[Ettore Masina • 05.11.04] L'Uruguay dei governi di centro-destra era uno dei vassalli cui la Casa Bianca affidava i lavori sporchi all'ONU; non lo sarà più...

LA «LETTERA» DI ETTORE MASINA. IL RISCATTO DELL’URUGUAY

Il giorno delle nozze della regina Elisabetta Seconda, mentre tutta la stampa del Regno Unito e del mondo intero si lasciava andare a un’orgia di notizie, fotografie e interviste a storici, ecclesiastici, sarte, gioiellieri e produttori  di mirabolanti torte nuziali, il quotidiano comunista londinese “Daily Worker” dedicò l’intera prima pagina alla cronaca minuziosa del matrimonio di un’oscura dattilografa, di nome Mary Smith (o qualcosa del genere). Era certamente uno sberleffo repubblicano; ma era anche qualcosa di più: un richiamo contro la convinzione dei mass-media che la  Terra, la storia e la vita delle persone siano importanti solo se legate ai VIP o espresse in cifre con molti zeri.

Temo (in realtà ci sono abituato) di essere considerato un idiota o un inguaribile terzomondista (che poi per molti miei autorevoli colleghi è la stessa cosa) se dedico la prima parte di questa LETTERA alla vittoria elettorale delle sinistre in Uruguay invece che alle imminenti elezioni negli Stati Uniti. Lo faccio per molteplici ragioni che chiarirò, la prima delle quali è che le elocubrazioni Bush-Kerry sono ormai al momento della verità e, la seconda, che almeno un terzo degli uruguaiani è di ascendenza italiana. Ciononostante la nostra cosiddetta opinione pubblica sa ben poco di questo paese latino-americano, patria di grandi scrittori come Juan Carlos Onetti, Mario Benedetti ed Eduardo Galeano.

Voglio allora raccontare ai più giovani fra i miei lettori, e ricordare ai meno giovani, che, nell’interminabile inverno delle dittature militari latino-americane, dall’inizio degli anni ’70 al 1985, dell’Uruguay si potè dire che era “un piccolo paese trasformato in un immenso carcere”. Il fascismo dei militari, la loro ossessione anticomunista si abbatterono sulla popolazione con feroce brutalità. Le prigioni erano tanto affollate che talvolta i detenuti erano costretti a dormire nei cortili, sotto le intemperie. La pratica di orrende torture, diffusa al punto da poter essere considerata “normale”. Come raccontò Costa Gavras nel suo “L’amerikano”, istruttori di sevizie particolarmente efferate e “scientifiche” venivano forniti dal Pentagono. Le desapariciones  erano frequenti.

Centinaia di migliaia di uruguaiani furono costretti a fuggire, in esilio. Non pochi furono raggiunti e assassinati dagli sgherri dell’Operazione Condor, l’internazionale del terrore fondata da Pinochet. Poi, per molteplici ragioni, alcune delle più importanti dittature latino-americane crollarono sotto il peso della loro stessa insensatezza, con una specie di “effetto-domino”: una dopo l’altra,  quella brasiliana, quella argentina e infine quella uruguaiana. Mentre rimanevano al potere i regimi militari andini, cileno e paraguaiano, in Brasile, in Argentina e in Uruguay. essi si trasformarono nelle cosiddette “democradure”: miscele di democrazia e dittatura o, meglio, precarie democrazie controllate e limitate dai militari.

Quando mia moglie Clotilde ed io vi arrivammo, nel tardo agosto del 1985, in Uruguay questa trasformazione era appena avvenuta e il paese viveva una inquieta atmosfera, insieme dolorosa e coraggiosa. Ricordo quella Montevideo: una città completamente “europea” strangolata, a partire dagli anni ’50, dalle leggi del commercio internazionale, le quali alzavano (e alzano) i dazî contro l’espor-tazione dei prodotti uruguaiani (carne, cuoio, lana): palazzi mai portati a termine, negozi bellissimi e vuoti, maree di cittadini che improvvisavano mestieri di sopravvivenza. Rivedo ancora, con infinita pietà, un vecchio signore che indossava un abito elegante  e pulito, ma con i polsini della giacca e i risvolti dei pantaloni lisi e sfilacciati; chiese a Clotilde se per caso non volesse comprare dell’aspirina, mostrò il palmo della destra, v’erano due compresse.

