[di Vincenzo Andraous • 10.03.02] Quante volte ho sentito parlare di questo termine, di questo concetto, di questa parola che fa paura e ci confonde. "Trasgressione", "diversità", "disagio","devianza", ognuna di queste parole ha un significato particolare, eppure tutte hanno un comune denominatore; sono l'esatto opposto di conformità.

LA TRASGRESSIONE

<?xml:namespace prefix = o />

Se ritorno indietro con la mente, all’adolescenza che forse non é mai stata mia. mi rivedo per il paese a strappare manifesti, a imbrattare falci e martelli ad affiggere fiamme tricolori senza nulla capire di ciò che facevo. Eppure dovevo farlo perché mi rendevo conto che in molti si arrabbiavano. Quei molti che mi chiamavano “terrone”, quei molti che mi trattavano con distacco, quei molti che stavano innanzi e io dietro. Così “trasgredire” ha illuso il cerbiatto di poter liberarsi dalle fauci del lupo. Diverso a scuola, diverso dai compagni, diverso in paese, fino a diventare diverso in famiglia. Diverso nell’osservare, nel capire, nel non accettare.Un disagio strisciante nell’esser ugualmente solo tra mille, ostacolo insormontabile l’iindiffrenza più ancora della violenza. Una difficoltà estrema a conoscere, elaborare e sapere. Ricordo ancora e mi fa male, l’abbandono della scuola, la rabbia per le offese, per le umiliazioni, la ribellione e la dissacrante unione dei cattivi, dei monelli, dei bambini banditi, fino alla formazione della banda di minorenni. Le scorrerie e gli affronti risolti in fretta. I soldi guadagnati sul ciglio della strada,  nell’incosciente spazio di uno sparo. E mia madre piegata dal dolore e dalle tante ore a lavorare. L’età è scomparsa nel buio profondo della pancia della balena, nel mondo sommerso delle colpe, nella follia lucida che tutto ha distrutto, persino l’ultima volontà di un perdono. Oggi sono un uomo che scrive e pensa, che cammina sulle ginocchia, distante da quel mondo nemico e da Dio alla finestra, consapevole finalmente d’esser stato io l’unico vero problema. Da qualche tempo in questa mia ricerca, parlo e ascolto i giovani della Comunità, percepisco con una tale empatia il disegno inconscio dell’esame ultimo per ottenere quella speciale patente per vincere la solitudine. Nel silenzio di questa cella mi chiedo come possa straripare tanta sofferenza in ragazzi di età vicina al sole, Una sofferenza sorda che grida forte, e inutilmente li proietta verso uscite d’emergenza per molti versi introvabili, e comunque disseminate in questi labirinti esistenziali del disagio, a cui nessuno presta attenzione. L’ombra lunga di questa nuova e antichissima generazione è parte viva di quel reale attuale basato sui valori dell’effimero, e bisogna infine farci i conti se non vogliamo, a nostra volta, rimanere spezzati dentro. Io so bene di non poter proteggere i giovani, di non poter sottrarli a ciò che li attende, ma ripeterò all’infinito – dapprima a me stesso e poi a loro – che la trasgressione nei rischi estremi è l’anticamera di quella devianza che chiude il cerchio. Più in là ragazzi, più in là del nostro naso ci sono tracce, orme e coordinate, affinché l’istinto non prenda il sopravvento e si riesca a essere forti, assai di più di quella maledetta catena che ci costringe. (11-2-1998)