[di Ettore Masina • 19.05.03] I vecchi ricordano spesso la loro infanzia. Io cercai di "saltare" la quinta elementare e mi rimandarono a ottobre in disegno, un piccolo scandalo che appassionò una vasta opinione pubblica di parenti e di amici. Tuttavia ripenso con orgoglio ai miei "quadri" per il ritorno della primavera: il cielo senza nubi, le rondini che lo popolavano, l'erba verdissima, gli alberi pieni di foglie, un ruscello dalle rive fiorite...

ETTORE MASINA: LA LETTERA DI MAGGIO 2003

I vecchi ricordano spesso la loro infanzia. Io cercai di “saltare” la quinta elementare e mi rimandarono a ottobre in disegno, un piccolo scandalo che appassionò una vasta opinione pubblica di parenti e di amici. Tuttavia ripenso con orgoglio ai miei “quadri” per il ritorno della primavera: il cielo senza nubi, le rondini che lo popolavano, l’erba verdissima, gli alberi pieni di foglie, un ruscello dalle rive fiorite. Le immagini che popolano i sogni dei bambini in questa primavera del 2003 sono diverse, dicono gli psicologi. Sono quelle dei telegiornali, dalle quali i genitori e i nonni tentano invano di preservarli. Le nuove guerre, “mediatiche”, hanno anche questa terribilità: di aggredire tutti i bambini, anche quelli che non dovrebbero temere fame e bombardamenti. Lo scandalo dell’odio, delle devastazioni inflitte da uomini ad altri uomini aggredisce i piccoli. Gesù ha profetato una sorte terribile per chi li scandalizza . Anche per questo maledetti siano (sono)  i signori della guerra: quelli che la decidono, quelli che la vogliono per ricavarne soldi e potere, quelli che la consentono, quelli che la pensano come una cosa, tutto sommato, “normale”, quelli che la commentano con sorridente cortesia nei salotti mediatici, dimenticandone le atrocità, il sangue, le mutilazioni, le morti.
 
QUALE LIBERTA’?
Poiché io sono un adulto, tuttavia, l’immagine che più mi ha colmato nelle scorse settimane di sorda indignazione, di quasi disperato furore e di imperiosa volontà di non arrendermi al pessimismo non è fra le più atroci. Non mostra donne vestite di nero che levano le mani al cielo per esprimere un dolore infinito, non volti di bambini mutilati o cumuli di cadaveri putrefatti in attesa di sepoltura. Neppure documenta la spietata avidità di turbe di predoni che saccheggiano, senza che gli occupanti se ne interessino, gli ospedali  ormai al collasso e i musei che conservavano le più antiche memorie della nostra civiltà. Né suscita in me il pensiero (la certezza) che entro pochi  mesi questi “sciacalli” si trasformeranno in attori di spaventose pulizie etniche.
L’immagine che provoca in me sentimenti così forti e quasi primordiali è quella sorridente di Bush e di Blair che rivolgono un appello televisivo al popolo iracheno: “Vi portiamo la libertà”. Quelle immagini e quelle parole, com’è noto, non sono mai arrivate sulla terra alla quale erano destinate: emesse da un prodigio della tecnica (una emittente televisiva in volo sull’Iraq) sono andate sperse nell’etere perché nel paese invaso tutte le centrali elettriche erano state distrutte. La pretesa, dunque, di donare, via televisione, messaggi di speranza a un popolo che contava disperato i suoi morti e non riusciva a curare i suoi feriti, che era privo di ogni mezzo di comunicazione  e che dopo il tramonto viveva in tenebre rotte soltanto dalle fiamme, mostrava la paurosa schizofrenia politica della Casa Bianca: il Bush-predicatore incapace di comprendere l’estensione del peccato del Bush-guerriero o, anche peggio, il Bush-coman-dante-in-capo privo di notizie (o incurante delle notizie) sull’esecuzione dei suoi ordini. Credo che questo episodio sveli meglio di tanti altri l’insipienza criminale di questa guerra, l’incapacità di coloro che l’hanno scatenata di prevedere, ma anche, poi, di accorgersi, delle sofferenze che, abbattendosi su un piccolo popolo,  la  mostruosa macchina militare dell’impero avrebbe causato. Bush ha avuto mesi e mesi per programmare l’invasione che la diplomazia, il diritto internazionale, la ragione e il consesso delle Nazioni Unite gli hanno a lungo negato; per raccogliere e valutare i messaggi di una ricchissima e spietata intelligence; per oliare l’immensa macchina militare approntata dal Pentagono; insomma per prevedere minutamente il “durante” e il “dopo”. Questo tempo, si direbbe, è stato totalmente sprecato, totalmente occupato a ingigantire la forza d’urto contro un nemico poco più che inerme: 23 milioni di persone, per metà ragazzi e bambini, colpevoli soltanto di essere vittime di una spietata dittatura e di vivere in un paese  ricchissimo, di una ricchezza della quale a loro arrivavano soltanto le briciole.
La devastazione non soltanto del regime di Saddam Hussein  ma dell’intero Iraq ha aspetti di una violenza che sfiora la paranoia, l’invasamento di un moderno crociato: per niente affatto insensibile, peraltro, come del resto i crociati di un tempo, agli aspetti economici della sua missione. Soltanto un obiettivo è apparso chiaro e meritevole di ogni cura alla Casa Bianca, ai suoi occupanti (Bush ma anche il trust dei petrolieri che lo ha eletto e lo circonda), al Pentagono, alla ex-colomba Powell: il possesso e l’immediato sfruttamento dei giacimenti d’oro nero. E’ capitato che un carro armato americano colpisse l’albergo in cui tutto il mondo sapeva stessero i giornalisti e molti altri carri armati e aerei hanno massacrato donne e bambini  in fuga, e , con “fuoco amico”, persino commilitoni: episodi toccanti, danni collaterali, tragici errori di giovani soldati, ha gridato il Quartier Generale. Ma nessun piccolo militare o aviatore ha sfiorato con un missile le zone petrolifere. Mentre, i tanks americani abbattevano a Bagdad portoni e porte corazzate dei grandi edifici del regime consentendo saccheggi e distruzioni (magari di archivi compromettenti) un imponente appartao difensivo americano difendeva accanitamente l’incolumità del ministero husseiniano del Petrolio.
Il “prima” e il “durante” si consumano nel cinismo di chi pretende, ormai senza più veli, l’americanizzazione di tutte le forme planetarie di energia e soltanto a questo guarda, nella convinzione che tale sia la sacra missione degli Stati Uniti. La demolizione del diritto internazionale, delle strutture di pace delle Nazioni Unite, dei diritti umani sanciti dalle convenzioni di Ginevra (si pensi alla vergogna di Guantanamo, ove adesso si sono scoperti fra i prigionieri destinati alla follìa  tre adolescenti afgani di meno di 15 anni!) sembrano a Bush e ai suoi collaboratori  (o ispiratori; o mandanti) prezzi da pagare senza battere ciglio alla difesa intransigente, sordida dell’american way of life. Così la seminagione di odio fra gli arabi e non solo, la spinta al terrorismo, il montante anti-americanismo.
Niente sembra frenare l’avidità degli uomini del business che hanno mandato a morire “i nostri ragazzi” e devastato un popolo di innocenti. Sono gli stessi che ora guadagneranno miliardi di dollari ricostruendo ciò che avevano fatto accuratamente demolire. Sono gli stessi che ora pongono, di fatto, la sorte della Palestina nelle mani insanguinate di Sharon.
 
