LIBRI. «LA POLENTA É UN RELITTO?», A CURA DI GIANNI STORARI

[GRILLOnews.it • 06.11.09] Il legame con la terra, la storia, le tradizioni dei veronesi e dei veneti non può prescindere dal mais che diventa polenta. Ruota intorno all’interrogativo posto nel titolo, e a questa «verità», l’apprezzabile libro che Gianni Storari ha «cucinato» valorizzando gli ingredienti culturali e culinarii messi a disposizione da Elena Bressan, Stefano Piccoli, Roberto Chiej Gamacchio, Antonio Corain, Annamaria Bissolo, Giuseppe Splendore e Giorgio Gioco.

LA POLENTA É UN RELITTO?

a cura di Gianni Storari

Anno 2009 – pagg. 88 – 10,00 euro

Il libro è acquistabile a San Bonifacio (Vr) presso le librerie «Bonturi» (Corso Venezia n.5) e «Piramide» (Via Ospedale Vecchio n.31) o richiedendolo al curatore:

e-mail: [email protected]

Tel. 335.5234350
Il legame con la terra, la storia, le tradizioni dei veronesi e veneti non può prescindere dal mais che diventa polenta. Ruota attorno all’interrogativo posto nel titolo, e a questa «verità», l’apprezzabile libro che Gianni Storari ha «cucinato» valorizzando gli ingredienti culturali e culinarii messi a disposizione dai suoi collaboratori.

La storia del mais non è un’opinione, ma affonda le radici «nell’America Latina di 4,8 milioni di anni fa. Nato dalla fusione dei genomi di due piante diverse, che a loro volta si erano evolute a partire dall’antenato comune dei cereali circa 11,9 milioni di anni fa, il mais ha poi subito delle modificazioni nel tempo, per l’azione degli agenti esterni e l’intervento dell’uomo che l’ha coltivato, selezionato e infine consegnato a Cristoforo Colombo» ricorda il dottor Stefano Piccoli nel capitolo che ripercorre l’evoluzione del vegetale.

Poi la storia bene o male la conosciamo: Colombo ha voluto portare la polenta con sé nel viaggio di ritorno verso l’Europa (1492). Ed è così che anno dopo anno la polenta «ha accompagnando le scelte della classe dirigente veneziana nei secoli XVI e XVII, quando questa si è rivolta all’entroterra per investirvi i capitali accumulati in tanti anni di prospera attività commerciale sul mare. Ed ha giustificato, assieme al riso, la redenzione conseguente di nuove terre dall’incolto e dalle paludi per l’introduzione di nuove colture promosse dai nobili veneziani», spiega Elena Bressan nella sua tesi di laurea incentrata sul tema del «mais nella costruzione del paesaggio agrario veronese». «La polenta – aggiunge Bressan – ha finito per essere alimento unico, che bene saziava, nelle mense contadine del XIX secolo, dopo una cottura nell’acqua».

Ed arriva così il momento di sedersi a tavola, con Gianni Storari ed altri competenti “cultori della materia”: «la polenta, sana e digeribile, si abbina praticamente con tutto: dalla carne alle verdure cotte, dai formaggi al pesce, per non tralasciare qualche mistero glorioso, quale «polenta e baccalà», che mette assieme due prodotti venuti l’uno dall’America e l’altro dalla Scandinavia, fusi insieme in un abbraccio misterioso che sembra fatto apposta per testimoniare la nostra apertura internazionalista: altro che Veneti chiusi, campanilisti, provinciali, abbarbicati alle loro tradizioni paesane! E non trascuriamo in questa rapida rassegna altre meraviglie della natura e dell’ingegno umano» continua Storari, «quali la polenta e soppressa, per non parlare del Gorgonzola che sbrigativamente chiamiamo verde».

