[di Eugenio Melandri • Luglio 1998] C'è una sorta di schizofrenia in tutti i governi europei, compreso quello italiano, quando affrontano il fenomeno delle migrazioni. Da una parte tutti proclamano l'intangibilità dei diritti delle persone, che vanno oltre la nazionalità e i confini, e dall'altra -nella concretezza- fanno di tutto per limitarli, per contestualizzarli. Il fatto è che la grande Europa -ma forse sarebbe meglio dire gli europei, cioè noi- ha paura...

IMMIGRAZIONI: LA PAURA DI QUELLI CHE STANNO A SUD

C’è una sorta di schizofrenia in tutti i governi europei, compreso quello italiano, quando affrontano il fenomeno delle migrazioni. Da una parte tutti proclamano l’intangibilità dei diritti delle persone, che vanno oltre la nazionalità e i confini, e dall’altra -nella concretezza- fanno di tutto per limitarli, per contestualizzarli. Il fatto è che la grande Europa -ma forse sarebbe meglio dire gli europei, cioè noi- ha paura. Ha paura degli altri, di quelli che stanno fuori, soprattutto di quelli che stanno a Sud. Ha paura della gente che abita l’altra sponda del Mediterraneo, e che giorno dopo giorno, riceve i programmi televisivi italiani, spagnoli e francesi. Con tutti i lustrini che la nostra società artificiale è così capace di mettere in mostra. Vedere porta a desiderare. E il grande mercato ha bisogno di sollecitare il desiderio. Il desiderio infatti stimola il consumo e il consumo alimenta il mercato. Anche qui una contraddizione, perché fino a quando a desiderare sono i ricchi, quelli che possono, allora tutto va a vantaggio dell’espansione del mercato. Ma quando a desiderare sono i poveri, i disperati, allora il desiderio diventa frustrazione. Può trasformarsi in voglia di rivalsa. In odio, perfino. Stretto tra situazioni difficili che espellono e richiami luccicanti che attirano, il Mediterraneo si è trasformato in un crocevia dove si incrociano disperazioni e speranze. Dove barche e barchette viaggiano cariche di drammi e di frustrazioni, di desideri e di progetti. A volte senza nessun approdo. perché ormai forse non è più possibile contare le speranze finite in fondo al mare. Alcune di queste tragedie si conoscono, altre resteranno per sempre sepolte in questo mare che dovrebbe unire e che invece continua a dividere. Intanto l’Europa va. Espone i suoi trofei di forze e superiorità. Sarà la prima potenza economica del mondo. Potrà vincere la grande competizione con le altre potenze. Toglierà ogni frontiera al proprio interno per unirsi sempre più. Dovrà tuttavia sempre guardarsi attorno. Stare attenta ai vascelli della speranza che solcano il Mediterraneo. Dovrà guarnire ancora di più le frontiere esterne. Far partire dalle sue coste navi-poliziotto che blocchino lontano i clandestini. Sempre e soltanto in nome della paura. Forse, se smettesse la paura e cominciasse ad usare l’intelligenza, scoprirebbe che -proprio nell’epoca della globalizzazione- è il tempo dell’incontro. Della condivisione. Che, mai come ora, non può non valere il principio dei vasi comunicanti. E comprenderebbe che i diritti, della cui proclamazione l’Europa va fiera, di fatto le domandano di aprire le frontiere esterne e di mettere in moto una strategia di solidarietà. Concreta. Anche nell’economia. Soprattutto nell’economia. É inscritto infatti nella stessa cultura europea che i diritti sono di tutti. Anche dei “sans papier”. perché sono scritti su ben altro che su dei semplici pezzi di carta.