[Amedeo Tosi – 26.12.2013] Il 22 dicembre del 1988 moriva assassinato Chico Mendes, grande difensore dei diritti dei seringueiros dell’Amazzonia, ucciso davanti alla porta di casa dai fazendeiros Alves da Silva, proprietari del seringal Cachoeira. Chico Mendes era un estrattore di caucciù fin dalla nascita. Viveva nello stato dell’Acre in Brasile.
Il 10 marzo 1976 i lavoratori brasiliani, guidati da Chico Mendes, misero in atto la prima empate, l’occupazione delle terre, per impedire il disboscamento delle foreste ad opera dei grandi latifondisti. Negli anni successivi questa pratica si intensificò sempre di più: i lavoratori delle foreste si riunirono in assemblee popolari per decidere come resistere alle speculazioni dei grandi proprietari. I seringueiros, i raccoglitori di gomma, iniziarono a organizzarsi per salvare ettari di foresta, dichiarati reservas extrativas, dove poter continuare a raccogliere e lavorare il lattice di gomma, e raccogliere frutti e fibre vegetali. Tra il 1976 e il 1977 le empates si moltiplicarono e i lavoratori vennero colpiti da una dura repressione: centinaia di seringueiros furono incarcerati, decine uccisi dalle guardie dei latifondisti.
Chico Mendes partecipò alla fondazione del Sindacato dei lavoratori Rurali di Brasileia e Xapuri. L’intento era quello di cercare di unire la difesa della foresta con la rivendicazione di una riforma agraria. Uno degli ultimi empates organizzati da Chico Mendes prese di mira il seringal «Equador», la cui proprietà era rivendicata dal fazendeiro Darli Alves, allo scopo di destinare l’area a pascolo dopo averla disboscata. L’uccisione del leader sindacale era da tempo pianificata ai livelli alti dell’União Democrática Ruralista con coperture politiche e istituzionali. L’azione dei seringueiros infatti non era più un fatto isolato e doveva assolutamente essere fermata.
Chico Mendes sapeva di essere stato condannato a morte dai latifondisti. In uno dei suoi ultimi discorsi disse: «Non voglio fiori sulla mia tomba, perché so che andrebbero a strapparli alla foresta. Voglio solo che la mia morte serva per mettere fine all’impunità dei jagunços, che possono contare sulla protezione della Polizia federale dell’Acre e che, dal 1975 in avanti, hanno già ammazzato nella zona rurale più di cinquanta persone come me, leader seringueiros impegnati a salvare la foresta amazzonica e dimostrare che il progresso senza distruzione è possibile».
Solo la grande indignazione sollevatasi a livello nazionale e internazionale fece sì che Darli Alves, il mandante dell’omicidio, e il figlio Darci, l’esecutore, fossero arrestati e l’omicidio non rimanesse senza colpevoli come era sempre accaduto in passato. I due fratelli vennero condannati a 19 anni di reclusione ma 4 anni dopo, con la complicità della Polizia, riuscirono a scappare. Darli Alves non era l’unico mandante dell’assassinio. Dietro ai due latifondisti c’erano fazendeiros dell’UDR molto più potenti come Joao Branco e Adalberto Aragao, ex sindaco di Rio Branco.
Chico Mendes fu, e resta, uno dei grandi profeti della nonviolenza, dei diritti, della salvaguardia di quell’ambiente che dovrebbe dare vita ai contadini e che invece, soffocato dalle macchine del profitto occidentale, toglie vita ai popoli del mondo. Sono passati venticinque anni. Poco prima di morire Mendes pronunciò queste parole: «Se venisse un inviato dal cielo e mi garantisse che la mia morte rafforzerebbe la nostra lotta, direi che ne varrebbe la pena. Ma l’esperienza ci dimostra il contrario. E dunque intendo vivere. Perché voglio salvare l’Amazzonia e voglio farlo insieme ai molti che ci vivono e che la considerano come la loro Madre: la Madre Terra di tutti i popoli del mondo».