[di Leopoldo Elia, da Europa • 06.03.04] L'8 marzo 2001 veniva diffuso un manifesto o appello di intellettuali che era firmato per primo da Norberto Bobbio (seguito dai nomi di Alessandro Galante Garrone, Alessandro Pizzorusso e Paolo Sylos Labini e poi da molti altri) che iniziava con una drastica enunciazione: «È necessario battere col voto la cosiddetta Casa delle libertà. Destra e sinistra non c'entrano: è in gioco la democrazia»...

LEOPOLDO ELIA: «SI’, AVEVA RAGIONE BOBBIO»

L’8 marzo 2001 veniva diffuso un manifesto o appello di intellettuali che era firmato per primo da Norberto Bobbio (seguito dai nomi di Alessandro Galante Garrone, Alessandro Pizzorusso e Paolo Sylos Labini e poi da molti altri) che iniziava con una drastica enunciazione: «È necessario battere col voto la cosiddetta Casa delle libertà. Destra e sinistra non c’entrano: è in gioco la democrazia». E concludeva l’appello, motivato dai propositi già dichiarati dall’onorevole Berlusconi e dai suoi conflitti d’interesse, con queste parole altrettanto chiare: «Chi si astiene vota Berlusconi. Una vittoria della Casa delle libertà minerebbe le fasi stesse della democrazia».

A questo manifesto se ne contrappone un altro con le firme di autorevoli intellettuali a partire da Franco Debenedetti, che chiamerò, per comodità di linguaggio cattolico, i “conciliatoristi” in cui si invitava a votare “liberamente” (cioè senza le preoccupazioni dell’appello di Bobbio perché non c’era da difendere la “democrazia in pericolo” anzi così si recava danno al paese, ricorrendo a “strumenti di un vecchio arsenale ideologico”.

L’ultimo intervento politico del filosofo torinese venne ritenuto politically incorrect e fu isolato dal coro dei benpensanti che ritenevano di trovarsi in una democrazia normale con forze politiche tutte con parità di legittimazione democratica. Anche nelle numerose commemorazioni pubblicate subito dopo la morte questa ultima pagina del Bobbio politico è stata pressoché stralciata.

Eppure i fatti (trentatré mesi circa di governo Berlusconi) hanno dimostrato, oltre le più pessimistiche previsioni, che Bobbio aveva ragione. Al di là della legislazione a favore degli interessi radiotelevisivi di Mediaset, con la violazione di tutti i principi in tema di conflitto di interessi, avanza una revisione costituzionale che minaccia la forma di governo della repubblica parlamentare.

Una serie di automatismi (le cosiddette norme antiribaltone, trasferite in modo del tutto improprio dalle regioni ed enti locali, ai rapporti governo- parlamento a livello nazionale) stravolgerebbero la nostra forma di governo rendendo preferibile il sistema presidenziale nordamericano. Bobbio non si era mai lasciato incantare dal semipresidenzialismo francese e dissentiva da Craxi; e i rimproveri di eccessivo conservatorismo istituzionale rivoltigli con le migliori intenzioni da alcuni suoi amici (Gian Enrico Rusconi e Gianfranco Pasquino, per esempio) non lo persuadevano ad andare al di là di ritocchi all’impianto uscito dalla Costituente, concorda in questo con Dossetti, con Scalfaro e con lo stesso presidente Ciampi, il quale, dopo aver anche lui parlato di ritocchi, ha confermato qualche giorno fa a Como la sua fiducia nelle «strutture portanti del nostro ordinamento costituzionale».

Ultimamente, proprio in occasione della morte, si è scritto di Bobbio che egli restava un «uomo della Prima repubblica», incapace di valutare quanto le nostre stesse istituzioni debbano cambiare per adattarsi compiutamente alla democrazia dell’alternanza (Michele Salvati, Corriere della sera, 10 gennaio 2004, pagina 4). Ma la civetteria dei grandi vecchi, com’era ormai Bobbio, di considerarsi quasi fuori dal presente, una specie di dinosauro, non deve farci velo; non deve trarci in inganno. La sua posizione così prudente in tema di revisione costituzionale era molto attuale: non era il sussulto di uomo di passione, ma la conclusione dell’uomo di ragione che ci aveva insegnato più di ogni altro il distingue frequenter e, più ancora, il dubita frequenter.

No, in questo caso come non mai la passione scendeva in difesa della ragione: come quando polemizzava con Togliatti a proposito di libertà e di rifiuto dell’intellettuale “organico” (ora in politica e cultura) sulla sostanza della democrazia Bobbio non transigeva.

Finora le istituzioni di garanzia hanno resistito ma esse stanno per essere poste a dura prova sia dalla legge Gasparri e dalla legge Frattini sul conflitto di interessi e più ancora dal progetto di revisione costituzionale che celebra l’apoteosi del primo ministro.

Allora facciamo tutti con umiltà qualche riflessione sui nostri errori del passato e non dimentichiamo gli ultima verba del Maestro, più lungimirante dei conciliatoristi a tutti i costi.