CARITAS VICENTINA: «FAMIGLIE IN CADUTA LIBERA. CERCANSI VIVERI E VOLONTARI»


La povertà è stabile e questo significa che le politiche sociali non funzionano. É questo il principale dato che emerge dal Rapporto 2010 sulla povertà e l’esclusione sociale scritto a quattro mani da Caritas Italiana e Fondazione «E. Zancan», presentato nei giorni scorsi a Roma e in contemporanea anche a Vicenza presso la sede della Caritas diocesana vicentina, nel corso di un incontro durante il quale son stati resi noti anche una serie di dati sulla povertà in terra berica.

Il Rapporto

Dal Rapporto 2010 emerge la sostanziale stabilità del fenomeno povertà in Italia, nonostante le azioni di monitoraggio, la commissione nazionale e altre iniziative di natura istituzionale. Di fatto, la durata della povertà è uno degli aspetti più evidenti della situazione italiana e sempre più spesso i poveri non sono solo le persone che vivono ai margini della vita sociale, ma anche persone e famiglie che non sembrano tali perché nascondono la loro imprevista precarietà. Una situazione che la crisi ha aggravato: famiglie numerose con figli piccoli, donne sole con figli, anziani con la pensione insufficiente o con ridotta autonomia; con l’instabilità familiare, la solitudine, la non autosufficienza a fare da aggravanti.

Un dato, quello dei «poveri che non sembrano poveri», confermato dai crudi numeri dell’Istat, che paradossalmente sembrerebbero a prima vista restituire – in tempo di crisi – l’immagine di un paese nel quale la povertà sembra diminuita. «Si tratta però di un’illusione ottica – spiega Tiziano Vecchiato, direttore della Fondazione Zancan – perché l’impoverimento complessivo della popolazione ha portato ad un abbassamento della spesa per i consumi e di conseguenza della linea statistica della povertà. Se aggiorniamo la linea di povertà del 2008 sulla base della variazione dei prezzi, circa 223 mila famiglie in più diventerebbero povere relative: sono circa 550 mila persone, da sommare a quelle già considerate tali dall’Istat».

La povertà di lungo corso, tipica della situazione italiana, non trova però benefici negli interventi sinora realizzati, caratterizzati da un’ottica emergenziale, di breve periodo, basati su trasferimento di denaro e su risposte a bisogni vitali come l’alimentazione e l’alloggio. Ne è un esempio la Social card: il suo impatto sul fenomeno della povertà è stato minimo: solo 40 mila famiglie su un milione sarebbero uscite dall’area povertà grazie ad essa (dati Commissione di indagine sull’esclusione sociale, 2009).

Un altro dato che emerge dal rapporto sono le forti disuguaglianze territoriali presenti nel nostro paese: esistono infatti differenze significative nella capacità di spesa e nell’allocazione delle risorse destinate al contrasto della povertà, ben prima della realizzazione del federalismo fiscale. Ad esempio, nel 2006, si passa, in quanto a spesa per l’area povertà, dai 1,80 euro pro capite dell’Abruzzo ai 23,07 della Valle d’Aosta; e dai 2,75 della Calabria ai 48,28 del Friuli Venezia Giulia in quanto a spesa pubblica a sostegno dei meno abbienti.

Ancora, il Rapporto evidenzia tutti i limiti dell’azione pubblica, stretta nella morsa fra interventi universalistici e interventi selettivi, con il risultato che, ad esempio, l’evasione fiscale fa risultare povero anche chi non lo è, consentendo a queste persone l’accesso a risposte di welfare, mentre ai veri poveri rimangono solo i fondi residui. «Al posto di trasferimenti economici – sottolinea il direttore della Caritas Vicentina, don Giovanni Sandonà – i poveri relativi avrebbero bisogno del finanziamento dei servizi, che invece con il sistema attuale finiscono col diventare un costo aggiuntivo per tante famiglie che vivono in situazioni di poverta’ ma non abbastanza da non dover pagare i costi di queste sistematiche contraddizioni e inefficienze».

Infine, la spesa per assistenza sociale ha mosso in Italia nel 2008 circa 49 miliardi di euro, distribuiti fra spesa centrale, regionale e comunale, ma con enormi differenze di capacità nei diversi territori, con un paradosso: viene dato meno dove c’è piu’ bisogno. Un esempio, il Veneto, dove nel 2004 i differenziali di spesa pro capite tra comuni aggregati per azienda Ulss andavano da 1 a 11, passati da 1 a 13 nel 2006: sono insomma aumentate le diseguaglianze.

