CONVERTITEVI (di Raniero La Valle)


La guerra contro il terrorismo felicemente è perduta. Ciò non vuol dire rassegnarsi al terrorismo, ma significa che di fronte al terrorismo ci vuole qualcosa di ben diverso dalla guerra. Che tale guerra sia perduta è dimostrato dal fatto che nelle loro spietate azioni di Mumbai i terroristi hanno fatto quello che hanno voluto, l’albergo più bello della città è rimasto nelle loro mani per tre giorni e l’esercito indiano non ha potuto farci niente.

Ciò dipende dalla nuova soglia che il terrorismo ha varcato. La prima è stata quando dalle loro armi rudimentali, fucili micce e polvere da sparo, i terroristi sono passati all’uso delle armi più sofisticate, che intanto noi benpensanti avevamo provveduto a costruire e a immettere in grandi quantità sul mercato. E qui, armi contro armi, si potevano ancora contrastare sul  loro terreno.

La seconda soglia è stata varcata quando i terroristi hanno abbandonato la filosofia della guerra tradizionale, in uso tra la gente per bene, che consiste nell’uccidere gli altri preservando se stessi (fino al sogno delle guerre “a zero morti” della propria parte) e hanno fatto di loro stessi, delle loro anime, dei loro corpi, l’arma micidiale capace di arrivare dappertutto e di guadagnare con la propria ineluttabile morte l’ineluttabile morte degli altri. E qui non si poteva più vincerli sul loro terreno, si poteva solo prevenire il loro attacco, alzare muri, istituire check-point, passare ai raggi X tutti i passeggeri degli aeroplani, far togliere loro scarpe e cinture, piazzare telecamere ovunque, vigilare su ferrovie, banche e metropolitane, mettere in prigione la gente dai colori sospetti e mandare i soldati a fare le ronde per le strade.

La terza soglia è stata superata quando i terroristi, come hanno fatto a Bombay, hanno unito alla risorsa della loro morte sicura tutte le risorse delle moderne pianificazioni e tecniche militari, trasformando però i danni collaterali e mediati delle guerre (città, centri abitati e popolazione civile) in obiettivi principali e immediati. A questo punto neanche la prevenzione funziona; e quando il terrorismo di ultima generazione non sarà più fatto da “martiri” isolati ma da eserciti di kamikaze, allora non ci sarà più scampo. Allora bisognerà cominciare a capire chi sono quelli che ci combattono e perché; non potremo mettere tutto sul conto di un indistinto e generico terrorismo, così come non avrebbe senso combattere contro le guerre mettendole tutte sul conto di un indistinto e generico militarismo.

I terroristi sono persone che hanno forti ragioni, buone o cattive che siano, per essere contro di noi nella forma più radicale e disperata. La domanda è quella che un vescovo americano, se non ricordo male, poneva a Bush: perché ci odiano? O forse ci odiano senza ragione? Andreotti ha detto che dopo sessant’anni da quando è stato loro promesso uno Stato, i palestinesi, per essere terroristi, hanno ragioni da vendere.

Dunque bisogna cominciare e scomporre la galassia del terrorismo, e distinguere quelli che vi orbitano e le lotte che combattono per oggetto e per nome; e vedere, caso per caso, che possibilità ci sono di farne venir  meno le ragioni, non con la guerra ma con la politica. Ciò naturalmente non vuol dire cedere alle ingiuste pretese, anzi molte volte si dovrà resistere; ma forse si verrebbe a scoprire che ad avere ragione c’è molta più gente di quanto si pensi.

In un mondo in cui tutto cambia, cambia anche il concetto di sicurezza. Una volta essa stava in una sufficiente difesa militare. Dopo l’11 settembre gli Stati Uniti hanno proclamato che la loro sicurezza stava nel dominio del mondo, ridotto alla propria misura. Questo è fallito. Viene ora un tempo in cui l’unica sicurezza possibile sta nel rendere amici i nemici. Che nessuno abbia più ragione di odiarci; e che quando queste ragioni ci siano, esse siano assunte, lavorate e bonificate dal dialogo e dalla politica.

A voler essere ancora più radicali, occorrerebbe dire che il solo modo in cui il terrorismo, nostro ed altrui, sarà vinto, sta nella nostra conversione. Lo dice anche il Vangelo: convertitevi, se non volete fare anche voi la stessa fine.

La “buona notizia” è che questo è possibile. È possibile che i rapporti umani nel mondo siano impostati in modo del tutto diverso. Alla domanda se l’uomo, con le sue forze di natura, è capace di questo, la risposta è che sì, ne è capace. In quel giorno di Natale Dio è venuto ad unirsi a ciascuno di noi proprio per farcelo sapere, per farcelo fare. Da quel momento sono davvero ingrate tutte le pie antropologie pessimistiche.

Raniero La Valle


Articolo della rubrica «Resistenza e pace» in uscita sul numero 1/2009 del quindicinale di Assisi, Rocca. Richiedi una copia saggio a [email protected]