Dalle prigioni uscivano persone, alcune delle quali avevano nel volto la fierezza di non essersi mai arrese e molte altre parevano inebetite dai patimenti, faticavano a parlare e a sorridere. Se qualcuno provava a chiedere la punizione dei peggiori carnefici, l’esercito interveniva brutal-mente per proclamare la necessità della pacificazione  nazionale, cioè l’impunità per i carnefici. Durante il nostro soggiorno, un giudice coraggioso ordinò l’arresto di un colonnello  colpevole di infinite atrocità. Subito lo Stato Maggiore proibì che l’ordine fosse eseguito. Quando i quotidiani pubblicarono il comunicato dell’esercito, eravamo con  un giornalista che era stato seviziato da quel ufficiale. Ricordo ancora il suo volto farsi pallidissimo mentre leggeva il comunicato; ne sono sicuro,  si sentiva di nuovo nella sala della tortura.

Tuttavia i partiti riprendevano coraggiosamente il loro lavoro; la Democrazia cristiana stava insieme alle sinistre in un Frente Amplio antifascista. Lo presiedeva un oriundo italiano, il generale Liber Seregni, un uomo che aveva la dignità del nostro Parri: lo avevano appena estratto da una spaventosa cella sotterranea, dove era stato più volte torturato per ordine dei suoi ex colleghi; adesso nel povero appartamento che gli fungeva da ufficio, riceveva continuamente giovani e anziani che volevano “ricominciare”: soprattutto nei quartieri periferici in cui i militari avevano seminato per anni terrore e sospetti, la gente riprendeva a organizzarsi per risolvere i gravissimi problemi collettivi: scuole, sanità, trasporti, caro-vita. Nelle fabbriche i sindacati si rinsaldavano. A Montevideo, un milione e mezzo di abitanti, si vendevano più quotidiani che a Roma. Giorno dopo giorno, lentamente e rischiosamente, la democrazia andava fortificandosi.
 
La situazione attuale
 
Sono passati vent’anni, le difficoltà economiche dell’Uruguay sono ancora assai gravi: il paese ha risentito duramente della crisi economica argentina del 2002, essendo i due stati confinanti strettamente legati dall’interscambio. I governi di centro- destra hanno sempre minuziosamente seguito i “consigli” del Fondo Monetario Internazionale, e perciò, come spesso avviene in questi casi, il prodotto interno lordo è migliorato ma le condizioni di vita della gente sono diventate anche più dure.

A 175 anni dalla proclamazione della Repubblica (per la cui nascita combatté anche Giuseppe Garibaldi), gli elettori hanno detto “basta” ai  due tradizionali partiti di potere – il Blanco e il Colorado – espressione della borghesia massonica e autoritaria, e hanno eletto al primo scrutinio un presidente candidato dal Frente Amplio: uno scienziato figlio di poverissima gente. A vent’anni dall’epoca dei golpe e delle camere di tortura, più dei due terzi dell’America Meridionale sono ora retti dalle sinistre. Nell’ambito del Mercosur (l’area di libero scambio del cosiddetto Cono Sud) sono di sinistra tre governi (l’Uruguay, l’Argentina e il Brasile) su quattro (il quarto è il Paraguay). Ancora dieci anni fa nessuno avrebbe osato sperarlo.
 
Testarde speranze
 
Eventi marginali in una Terra in cui il potere politico ed economico (e dunque il futuro) risiedono quasi completamente altrove? Può ben darsi; e però è un fatto che nel mondo “subalterno” circolano fermenti, nascono, muoiono e rinascono testarde speranze che i Grandi non riescono a controllare come vorrebbero; che l’omologazione non è realtà compiuta; che un gruppo di nazioni “secondarie” riunite intorno ai paesi della nuova America Latina sta diventando scomodo protagonista di organismi internazionali, per esempio sul cosiddetto libero commercio.

L’Uruguay dei governi di centro-destra era uno dei vassalli cui la Casa Bianca affidava i lavori sporchi all’ONU, le proposte su Cuba e sulle guerre; non lo sarà più.
 
Ettore Masina