GIOVANI ISRAELIANE CONTRO L’OCCUPAZIONE (di Giancarla Codrignani)


Neta golanMolti e molte soffrono nel mondo per mancanza di giustizia e di libertà. Penso alla pacifista palestinese Neta Golan (foto)in carcere in Israele, a Shirin Ebadi (foto) “avvertita” dalle autorità iraniane di non proseguire la sua attività di “sovversiva” o alle due suore rapite in Kenia

Ma penso anche alle soldate israeliane forse ancora detenute per essersi rifiutate di prestare servizio dove si distruggono le case e gli ulivi dei palestinesi: la stampa ce ne ha fornito la notizia un mese fa senza dare poi seguito all’informazione.

Gli eserciti ricevono nuovo consenso quando la gente ha paura; per questo, a partire dai luoghi dove impera la professionalità tradizionale, sembra necessario prendere in considerazione ogni presa di distanza dalle pratiche di violenza connaturate nell’istituzione militare. Le soldate sono, in quanto donne, l’esempio eclatante dell’omologazione al modello unico totalizzante e non si sottraggono alla “normale” esecuzione di ordini, come dimostrato ad Abu Graib.

Shirin ebadiSe in Israele il servizio è obbligatorio per maschi e femmine e fin qui si sono avuti i casi di refusenik maschi, l’arresto delle ragazze israeliane di leva perché non vogliono andare a combattere nei Territori occupati ci invita a fare attenzione per capire se c’é qualcosa di nuovo tra i giovani. Infatti alla fine dell’anno scolastico scorso, è uscita dai licei una “lettera dei maturandi” in cui si contestava “la politica di segregazione, oppressione e stragi” che il governo conduce nei Territori occupati.

Si tratta di una protesta che non fa riferimento all’obiezione classica, ma alla disobbedienza civile. Le ragazze imprigionate non hanno rifiutato la leva militare e neppure hanno chiesto un trattamento privilegiato, ma hanno affermato che i confini del 1967 debbono essere rispettati e che le invasioni di colonizzazione non possono essere una politica degna di Israele.

É ovvio che non ci possiamo illudere: i coloni continueranno a rivendicare il loro diritto a invadere le terre altrui e i governi di Tel Aviv non rispetteranno i diritti palestinesi. Tuttavia andrebbero conosciute dall’opinione pubblica le novità potenziali nella politica pacifista: si sono formate sigle nuove, in particolare di donne (oltre alle «Donne in nero», più note in Italia) che – come da noi – in presenza dei vecchi schematismi che riportano al razzismo e rafforzano il nazionalismo, tentano di avvalorare, più per intuito che per cultura, i principi di giustizia e di pace che, per affermarsi nel mondo, richiedono la consapevolezza di maggioranze ancor oggi educate a identificarsi sul principio della forza e dell’egoismo.

Cinque ragazze stanno dando preoccupazione all’esercito e la denuncia pubblica di cui si sono fatte responsabili risulta più forte del radicalismo: l’informazione non deve fare come i governi e tacere il processo e le pene, per far ignorare le carenze dell’istituzione militare. Omer Golman, Mia Tamarin, RazBar David, Sahar Vardi e Tamara Katz dove siete mentre noi qui festeggiamo il Natale e aspettiamo senza illusioni un anno meno violento? Ancora in detenzione? o siete state “perdonate” senza processo perché tutti sanno che avete ragione?

Giancarla Codrignani

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