L’agronomo Roberto Chiej Gamacchio, del prezioso frutto della terra evidenza il suo essere «cibo povero, abbastanza nutriente, ma soprattutto saziante, che diede la risposta della necessità di nutrienti fondamentali che non potevano essere reperiti nei cereali più nobili e più costosi. L’uso secolare della polenta come cibo base creò addirittura nelle definizioni popolari della gente veneta il termine polentoni». Gli fa eco  prima il ricercatore di usi e costumi, Antonio Corain: «la polenta, che da disprezzato cibo dei poveri, retaggio dell’antica civiltà contadina, è ora la componente di piatti raffinati nei ristoranti, anche in quelli più rinomati. La polenta, sole che illumina senza abbacinare, cibo che ha alimentato generazioni di nostri antenati, è il simbolo di un’antica fame almeno sopita se non saziata». Poi l’esperto di gastronomia Bepi Splendore: «può essere consumata durante tutto l’arco della giornata, dalla colazione, al pranzo (disnare), e alla cena (çena). La polenta è molto edibile e digeribile, può essere assunta da tutti ed a tutte le età, è però scarsamente proteica e quindi va accompagnata con altri alimenti. Ecco allora la necessità di appropriate ricette».

Il mais che diventa polenta fa bene sia al palato che allo spirito. Ad esserne convinta è Annamaria Bissolo, cultrice di haute cuisine, che scrive: «la polenta, in guerra con i nostri tempi, in cui il poco tempo o i cibi precotti sono purtroppo spesso una giustificazione per non preparare nelle nostre cucine questo saporito e soave piatto che appaga sempre riccamente non solo il palato ma anche in buon umore. Fin che si mescola la polenta, non si può fare dell’altro e diventa quindi una pausa di riflessione e riverbero spirituale… assai infrequente di questi tempi».

Le ultime pagine de «La polenta è un relitto?» ospitano alcuni pensieri e ricordi del «campione di gastronomia e cultura» Giorgio Gioco: «semplice e umile compagna delle frugali mense di pianura e di montagna, la polenta, nei periodi della miseria e della carestia, era da sola un cibo sognato al punto che nell’Ottocento, a Parigi, dagli artisti veneti emigrati in Francia fu fondato l’Ordine dei Polentoni, per la nostalgia di coloro che si trovavano tanto lontano da casa e in miseria. Il loro motto era P.P.P., cioè: «Per Patria Prima, Per Polenta Poi»; tra di loro anche il famoso poeta Arrigo Boito». Il pensiero poi «corre veloce al Manzoni, che parlò magistralmente della polenta in occasione della visita di Renzo a Tonio: era poco per tutti quel cibo, ma l’annata non ne consentiva di più… e quando alla fine fu scodellata sulla tafferìa di faggio, parve una piccola luna in un grande cerchio di vapori!».

GLI AUTORI

Gianni Storari, sambonifacese, ha insegnato Italiano, Storia e Geografia nelle scuole medie e superiori ed è stato preside di scuola media. Studioso e ricercatore di storia locale, con particolare attenzione per le tradizioni popolari e le vicende degli ultimi, dei marginali, la storia delle classi subalterne, è autore e coautore di alcune pubblicazioni: «Gente in controluce» (1980), «Album Sambonifacese» (1980), «Vento sulla pianura» (1987), «L’oro di Coalonga» (2001), «L’Altra faccia della medaglia» (2004), «Obiettivo Villabella» (2005), «Villabella, il riso e altre curiosità» (2006), «Oltre i limiti, da un confine all’altro» (2007), «Il Cavallo bianco. Donne e uomini nella Resistenza a San Bonifacio, Monteforte, sulle colline e nella ‘bassa’ tra il Veronese e il Vicentino» (2007), «Su quelle ruote correva lo sviluppo» (2008) e «Sapore di pane» (2008). Collaboratore de «La Mainarda» di Cologna Veneta dal 1980 al 1986 è membro della redazione de «I quaderni di Coalonga» di San Bonifacio dal 1988 ad oggi.

Elena Bressan, dottore in Lettere, insegnante

Stefano Piccoli, dottore in Biotecnologie Agroindustriali, studente di Biotecnologie Molecolari

Roberto Chiej Gamacchio, agronomo e tecnico forestale

Antonio Corain, ricercatore di usi, costumi, dialetto e folklore locali

Annamaria Bissolo, cultrice di haute cuisine

Giuseppe Splendore, esperto di caccia, di cucina e di gastronomia

Giorgio Gioco, campione di gastronomia, cultura, veronesità