[di GIULIETTO CHIESA] C'è chi parla di schieramenti, chi di programma (per la sinistra italiana, s'intende). Ma, se la confusione è al massimo sui primi, sul secondo è quasi silenzio. Perché è più difficile. Perché porre l'accento sul programma significa definire il blocco sociale di cui si vuole assumere la rappresentanza...

LA POSSIBILITÁ VIENE DALL’ORIENTE

C’è chi parla di schieramenti, chi di programma (per la sinistra italiana, s’intende). Ma, se la confusione è al massimo sui primi, sul secondo è quasi silenzio. Perché è più difficile. Perché porre l’accento sul programma significa definire il blocco sociale di cui si vuole assumere la rappresentanza. Si è detto che occorrono quattro o cinque punti, idee molto concrete da indicare al paese. Ma per farlo non si può restare intrappolati nella dimensione (misera) e nella logica (illogica) della crisi italiana. In primo luogo noi ci troviamo infatti di fronte a un disastro internazionale incombente e per molti aspetti già in atto, senza tenere conto del quale le stesse proposte «italiane» rischiano di essere irrilevanti o non applicabili.

In secondo luogo bisogna capire che l’attuale geografia delle forze politiche (e sociali) italiane non solo è altamente instabile e incerta, ma è anche un prodotto innaturale, figlio di illusioni di destra e di sinistra, delle quali sarà opportuno cominciare a liberarsi. Infatti la costruzione di un progetto per un determinato insieme di gruppi sociali che si vuole portare alla vittoria in Italia deve tenere conto del fatto che, in un giro di tempo abbastanza ridotto, tutti i gruppi sociali dovranno fronteggiare problemi inediti, ai quali non sono preparati, nemmeno psicologicamente. A causa delle illusioni di cui sono stati nutriti a forza negli ultimi due decenni. Ciò significa che la posizione di molti gruppi sociali è altamente mutevole e non può essere definita né in termini tradizionali, né in termini statici. Più precisamente: molti aspetti della futura e dinamica composizione sociale dell’Italia del prossimo decennio dipenderanno dalle leadership questo paese, dalle loro capacità di prevedere, e di sostituire «qualche cosa d’altro» alle illusioni passate. Esse potranno essere sostituite da altre illusioni (e il disastro continuerà e si aggraverà, in primo luogo per gli strati più deboli, mentre la democrazia sarà sottoposta a tensioni acutissime), oppure da programmi di gestione della cosa pubblica, del «bene comune» che siano in grado di tutelare il tenore di vita di larghe masse popolari e di conservare e sviluppare la democrazia. In sostanza: chi sarà in grado di prevedere, sarà anche in grado di proporre.

Chi sarà in grado di prevedere sarà anche in grado di esercitare una egemonia su larghi strati popolari e intellettuali, oggi indistinti e confusi, senza guida, che aspettano indicazioni. Chi non sarà in grado di prevedere sarà travolto nel generale disordine e sarà costretto a fronteggiare la tempesta senza bussola. Nella logica di destra questa è l’anticamera di un regime autoritario. In quella di sinistra è la resa. Per prevedere occorre guardare al quadro mondiale. Altro modo non  c’è. Il prezzo del petrolio è salito del 40% in un anno. E’ solo una faccenda congiunturale? No, perché se è vero che ci sono spinte speculative che producono irrazionali aumenti dei prezzi, è altrettanto vero che queste spinte sono l’effetto di mutamenti strutturali.

C’è una immensa liquidità (creata da due decenni di globalizzazione americana) che gioca sui tutti i tavoli di tutte le roulette del mondo. O la va o la spacca. Questa è la logica suicida dei nuovi ricchi. Altro mutamento strutturale: ci stiamo accorgendo che Enron, WorldCom, Parmalat, ecc. non sono episodi anomali in una situazione normale. Le più gigantesche truffe finanziarie sono la norma. Non le conosciamo solo perché il sistema informativo mondiale ce le nasconde sistematicamente e solo la punta dell’iceberg riesce a emergere a fatica. Scopriamo ora, nel 2004, che uno dei protagonisti mondiali del mercato petrolifero, la Shell, ha ingannato mercati, clienti, azionisti, mentendo sull’entità dei propri giacimenti. Domanda: siamo sicuri che i dirigenti della Shell fossero gli unici a truccare le carte? E’ molto più probabile il contrario. Dunque è altamente probabile che i dati circa le riserve energetiche disponibili di idrocarburi siano falsi.

