LA «SICUREZZA» SULLA TESTA DEI BAMBINI

Il 28 maggio 2008 è stata convocata dall’Unicef la prima riunione del Tavolo tecnico associativo sugli effetti del «pacchetto sicurezza» sui bambini e adolescenti immigrati. Un momento di dibattito che ha visto la partecipazione di tutto il mondo associativo facente parte del Coordinamento PIDIDA, insieme ai sindacati confederali, la Caritas, l’Opera Nomadi, Arci, Anci, Comunità di Sant’Egidio ed altre associazioni di pediatri e medici delle migrazioni, per discutere della condizione dei minori stranieri, una categoria tenuta in scarsa considerazione, che richiede, a maggior ragione da quando l’Italia ha ratificato nel 1991 la Convenzione sui diritti dell’Infanzia, grande attenzione perché dai diritti riconosciuti sulla carta si passi alla loro attuazione.

Nello specifico, il varo del pacchetto sicurezza da parte del Consiglio dei ministri desta forte preoccupazione nel mondo dell’associazionismo e di tutti coloro che hanno portato avanti importanti progetti di integrazione dei minori immigrati. La stretta del governo prospetta un arretramento nelle condizioni di tutti quei bambini ed adolescenti figli di immigrati irregolari, tra cui anche quelli nati e vissuti in Italia, per i quali il futuro si prospetta sempre più nero. Ne abbiamo parlato con Piero Soldini, responsabile del Dipartimento immigrazione della Cgil nazionale, che ha partecipato all’incontro.

Qual è stato l’esito della riunione nella sede dell’Unicef sulle conseguenze del «pacchetto sicurezza» sui bambini e adolescenti immigrati presenti sul territorio italiano?

Questa convocazione, molto positiva nasce dall’intenzione dell’Unicef di accogliere argomentazioni e pareri delle associazioni che si occupano a pari titolo dell’infanzia per prendere una posizione articolata sugli effetti del pacchetto. É servita per fare un quadro della situazione, che verrà delineato nel dettaglio quando nei prossimi giorni le associazioni che hanno partecipato forniranno il proprio parere sullo specifico, da cui prenderà il via la campagna dell’Unicef sull’argomento. Ma il documento conclusivo di questo lavoro potrà anche essere utilizzato per una interlocuzione col governo e con il parlamento sui temi dell’immigrazione e dei minori.

Qual è stato il giudizio espresso sul pacchetto?

In generale lo spirito sul provvedimento assunto dal Cdm corrisponde al clima pesante che si avverte nel Paese e nell’opinione pubblica più vasta, per il quale i provvedimenti assunti appaiono come necessari per rispondere al bisogno di  maggior sicurezza dei cittadini. Ma in realtà si tratta di un abbaglio, del frutto della mistificazione cavalcata dalla campagna mediatica che ha innescato un’ondata anomala di vera e propria speculazione delle paure e delle insicurezze della gente. Énecessario che tutti, responsabilmente, mondo civile e associazioni, possano dare un’informazione corretta alle persone al fine di misurarsi in modo più maturo con le contraddizioni che ci sono nel Paese.

Quali sono quegli aspetti del provvedimento del governo che colpiscono direttamente il mondo dell’infanzia immigrata?

Sono molti, sia diretti che indiretti. Si colpiscono i bambini immigrati quando si parla di reato di clandestinità o di facilitare le espulsioni, ma sono ancora vittime i bambini quando si parla di restrizione dei ricongiungimenti familiari.

Il reato di clandestinità può colpire un enorme numero di famiglie. Le stime ufficiali parlano di una presenza di immigrati irregolari che va da 700mila a oltre un milione di persone che vivono sul territorio. La conformazione del dato comprende per un quinto i minori di 18 anni. Ne consegue che il ricasco degli interventi licenziati dal governo può colpire un vasto numero di persone e produrre un arretramento in tutti i processi di integrazione che le associazioni stanno portando avanti da anni: mi riferisco all’acceso agli asili nido, alle scuole e al mondo del lavoro.

Poi c’è l’aspetto dei  ricongiungimenti familiari. Il pacchetto prevede l’abrogazione del decreto legislativo del governo Prodi che aveva recepito la direttiva comunitaria, migliorando la normativa nazionale Bossi-Fini sul ricongiungimento familiare. Oggi si vuole ritornare alla normativa precedente e restringere la filiera di possibilità inserendo un divieto di ricongiungimento del coniuge in caso di minore di 18 anni, aggravato dall’intento di inserire un sistema di accertamento della paternità legato al dna. In pratica si vuole rendere l’analisi clinica una scelta obbligata senza la quale la richiesta di ricongiungimento rischia di perdersi nei meandri insidiosi della burocrazia.

In pratica non viene dato per buono il certificato matrimoniale?



La pratica del riscontro biologico diventa un criterio di selettività: ci sono bambini nati incidentalmente fuori dal matrimonio ma giuridicamente legittimi all’estero, per i quali la prova scientifica danneggerebbe la madre e i bambini stessi dal momento che il padre formale non corrisponde a quello naturale. E nello stesso calderone rientrano i figli adottivi per i quali ovviamente la prova del dna non avrebbe alcun senso. Il punto è che si applica una restrizione che colpisce uno degli strumenti di maggiore efficacia del percorso di integrazione degli immigrati. Una politica illuminata dovrebbe estendere il più possibile la pratica del ricongiungimento, esattamente il contrario di ciò che sta facendo l’attuale governo in modo del tutto irrazionale.

Quali sono gli altri aspetti che direttamente o indirettamente colpiscono i piccoli immigrati?



Sicuramente il conflitto che si consuma nelle comunità locali rispetto all’accesso ai servizi, in particolare agli asili nido e alla casa. Per quanto riguarda gli asili, l’allarme è ingiustificato perché il problema è che di fronte alla incapacità di dare una risposta alla domanda crescente di servizi, ci si nasconde dietro l’argomento che i bambini immigrati ruberebbero il posto agli italiani. Cosa non vera, dimostrabile attraverso i numeri: su una presenza sul territorio di un 6% di immigrati sul totale della popolazione, l’accesso ai servizi nel loro complesso, e in particolare agli asili nido, riguarda una percentuale minore rispetto a quella rappresentativa dei bambini italiani. Tanto più che sono tanti i bambini immigrati che non accedono all’asilo nido o per ragioni culturali o religiose, o perché i genitori non possono pagare la retta che, benché agevolata, risulta in molti casi incompatibile con le risorse familiari.

Il governo vuole riformare i Cpt. Anche in questo caso ci sarebbro conseguenze negative sui minori?

Nel momento in cui si parla di riformare i Cpt, che diventano Cei (Centri di identificazione e espulsione), oltre a stabilire che la permanenza può essere prorogata fino a 18 mesi, si stabilisce che nei centri ci debbono stare anche i minori, cosa fino a oggi vietata e a cui si opponeva una diversa collocazione della famiglia. Ma non è tutto. Sui bambini stranieri grava anche la riforma della cittadinanza che il governo non vuole riformare, secondo la quale i bambini nati qui da genitori imigrati non sono cittadini italiani. Andrebbe introdotto lo jus soli.

Contro lo spauracchio dei matrimoni di convenienza, il nuovo pacchetto prevede il diritto alla richiesta di cittadinanza solo dopo due anni di convivenza matrimoniale, contro i 6 mesi attuali. Anche questo aspetto rischia di risultare destabilizzante per i bambini.

Manuela Bianchi

fonte: www.altrenotizie.org