[di Sergio Paronetto • 29.07.01] Contemporaneamente alla protesta più ferma contro il  comportamento del governo e di alcuni settori delle forze di polizia in occasione del vertice G8 di Genova, intendo partecipare anch'io a una riflessione più ampia sul popolo di Seattle.

LA SCELTA DELLA NONVIOLENZA

Non vorrei più chiamarlo così (l’espressione è datata, usurata, ormai ambigua). Propongo tre varianti: o popolo di Porto Alegre (cantiere aperto di proposte qualificanti sui grandi problemi dell’umanità); o  popolo delle  Nazioni Unite, evidenziando una cittadinanza universale in collegamento con le iniziative dell’ “ONU dei popoli”, previste nel prossimo ottobre a Perugia e ad Assisi; o, semplicemente,  popolo della pace  basato sulla limpida denuncia di ogni tipo di violenza e orientato alla scelta  alternativa e rivoluzionaria della totale e globale nonviolenza. Pochi giorni prima di essere ucciso, M.Luther King esclamava  preoccupato e sofferente: “Non è più questione di scegliere tra violenza e nonviolenza. Si tratta di scegliere: o nonviolenza o non esistenza”.1.   So bene che a Genova la situazione era complessa e rischiosa. Il compito del “Genoa Social Forum” era arduo, difficilissimo. Gridare “abbiamo vinto” al termine della marcia finale era comprensibile ma è stata una forzatura. Un modo, forse, per consolarsi, per farsi coraggio. Forse, era meglio dire: “abbiamo resistito”, “continueremo”, “ce la faremo”. Qualcuno (tra questi “Pax Christi” e “Rete Lilliput”) ha lanciato l’idea di non fare il corteo finale. Era un’ipotesi dignitosa come altre. I più “duri” l’hanno intesa come una forma di cedimento o di sconfitta. Forse era meglio fare il corteo dato il numero straripante di persone (che le televisioni non hanno documentato). Ma chi può dire con certezza quale sarebbe stato l’impatto di un grande “urlo silenzioso” di protesta? Di una manifestazione distribuita su più piazze o a semicerchio, seduti e silenziosi? Perché solo un corteo è segno di “forza”? Il movimento della pace italiano, a mio parere, deve riscoprire o valorizzare di più l’importanza del silenzio operoso o, per i credenti, della preghiera. Perché valutare quest’ultima come una fuga e non come gesto debole-potente di partecipazione? Le iniziative di contemplazione organizzate a Genova, a Verona, in molti monasteri e chiese durante il G8 sono state tra le più belle e fresche novità del popolo della pace. 2.  Il movimento italiano per la pace ha fatto molto. Sta facendo molto. E’ cresciuto. E’ diventato un soggetto plurale e autonomo. Occorre, però, riconoscere che esce da Genova ferito e umiliato, sia (soprattutto) perché è morta una persona, sia perché si sono scatenate violenze di vario tipo che hanno oscurato le ragioni della protesta e della proposta. Tali ragioni sono state anticipate dall’incontro delle associazioni cattoliche, dal forum delle forze sindacali, dal GSF nelle piazze tematiche, dal progetto Lilliput. Parte della stampa le ha accompagnate e rilanciate. Molto, purtroppo, è stato oscurato. Le responsabilità sono molteplici. E’ giusto denunciare il governo o i comandi delle forze dell’ordine-disordine. Bisogna continuare a farlo. Raccogliere le testimonianze. E’ accaduto qualcosa di orribile. Eviterei, comunque, generalizzazioni qualunquistiche perché i poliziotti e i carabinieri, per quanto male guidati od ospitanti frange estremiste “di tipo fascista”, non sono “assassini” o “nemici”. Anni fa, uno spietato accusatore del “palazzo” reazionario e corrotto, come Pier Paolo Pasolini (ricordato dal padre di Giuliani), ammoniva i contestatori che la polizia, nonostante tutto, è composta di  lavoratori  e di cittadini come coloro che manifestano. 3.   A mio avviso, è bene affrontare con calma le ombre o la  “zona grigia” presente in grandi incontri come quello di Genova. La  difficoltà di crescita del movimento per la pace riguarda anche il modo di pensare-agire di alcuni “pacifisti” o “antiglobalizzatori”. Per me, i due termini sono ambigui. Il primo appare generico e approssimativo. Il secondo é schematico e deviante rispetto la qualità dell’impegno “globalizzante” del popolo della pace, che opera per la globalizzazione dei diritti, della giustizia e della solidarietà. Pur riconoscendo che il GSF ha fatto molto di buono, penso ci sia stato un difetto iniziale proveniente da coloro che si sono