[di Frei Betto • 20.03.04] In epoca di dominio incontrastato della pubblicità, diventata non solo l'anima del commercio, ma anche della politica, il cammino della sinistra si fa ancor più irto di insidie. La sottomissione dei candidati ai parametri del marketing; il rischio - così attuale e concreto - che tali parametri finiscano per prevalere anche nell'esercizio del potere; la perdita di una prospettiva strategica e di un orizzonte utopico: è in tutto questo che la sinistra si trova oggi impigliata, come è tristemente evidente un po' ovunque nel mondo. A parlarne, in un intervento dal titolo "Deideologizzazione delle campagne elettorali", è il teologo della Liberazione, nonché consigliere del presidente brasiliano Lula, Frei Betto. Lo riportiamo qui di seguito, in una nostra traduzione dal portoghese...

FREI BETTO. DA MARX AL MARKETING: I RISCHI DI UNA SINISTRA DI IMMAGINE

Il capitalismo ha imparato dalla Chiesa a fare pubblicità. È stato Gesù ad inventarla, ordinando ai suoi discepoli di andare e predicare a tutte le genti. Prima dell’apparizione del Cristianesimo, le religioni, confinate in etnie e popoli, escludevano la pubblicità. Chi nasceva ebreo viveva sotto i precetti mosaici. È stato il cristianesimo la prima religione a rompere tali barriere. È diventata “cattolica”, che significa “universale” o, in termini attuali, “globalizzata”.

Paolo è stato il primo grande pubblicitario della nuova religione fondata da Gesù. È partito per le regioni del Mediterraneo annunciando Cristo, accessibile a giudei e pagani, greci e romani. Abbracciare la Buona Novella (modello di ogni pubblicità) non implicava, per quei popoli, rinnegare le proprie radici etniche, nazionali e culturali. Più tardi il Vaticano avrebbe creato la Congregazione di Propaganda Fide, responsabile della comunicazione della Chiesa.

Con la Rivoluzione Industriale, la produzione in serie ha richiesto una spinta al consumo. I beni hanno cessato di avere solo un valore d’uso. E sono passati ad avere, soprattutto, un valore di scambio. A poco a poco, la produzione ha smesso di mirare strettamente alle necessità dei consumatori. Il mercato è diventato fine a se stesso. Si è cominciato a produrre non per supplire a mancanze, ma per ottenere profitti. Così, si è ampliato il mercato dei prodotti superflui. Cosa che ha richiesto un maggiore impegno pubblicitario, in modo da trasformare, agli occhi del consumatore, il superfluo in necessario.

Il capitalismo riduce tutto alla condizione di merce. È quello che Marx ha definito reificazione. Prodotti agricoli e industriali, servizi e attività culturali, idee e convinzioni, tutto diventa una merce da trattare secondo le leggi del mercato. Politici e politiche passano e ricevere lo stesso trattamento. Gli esperti di scienze politiche cedono il passo ai pubblicitari.
Nella democrazia borghese, predomina la vittoria elettorale dei candidati che contano su maggiori risorse finanziarie e, pertanto, sono in condizioni di farsi più pubblicità. La vecchia sinistra, interessata all'”assalto al potere”, escludeva la pubblicità, per quanto si impegnasse a divulgare le sue proposte. Ma lo faceva a partire da presupposti sbagliati, come credere che queste proposte andassero incontro alle sofferenze del popolo e, pertanto, funzionassero come un fiammifero acceso vicino alla benzina… Ha capito troppo tardi che l’ideale dei poveri è l’illusione borghese. Essere come i ricchi seduce di più che lottare per l’uguaglianza sociale. Uguaglianza che la sinistra propugnava attraverso il discorso ermetico dei concetti ideologici, inaccessibili alla comprensione popolare. Si utilizzava un linguaggio appreso solo dai membri della tribù ideologica.
 
Un prodotto chiamato candidato

Abbandonato l’orizzonte rivoluzionario, la nuova sinistra cede al pragmatismo pubblicitario. È necessario competere in condizioni di uguaglianza con gli altri candidati. Così, il servizio dei curatori di immagine diventa più importante delle analisi in prospettiva degli osservatori politici di una campagna elettorale. L’importante, ora, è vendere al mercato questo prodotto chiamato candidato. Renderlo appetibile al consumatore-elettore, in modo che questo depositi su quello il suo voto, come espressione di speranza.