LE RAGIONI DEI PACIFISTI 
Hanno ragione i pacifisti a non ritirare dai loro balconi le bandiere iridate e a continuare a gridare il loro orrore per l’ipotesi di una guerra infinita, traduzione in chiave militare e sanguinosa di una globalizzazione che invece di rendere la Terra più piccola e più unita, più civile e fraterna, la spacca con la violenza dell’ingiustizia. La teoria della guerra preventiva, orrenda teratologia del diritto, ci prepara tempi durissimi nei quali ciascuno di noi dovrà prendere posizione. La militarizzazione della politica è una minaccia mortale alla democrazia: a tutte le democrazie, anche a quella degli Stati Uniti , che appare sequestrata da un trust di potenti senza scrupoli.
C’è subito da mettersi al lavoro perché la sfida è già lanciata. C’è un’altra immagine che viene dall’Iraq e che mi commuove. E’ un anziano che recupera uno ad uno  i mattoni della sua casa distrutta, aiutato da bambini che forse sono i suoi  figli o forse i suoi nipoti. Credo che quell’immagine possa esserci d’esempio. La brutale conclusione (se è tale) di questo secondo round della guerra infinita di Bush (il primo essendo stato, ovviamente, quello dell’Afghanistan)  non può, non deve consentirci depressioni e scoraggiamenti. Vi sono collegamenti da riprendere, problemi da approfondire, strumenti  da affinare; difficoltà da fronteggiare con la consapevolezza che nessuno farà mai ciò che potremmo fare noi. Vi sono  maestri  da riscoprire e domande a cui  rispondere, nella scuola e nelle case. Dobbiamo dedicare più tempo ai nostri figli e nipoti. Il movimento della pace ha nuove sensibilità e maturità da acquisire. Vi sono notizie  da ricercare e da far circolare (8 milioni e mezzo di italiani hanno come unica fonte di informazioni la televisione!) e lotte da animare nel Parlamento e nel Paese. C’è da richiamare continuamente la consapevolezza che ormai non vi  sono  più distanze: il virus della polmonite atipica vola da Guangzhou a Toronto e, come dicono gli etologi, se muore una farfalla in Amazzonia è scarso il raccolto in Cornovaglia: trionfa l’Amico Bush e il Cavaliere dei falsi in bilancio torna all’attacco della Costituzione repubblicana. Contiene articoli “di stampo sovietico” dice; e si rifiuta di partecipare alle celebrazioni della Resistenza. (Ettore Masina, giornalista)