[Piero Ottone • 09.03.04]  Quel che penso di Berlusconi, l’ho già detto tante volte, e non intendo ripetermi. Gli ho anche suggerito, in un paio di occasioni, di ritirarsi dalla vita pubblica, per il bene suo oltre che per il nostro, ben sapendo, naturalmente, che non mi avrebbe ascoltato. Ma il guaio, ormai ne sono convinto, non è Berlusconi...

BERLUSCONI: LA TRAGICOMMEDIA ITALIANA

Quel che penso di Berlusconi, l’ho già detto tante volte, e non intendo ripetermi. Gli ho anche suggerito, in un paio di occasioni, di ritirarsi dalla vita pubblica, per il bene suo oltre che per il nostro, ben sapendo, naturalmente, che non mi avrebbe ascoltato. Ma il guaio, ormai ne sono convinto, non è Berlusconi. Il guaio è il paese, questo nostro paese. Perché uomini egocentrici e istrionici, animati da quelle ambizioni e gravati di quei sospetti, con un passato chiacchierato come il suo e con vari conti aperti con la giustizia, credo che esistano, un pò più o un pò meno bravi, dappertutto. Ma solo in un paese quale il nostro può succedere che un uomo così fatto diventi presidente del consiglio, dia spettacolo, parli a vanvera nei consessi internazionali, dica o lasci dire che è ispirato dallo Spirito Santo, e la faccia franca.

Lo hanno votato, d’accordo. Già quel voto si presta a considerazioni amare. Altrove, in una qualsiasi delle democrazie con le quali amiamo confrontarci, un personaggio nelle sue condizioni, proprietario di tutte quelle reti televisive, al centro di quell’impressionante conflitto di interessi, non si sarebbe presentato candidato alle elezioni; se avesse osato presentarsi, non sarebbe stato votato. Da noi, gli anticorpi non hanno funzionato. Ma un elettorato può attraversare quello che Winston Churchill chiamò, in altre circostanze, “un quarto d’ora di follia”; e ricordiamo tutti la frase celebre di Lincoln, «si può imbrogliare un po’ di gente un po’ di volte». È quel che è avvenuto dopo, quel che avviene adesso, a suscitare stupore e preoccupazione.

Che i Previti e i Dell’Utri, i Bondi e i Ferrara lo seguano, è comprensibile: fanno parte della squadra, hanno il loro interesse. Ma gli altri? Non pretendo che gli altri facciano la rivoluzione. Non ho neanche molto interesse per i girotondi. Quel che mi meraviglia, e mi preoccupa, è il fatto che gli altri, tanti altri, dai suoi alleati politici ai commentatori in apparenza neutrali, si comportano, e parlano e scrivono, come se vivessimo in tempi normali; come se questo fosse un governo paragonabile a tutti gli altri. Abbiamo un primo ministro che scompare per un mese per fare il lifting, che un giorno parla bene dell’euro e un giorno ne parla male, che definisce la magistratura peggio del fascismo, ritiene i magistrati malati di mente, e dice che viviamo in uno stato di polizia; che intanto fa passare tutte le leggi che gli stanno a cuore per proteggersi dal carcere o per mettere in salvo una sua rete televisiva eppure tutti quei commentatori, tutti quegli osservatori che dovrebbero essere la spina dorsale della pubblica opinione non si scompongono più di tanto, pronunciano qualche blanda riprovazione, e invece di sollevare un’ondata di indignazione ci chiedono, a noi che protestiamo, perché ci agitiamo. Forse ce l’abbiamo con lui, dicono, perché è ricco? Forse perché è di destra e ce l’ha coi comunisti, che a noi sono simpatici?

Il momento peggiore, per me, è venuto quando un amico che appartiene anche lui alla schiera di cui dicevo, un amico che scrive come me (e più spesso di me) nei giornali, dopo avere ascoltato certi miei giudizi sulle polemiche in corso mi ha detto: «Ecco, sei accecato anche tu dall’odio per Berlusconi». Accecato dall’odio? Mi sono reso conto che eravamo distanti mille miglia, io e il mio amico, uno dall’altro. Non ho alcuna ragione per odiare Berlusconi. Riconosco le sue qualità. Ammiro i suoi successi negli affari. Gli auguro di godere, nel luogo a lui più congeniale (Bermuda?), una lunga, felice vecchiaia. Quel che mi affligge è il danno che procura a tutti noi il suo comportamento sulla scena politica; lo spettacolo che dà ogni giorno. E mi preoccupa il fatto che, mentre lui dà spettacolo, tante persone che contano fanno finta di niente, come se guardassero altrove.

Allarghiamo il discorso. Parliamo di Craxi, che della tragicommedia di Berlusconi costituisce l’antefatto: il binomio Craxi-Berlusconi è all’origine di tutto. Non odio neanche Craxi, sebbene io non perda occasione per dire quel che penso di lui. Non mi dispiace, per ragioni umanitarie, che abbia finito i suoi giorni in una casa, o villa che sia, a Hammamet, invece che a San Vittore. Era malato, e certo non si divertiva neanche li; anche se si fosse divertito, non me ne farei un cruccio. E non ce l’ho con sua figlia, anche se avrà goduto i frutti dell’eredità di un padre un pò disinvolto nel maneggio del denaro altrui: attribuisco all’amor filiale i suoi sforzi per riabilitarne la memoria. La capisco. Non capisco invece un presidente della Camera (Violante, allora) che riceve ufficialmente dalle mani di lei il diario di Craxi, morto in contumacia, come se fosse una reliquia; ancora meno capisco un presidente del Senato (Pera, adesso) che porta in visita ufficiale una corona di fiori sulla tomba di Craxi, in Tunisia. Corruzione ce n’è dappertutto; ma i paesi che non ci fanno caso, e che anzi portano in auge i corrotti, appartengono al Terzo Mondo.

Riassumerò questi concetti in una frase. Questo nostro governo è impresentabile: un paese che non lo considera tale si pone, agli occhi del mondo, sullo stesso livello.


Articolo di Piero Ottone, pubblicato su “Repubblica” di martedì 9 marzo 2004 – pag 15