proposti prima di “bloccare il G8” e poi  di  “violare la zona rossa”. L’enfasi riguardante tali obiettivi, accompagnata dalla famigerata “dichiarazione di guerra” delle tute bianche, ha modificato l’ordine delle  priorità. L’attenzione, complici i mass media alimentati dagli “esibizionisti”, è stata spostata lontano dai grandi problemi della fame, delle guerre e dell’ingiustizia nel mondo. Si era in attesa di possibili incidenti. Giustificare operazioni paramilitari di questo tipo in nome dei poveri del mondo vuol dire possedere un’enorme presunzione. Per me, è stato un grave errore di provincialismo. Si è mescolato un problema di agibilità urbana, teoricamente giusto ma in quell’occasione secondario, con i temi internazionali fondamentali. Questioni che avrebbero dovuto avere la massima visibilità propositiva si sono ridotte alla necessità di conquistare qualche metro nella zona rossa. I temi della globalizzazione non possono essere affidati alla toponomastica urbana, alla rivendicazione di spazi.  Per un operatore di pace,  i “territori” da contendere non sono quelli delle cartografie ma i supermercati, le banche, l’informazione, la formazione, i tribunali. In una parola, la vita quotidiana. Lo stile di vita. Michele Serra ha osservato che gli scontrini contano più degli scontri. Dando troppo spazio ai riti simbolici del “blocco” o della “violazione”, molti sono stati imbrigliati nella trappola virtuale dell’allarmismo mediatico. Sono, così, caduti nella rete tesa da una politica governativa insofferente di critiche e pronta a screditare il movimento, a ritenerlo complice delle tute nere o di altri gruppi paramilitari.4.    So bene che in certe occasioni è difficile calibrare le parole. Noto, però, che il linguaggio di alcuni sedicenti “pacifisti” è cupo, gladiatorio, militarizzato. Quasi sempre ultimativo, eccitato. Alcuni vivono, per così dire, un orgasmo da scontro. Lo cercano. Mimano la guerra o la rivoluzione armata. Desiderano il “martirio”. E’ una logica tipica dell’estrema destra radicale, politica o esoterica. Il mito del guerriero è duro a morire. Cresce in luoghi diversi, uguali e contrari. Può contagiare persone miti e generose. A volte, nel clima teso di alcune grosse manifestazioni, i partecipanti ritengono secondaria la presenza dei “microviolenti” disposti a usare sassi, bastoni, scudi, o a fare un po’ di guerriglia urbana. Pur dissentendo o denunciando il fatto, qualcuno pensa che si tratti di “compagni che sbagliano”. E’ un abbaglio! I violenti (ai margini o infiltrati nei cortei) sono pericolosi avversari del movimento per la pace. Lo umiliano. Lo sgretolano. Lo screditano. E’ per questo che, a volte, vengono lasciati fare o sono manipolati. E’ una storia vecchia. Il modo migliore per eliminare o indebolire un soggetto politico “alternativo” è quello di minarlo dall’interno, usando parole d’ordine condivise. E’ quello di portarlo al degrado e al suicidio. Condivido l’allarme di Susan George in riferimento alle violenze di Goteborg e di Genova: “ne ho abbastanza di questi gruppi che arrivano nelle manifestazioni per distruggere.; ne ho abbastanza di questi teppisti e temo che se si continua a lasciarli fare finiranno per distruggere il movimento: la più bella speranza politica da trent’anni a questa parte. Il movimento che lotta per una globalizzazione diversa è in pericolo.Non potrà più andare avanti allo stesso modo.Noi, la immensa maggioranza che avanza proposte serie, noi che crediamo fermamente che un altro mondo è possibile, dobbiamo agire responsabilmente.Dovremo trovare nuovi percorsi democratici per portare avanti la lotta” (“Azione nonviolenta”, n.7, 2001 e lettera e-mail del 26.7). 5.  Cerco di precisare ulteriormente. Scrive Luca Casarini: “lanciare i sassi per fermare un inferno mi sembra legittimo”(“La Repubblica” 23.7.2001). La frase è un misto di ingenuità e di irresponsabilità. Rivela disponibilità a usare o tollerare la violenza. Casarini e altri  si appellano, tra l’altro, alla “legittima difesa” senza rendersi conto che usano proprio l’argomentazione di coloro che  preparano le guerre o la corsa agli armamenti. Sono complici-vittima della logica dello scontro. Chi giustifica i  “microviolenti” ripete frasi solo apparentemente sensate come: “la vera violenza è quella dei potenti”, “ci sono violenze più grandi”, “il mondo è pieno di violenza”. A mio parere, tali espressioni sono pericolosissime. Chi pensa così non si rende conto che la violenza fa sempre il gioco dei potenti. Le cosiddette “microviolenze” rafforzano le “macroviolenze”. Le imitano. Le riproducono. Le riciclano. Le occultano. Le giustificano. Accreditano chi le compie, indisturbato, capace di presentarsi come benefattore o salvatore. Salvo casi rari, la violenza corrompe ogni fine cui venga subordinata. Appartiene alla notte della democrazia. Alla preistoria, ancora in atto, dell’umanità.Le “microviolenze” sono figlie e complici delle grandi violenze. Sono la loro clonazione.  