Chi ha le informazioni (sicuramente l’Amministrazione di Washington) sta facendo incetta a ritmi forsennati. Può essere una delle cause del balzo in alto del prezzo del petrolio, ma non cambia il problema: a Washington stanno giocando anche loro alla roulette e cercano di guadagnarsi qualche mese in più di respiro. Un po’ poco per governare il pianeta. La verità cruda è che il petrolio è una risorsa assai più scarsa di quanto vogliono farci credere e il suo esaurimento seguirà dunque una curva molto più brusca e ravvicinata di quanto quasi tutti pensano. Il che, a sua volta, significa che le possibilità di una risposta non traumatica al problema si ridurranno ulteriormente. Catastrofismo? Ciascuno lo chiami come gli pare. I dati parlano da soli.

Si aggiunga che il resto del mondo (non l’Europa) è in pieno boom. Cina e India crescono a tassi vertiginosi, trascinandosi dietro tutto il sud-est asiatico e perfino il Giappone. I cinesi si stanno rendendo conto che la caldaia è ormai a livelli di pressione insostenibili e si sono riproposti di ridurre il tasso di crescita del loro Pil dal 9,3% del 2004 al 7% del 2005. Non ci riusciranno, ma pare vogliano provarci. Unici sul pianeta si pongono il problema di rallentare. Hanno capito cosa sta per succedere? Probabilmente. Il fatto grave è che l’Occidente non l’ha capito. Neanche la sinistra italiana (centro-sinistra) l’ha capito. Questo trend è altamente energivoro. Significa che l’Asia sta succhiando enormi quantità di petrolio e di gas.

Le carenze energetiche sono laggiù la norma. Non si è ancora percepito una conseguenza elementare: esse si ripercuoteranno qui da noi, a ritmo sempre più intenso. Infine il dollaro. Il debito estero degli Usa, quello pubblico e quello privato, è arrivato al 30% del Pil degli Stati Uniti. E’ un record di tutti i tempi. I contribuenti americani vorrebbero l’impero, purché a pagarlo siamo noi, l’Europa e il resto del mondo. E poiché il loro tenore di vita è, per definizione, «non negoziabile», se ne deduce che svalutano e svaluteranno il dollaro, cancellando così una parte dei loro debiti, che intanto continueranno a crescere. Questo è un vulcano che sta per esplodere. Gli Stati Uniti, come è stato scritto, sono divenuti i perturbatori della quiete mondiale e devono essere ricondotti a più miti consigli. Quindici anni fa il pianeta era fondato su tre blocchi economici principali: Stati Uniti, Europa, e Giappone. Dei tre la potenza militare era una sola e sappiamo quale. Adesso il pianeta è fondato su tre blocchi economici principali: Stati Uniti, Europa, Cina. Ma gli Stati Uniti sono in crisi evidente, l’Europa è più forte di prima (anche se cresce meno), la Cina è ormai un protagonista, ed è armata. Ed è l’unico paese che prende decisioni senza consultare nessuno, nemmeno gli Stati Uniti.

Occorre che l’Europa colga l’occasione offertale dalla Cina e apra una forte discussione sui limiti dello sviluppo (di questo sviluppo insensato). E proponga politiche strategiche coerenti con i propri interessi e con quelli della salvezza del pianeta dalle catastrofi che incombono e sulle quali solo gli stupidi e i suicidi possono ironizzare. Non si possono mettere in piedi i quattro o cinque punti di un programma per il governo di sinistra italiano senza tenere conto di questi dati. E’ senza senso progettare un blocco sociale che lo sostenga senza dirgli la verità sullo stato delle cose.

Giulietto Chiesa