«Le proposte e le provocazioni mosse dal rapporto vanno nella direzione di dare impulso a interventi a monte – spiega ancora Vecchiato – in grado di attivare strategie strutturali di contrasto alla povertà che siano in grado di governare queste differenziazioni e ricondurle a un piano di equità sociale e territoriale e di maggiore rispondenza ai bisogni delle persone. Azioni che però non sono oggi nell’agenda delle istituzioni, neppure in ambito locale, visto che nei piani di zona la poverta’ non e’ tra le priorità cui dedicare maggiori impegno e risorse».

Su questo scenario, come può incidere il federalismo? Puo’ far uscire dalla contraddizione che vede lo Stato gestire direttamente o tramite amministrazioni controllate sei settimi della spesa per assistenza sociale: regioni ed enti locali devono avere responsabilità e risorse per gestire un settore nel quale l’amministrazione centra ha mancato i suoi obiettivi.

La conferma vicentina



Il grave dato della cronicizzazione della povertà, sia assoluta che relativa, è confermato anche dai dati della Caritas vicentina. Il Fondo straordinario di solidarietà per chi perde il lavoro, attivo da aprile dello scorso anno, nei primi sei mesi del 2010 ha erogato il doppio di contributi rispetto agli otto mesi di attività dell’anno precedente (405 mila euro contro 212), a fronte di 900 ascolti (contro gli 814 degli otto mesi del 2009). Significa che, oltre alle nuove situazioni di difficoltà intercettate, sono tornate a rivolgersi alla Caritas anche persone che avevano già chiesto aiuto in precedenza.

Le richieste di accesso al microcredito etico-sociale, poi, seppur leggermente in calo, si confermano comunque su valori elevati: nei primi sei mesi del 2010 ci son stati 394 ascolti e 148 prestiti, contro gli 829 ascolti del 2009 e i 442 del 2008 (256 prestiti nel 2009 e 151 nel 2008). Il progetto, dall’avvio nel 2006, ha prestato piccole somme (fino a 4 mila euro) per un totale di quasi 1,5 milioni di euro. Il tasso di restituzione dei prestiti a giugno 2010 si attesta sul 75%: “segno che – sottolinea don Sandonà – seppur con qualche difficoltà e lievi ritardi nel pagamento, le persone, se aiutate e accompagnate, meritano fiducia».

Di fatto, tutti i numeri Caritas narrano sia il continuo scivolamento verso il basso delle situazioni reddituali non sufficienti al pieno sostentamento familiare o personale, sia l’acuirsi della condizione di povertà per le persone e le famiglie nelle quali vi è stata la perdita dell’occupazione non accompagnata dalla possibilità di riassorbimento nel mercato del lavoro.

Altri numeri raccontano invece l’emarginazione cronica verso cui son spinte tante donne e le loro famiglie: lo sportello specifico della Caritas diocesana ha effettuato nel 2009 2.175 colloqui, che sono già 1.748 nei primi nove mesi del 2010. Ai bisogni di queste donne (665 nel 2009, delle quali 60 italiane) si è tentata una vicinanza fatta di segretariato sociale, consegna di borse della spesa e aiuti in denaro, così come, a volte, di progetti di accompagnamento e sostegno in rete e di rimpatri mutuati (44 persone in due anni, compresi 11 nuclei familiari con un totale di 20 minori).

Anno europeo di lotta all’esclusione sociale: un appello per il ricovero notturno

Il 2010 è l’Anno Europeo di lotta alla  povertà e all’esclusione sociale. Un anno che vede la Caritas in prima fila per rinnovare l’impegno sia a fianco dei nuovi poveri che delle persone in conclamata esclusione sociale. Un versante quest’ultimo, che a Vicenza ha la sua espressione piu’ evidente nell’attività del ricovero notturno di contrà Torretti, che alla fine del mese di ottobre riprende, per il tredicesimo anno, nella modalità invernale. Un servizio sempre necessario (284 le persone accolte l’inverno scorso), «che abbisogna, per poter funzionare – conclude Sandonà – della generosità e della disponibilità dei vicentini, chiamati ad offrire coperte e viveri a lunga conservazione, così come un po’ del proprio tempo, previo un momento di formazione, per garantire la preparazione e la distruzione dei pasti, l’accoglienza e la sorveglianza notturna».

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