintracciabilità, fin dall’estate del 2003, è stato un principio sostenuto dal ministro dell’Interno Pisanu ed è all’ordine del giorno del Dipartimento di Pubblica sicurezza. Secondo lo “Small Arm Survey”, dunque, l’Italia, in base agli ultimi dati disponibili (2001) si attesta al secondo posto per valore di piccole armi esportate – pistole, carabine, fucili e fucili mitragliatori – con un ammontare di 298,7 milioni di dollari; per gli Usa la cifra è pari a 741,4 milioni mentre al terzo posto si trova il Belgio con 234 milioni.

Nel rapporto note positive per l’Italia giungono per quanto riguarda la trasparenza delle esportazioni: è decisamente ai primi posti da questo punto di vista.
Un dato molto negativo, invece, riguarda il cosiddetto brokering di armi fatto sul nostro territorio. Il dossier illustrato ieri a Ginevra mette all’indice una carenza legislativa che appare sorprendente: in sostanza, non rischia praticamente nulla un italiano – o un residente nel nostro Paese – che effettua, in Italia, intermediazioni nel commercio di armi, anche se sono illecite, se i traffici non avvengono o non attraversano il nostro Paese. Il caso più clamoroso, ricordato nel rapporto, riguarda Leonid Minin, un cittadino israeliano arrestato in Italia per droga. Nel corso delle indagini furono trovati moltissimi documenti che dimostravano la sua attività nel traffico illegale di armi in Africa, ma con una pronuncia definitiva la Cassazione ha sancito la non punibilità di Minin. Si tratta, tra l’altro, di una delle questioni di cui si sta occupando la commissione interministeriale per la revisione della disciplina delle armi e degli esplosivi, presieduta dal magistrato Giovanni Pioletti. Ma sembra che, nonostante le sollecitazioni dell’Interno e degli Esteri per varare norme restrittive sul brokering di armi, il dicastero della Giustizia abbia espresso una posizione “liberista” sulla questione.

Lo “Small Arm Survey”, infine, ha reso noto che dopo la sconfitta di Saddam Hussein, dai sette agli otto milioni di armi leggere precedentemente in possesso delle forze di sicurezza sono finite in mano a privati. Ma il numero reale potrebbe essere molto più alto. (MARCO LUDOVICO)


APPROFONDIMENTI

10/06/2004 – Aumentano le spese militari e diminuiscono i conflitti:
la fotografia del SIPRI (da MISNA)
http://italy.peacelink.org/rete/articles/art_5487.html

07/06/2004 – Vaticano: lo sviluppo sacrificato sull’altare della
sicurezza (da Vita.it)
http://www.vita.it/articolo/index.php3?NEWSID=44396

04/06/2004 – A Vigo di Fassa “atterra” la tangente sui Mig (da
L’Adige)
http://italy.peacelink.org/rete/articles/art_5486.html

02/06/2004 – Carro armato sbaglia la mira. Tre colpi sfiorano la
spiaggia (da Il Giornale)
http://italy.peacelink.org/rete/articles/art_5518.html

18/05/2004 – Armi: accellera l’agenzia europea, non i controlli
all’export (da Unimondo)
http://unimondo.oneworld.net/article/view/86274/1/

09/06/2004 – Marina militare – Arsenali: industriali chiedono
interventi (agenzia ANSA)
http://italy.peacelink.org/rete/articles/art_5469.html

26/05/2004 – Il settore pubblico italiano sostenuto dalla produzione
per l’apparato militare USA (da Il Manifesto)
http://italy.peacelink.org/disarmo/articles/art_5226.html

10/06/2004 – Diplomazia militare in Asia orientale (da Carta)
http://italy.peacelink.org/rete/articles/art_5517.html

04/06/2004 – Il mercato dei caccia bombardieri (da L’Adige)
http://italy.peacelink.org/rete/articles/art_5470.html