[Comitato Internazionalista Arco Iris • 2001] L'Ecuador è il quarto esportatore di petrolio di tutta l'America Latina ed il sesto al mondo. Eppure la sua situazione non è delle migliori: la sottoccupazione raggiunge 61 ecuatoriani su 100. 6 ecuatoriani su 10, poi, guadagnano meno di due dollari al giorno (fonte: quotidiano El Universo, Ecuador, 8 ottobre 2000)

Ecuador: il genocidio del petrolio ha impronte italiane, ma non solo

Qualcosa sembra non funzionare.  L’Amazzonia Ecuatoriana è lo scenario di maggior biodiversità e sociodiversità di tutto l’Ecuador, con una superficie di 130.832 km quadrati che corrispondono al 45% del territorio nazionale ed al 1.6% di tutta la conca amazzonica. Questa zona è per altro considerata come una delle più importanti perché ospita circa 25.000 specie di piante conosciute che si mantengono attraverso una conservazione millenaria. L’attività che maggiormente è stata causa di distruzione di questa terra è stata l’attività legata all’estrazione del petrolio, come dimostrato dall’esperienza vissuta per trent’anni dagli abitanti delle provincie di Napo, Sucumbíos e Francisco de Orellana. Da qui deriva forse il fatto che il paradigma del progresso e sviluppo portato dal petrolio, per l’Amazzonia Ecuatoriana non sia altro che un miraggio ed una forma di complicità verso il debito estero, oltre che l’ennesima forma di aggressione della civilizzazione occidentale, dello “svilluppo” della globalizzazione, a cambio di un genocidio umano e della distruzione della fauna e della flora della regione. E’ dal lontano 1941, quando arrivò la Shell a Pastaza, che le popolazioni indigene della zona si trovano aggredite in nome dagli interessi finanziari delle imprese di turno: Shell, ARCO, Tri-Petrol, CGC, AGIP, ENI ecc..  Lo stato ecuatoriano, da parte sua, poco ha fatto per difendere gli interessi dei Popoli Indigeni. Se da un lato, mediante decreti esecutivi (n°551 e 552), il Presidente dell’Ecuador ha dichiarato intangibili, protette da ogni tipo di attività estrattive in modo perpetuo, le zone Cuyabeno-Imuya e le terre abitate dagli Huaorani, dai Tagaeri e dai Taromename (Parco Nazionale Yasuni), ben poca cosa è stata fatta per le popolazioni indigene di Pastaza. Qui sono stati conferiti titoli di proprietà a 10 comunità: Pandanuque, Paparagua, Santa Cecilia, Kurintza, Elena, Bellavista, Chuyayacu, San Virgilio, Pitacocha e Liquino. Va per altro sottolineato che le leggi sulla proprietà comunale valgono unicamente per la superficie della terra. E, malgrado la Legge Forestale preveda la proibizione di attività estrattive del sottosuolo nei territori indigeni, lo stato si è avvalso della Legge sugli Idrocarburi per favorire gli interessi delle multinazionali. E’ così che nel 1992, la Arco Oriente Inc. (una controllata della nordamericana Atlantic Richfield Co.) iniziò l’esplorazione della zona, scoprendo un giacimento nella zona tra i fiumi Villano e Liquino (poi nominata Campo Villano). L’ENI entrò subito in partecipazione con una quota al 40% (attraverso la AGIP OIL Ecuador). L’arrivo della multinazionale italiana era per altro datato 1987, quando AGIP Petroli acquistava una società per la commercializzazione del GPL, la ESAFI S.A. e, successivamente, istituendo l’AGIP ECUADOR S.A., per operare nel settore estrattivo (fonte:sito internet dell’ENI, http://www.eni.it ). Negli anni successivi, le proteste delle comunità indigene portarono alla firma di alcuni accordi. Agli stessi (1998-1999) parteciparono per lo stato e la parte impresariale: alcuni rappresentanti del consorzio ARCO/AGIP, Petroecuador, e Ministero per l’Energia e le Attività Minerarie; per le organizzazioni indigene: OPIP (Organizzazione dei Popoli Indigeni di Pastaza), FIPPRA (Federazione Indigena dei Popoli di Pastaza e della Regione Amazzonica) ed Asodira (Associazione per lo Sviluppo Imdigeno della Regione Amazzonica), organizzazioni che si unirono successivamente nel Fronte Indigeno di Pastaza (FIP). Tra i punti più importanti accordati nel documento “Gli Intendimenti sull’Accordo del Piano Texas”, l’ARCO/AGIP si impegnava a realizzare una valutazione dell’impatto ambientale del periodo di esplorazione ed a elaborare uno Studio di Impatto Ambientale, oltre che un Piano di Amministrazione Ambientale, per il periodo di sfruttamento. Arco, in realtà, evase alle proprie responsabilità, realizzando degli studi unicamente nell’area dei pozzi di esplorazione e non sulle vie di comunicazione (fonte: Pablo Ortíz T “Globalización y Conflictos Socioambientales”, Quito, Abya Yala, 1997).  Di fronte al mancato compimento degli accordi da parte dello Stato e dell’ENI, le comunità di Amazanga e San Virgilio hanno presentato un ricorso di Protezione Costituzionale. Il 7 Aprile 2000, la Corte di Pastaza ha risposto negativamente al ricorso, affermando, tra le altre cose, che il pagamento per opere e servizi deve essere considerato una adeguata indennizzazione. Nel frattempo, nel 1999, l’ENI ha esercitato il diritto di prelazione per l’acquisto del rimanente 60% del Campo Villano, divenendone unica proprietaria. Le organizzazioni indigene continuano ad appellarsi al Accordo Internazionale n°169 della Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL), accordo che è per altro incluso nell’attuale costituzione dell’Ecuador e che prevede l’obbligo di consultare i popoli indigeni, di rispettare i loro interessi, le loro istanze organizzative, di assicurare loro benefici per le attività che si sviluppano nel loro territorio e l’indennizzazione per gli impatti ambientali. Di fronte all’indifferenza dello Stato ecuatoriano e dell’ENI, la comunità di Amazanga si è rivolta all’attenzione del Comitato Internazionalista Arco Iris. Ecco quindi che come richiesto da Bolívar Santi, diffondiamo la sua lettera, con la speranza che questa generi la solidarietà dovuta.


Note: (Commissione Popoli Indigeni e Direttivo Nazionale del Comitato Internazionalista Arco Iris).