L’opinione pubblica non digerisce il codice concettuale della sinistra. Condizionato dalle sofisticate risorse pubblicitarie, che si rivolgono più all’emozione che alla ragione, il mercato dei consumatori è più sensibile alla forma che al contenuto, alle apparenze che alla proposta, a quello che tocca la sfera affettiva, e non a quanto fa appello all’intelligenza.
Così, sembra non esserci alternativa per la sinistra, nel caso voglia vincere le elezioni (fintantoché non si avrà una riforma del sistema elettorale che, per esempio, ponga fine al finanziamento privato delle campagne), che sottomettersi ai parametri del marketing. Per questo, le candidature, salvo rare eccezioni, soffrono sempre di più di progressiva deideologizzazione, rivestite di un imballaggio che copre convinzioni e proposte, lasciando trasparire solo banalità: il sapore familiare del candidato, il luccichio delle persone che lo appoggiano, la sua apparenza sempre gioviale e decisa: insomma, un involucro che ispiri fiducia nei consumatori-elettori.

È il lupo che si veste da agnello? Non necessariamente. Anche perché vi sono innumerevoli agnelli visti come lupi da chi nutre i pregiudizi della destra. Però, c’è una differenza radicale tra sinistra e destra. Questa agisce motivata da interessi, soprattutto quello dell’aumento della ricchezza che concentra nelle sue mani. La sinistra agisce spinta dai principi, centrati sul diritto alla vita della maggioranza della popolazione. Non ho mai visto un politico di destra che appoggiasse riforme orientate a diminuire la disuguaglianza sociale, riducendo il reddito dei più ricchi per permettere ai poveri maggiore accesso alla ricchezza nazionale.

La pastorizzazione elettorale della sinistra corre il rischio di estendersi all’esercizio del potere. Se la moglie di Cesare doveva essere onesta e anche sembrare onesta, il politico che lascia manipolare la sua immagine per effetti elettorali rischia di preoccuparsi più di apparire efficiente che di essere efficiente. Governa con gli occhi fissi sui sondaggi di opinione. Abdica dai suoi impegni presi in campagna per sottomettersi alla sindrome dell’elettoralismo, ossia, la sua ossessione diventa quella di mantenersi al potere e non di amministrare il Paese per imprimere un miglioramento alle condizioni di vita della maggioranza della popolazione.

Questa perdita di ideologia tende a ridurre la politica all’arte di accomodare interessi. Si perdono la prospettiva strategica e l’orizzonte utopico. Non si cerca più un altro mondo possibile. Ora tutto si riduce a coltivare una buona immagine presso l’opinione pubblica. A poco a poco, la militanza si estingue, cedendo il posto a chi lo fa per lavoro, gente sprovvista di quell’entusiasmo che imprimeva idealismo a una proposta. La mobilitazione è sostituita dalla professionalizzazione.

La politica è sempre stata un fattore di educazione alla cittadinanza. Svuotata di contenuto ideologico, come consistenza di idee, si trasforma in un mero affare di accesso al potere. Come avvenuto in California con Schwarzenegger, si sceglie chi ha maggiore visibilità pubblica. Anche se sprovvisto di etica, principi e progetti. È la vittoria del mercato sui valori umanitari. Al posto di Libertà, Uguaglianza e Fraternità, subentrano la visibilità, il potere di seduzione e le ampie risorse della campagna. È la predominanza del marketing sui principi. E, come tutti sappiamo, il segreto del marketing non è vendere prodotti. È vendere illusioni, con le quali ricopre i prodotti. Esse nutrono la mente di fantasie, per quanto non riempiano la pancia. Ma alimentano anche la rivolta degli esclusi che, attratti dalla fantasia, esigono realtà, alla loro maniera. Peggio per tutti noi. A meno che la riforma politica venga a depurare e migliorare il nostro processo democratico.


(da: Adista n° 22 del 20 marzo 2004)