Bisogna dire con fermezza che anche la “microviolenza”  è sempre cattiva. Un sasso, un bastone, un oggetto lanciato possono ammazzare. Non colpiscono il capitalismo, l’imperialismo, ma un essere umano, una persona. Il suo diritto alla vita. Oltre che cattiva, la  “microviolenza” è stupida, ingenua, controproducente. Dà anche spazio alla repressione. Giustamente Curzio Maltese  osserva che “l’estremismo è il primo alleato del manganello, l’inevitabile utile idiota di ogni svolta autoritaria” (“La Repubblica” 23.7).  “Nulla è più gradito ai padroni del mondo -osserva a sua volta Enrico Peyretti (“Adista” 28, 9.4.2001)- che le manifestazioni contrarie in forma violenta. Esse permettono agli oppressori di apparire oppressi, quindi sono uno stupido regalo fatto ai padroni da rivoluzionari ingenui, complici per ignoranza e superficialità, succubi della stessa cultura dei loro avversari, perciò profondamente sconfitti”. 6. La sconfitta è, soprattutto, umana. Chi sottovaluta il peso avvilente e degradante delle violenze o le vede come un fenomeno “normale” del mondo moderno, per quanto protesti o gridi, è sull’orlo della resa. Sta cadendo nella disperazione. Sta incubando il cinismo. Il popolo della pace deve esprimere in tutti i modi la sua radicale estraneità, il suo irriducibile antagonismo nei confronti di ogni forma di violenza. La violenza è male perché è disumana. Crea una spirale autodistruttiva nella persona e nella società. Si basa sull’automatismo botta-risposta, amico-nemico, occhio per occhio. Ci ingabbia in un meccanismo che paralizza il piacere di vivere e blocca ogni energia vitale. Ci inchioda in una coazione a ripetere che Fromm chiamerebbe “necrofilia”. La nonviolenza, invece, rappresenta la “biofilia” operosa. Una forma di sanità mentale. Il libero civile dispiegarsi del piacere di vivere. La gioia di comunicare. La fiducia nella possibilità di costruire rapporti liberi, giusti e fraterni. La ricerca della convivialità. Una  novità di vita  che il cristiano può intendere come icona della Trinità, annuncio della Resurrezione, fuoco della Pentecoste. Dopo il G8, il movimento per la pace può agire in tal senso opponendosi al progetto necrofilo dello scudo spaziale al quale Berlusconi, mettendo da parte il dibattito parlamentare, la Costituzione e il futuro dell’Europa, ha dato l’appoggio. Occorre denunciare quest’ultima grande violenza, immensa ingiustizia verso i poveri, con la forza fresca e coraggiosa dell’amore che trasforma. Nonviolenza come forza dell’amore, proclamava Luther King, negli anni ’60, nel vivo della polemica contro i metodi del “Black power” che, a suo parere, stava imitando i valori più spregevoli, brutali e incivili della società americana: “Sono stanco della violenza, ne ho vista troppa; ho visto un tale odio sui volti di troppi sceriffi del sud! Non intendo lasciare che sia l’oppressore a prescrivermi il metodo che devo usare. Non intendo abbassarmi al suo livello;  voglio elevarmi a un livello superiore. Noi abbiamo un potere che non si trova nelle bottiglie molotov. L’umanità si aspetta qualcosa di diverso dalla cieca imitazione del passato. Non potrebbe darsi che l’uomo nuovo di cui il mondo ha bisogno fosse l’uomo nonviolento?. La vita può diventare una serie continua di sogni infranti…  Io però riesco a sentire una voce che grida:  forse non sarà per oggi, forse non sarà per domani, ma è bene che sia nel tuo cuore. E’ bene che tu ci provi  (M.L.King, Autobiografia, a cura di C. Carson).  In questo cammino  mezzi e fini s’intrecciano. Se vuoi la pace (shalom) prepara la pace. Anzi, non c’è nessuna via per la pace. La pace è la via. I contenuti dell’azione sono importanti. Ma il primo contenuto è la pace. E’ bene continuare a provarci.