[Frei Betto • 06.10.08] Il prossimo anno ricorre il ventesimo anniversario della caduta del Muro di Berlino, simbolo della bipolarità del mondo diviso in due sistemi: capitalista e socialista. Oggi assistiamo al declino di Wall Street (via del Muro), dove si concentrano le sedi delle istituzioni finanziarie e delle più grandi banche del mondo...

LO SCOSSONE AL MURO (di Frei Betto)


Il prossimo anno ricorre il ventesimo anniversario della caduta del Muro di Berlino, simbolo della bipolarità del mondo diviso in due sistemi: capitalista e socialista. Oggi assistiamo al declino di Wall Street (via del Muro), dove si concentrano le sedi delle istituzioni finanziarie e delle più grandi banche del mondo.

Il muro che dà il nome alla via di New York venne edificato dagli olandesi nel 1652 e abbattuto dagli inglesi nel 1699. Nuova Amsterdam fece posto a Nuova York. L’apocalisse ideologico dell’Est europeo, giammai previsto da alcun analista, ha dato manforte all’idea che al di fuori dal capitalismo non c’è salvezza. Adesso la crisi del sistema finanziario abbatte il dogma dell’immacolata concezione del libero mercato come unica panacea per il buon andamento dell’economia.

Non è ancora la fine del capitalismo, ma forse è l’agonia del carattere neo-liberale che ha ipertrofizzato il sistema finanziario. Accumulare capitali è diventato più importante di produrre beni e servizi. La bolla speculativa al gonfiarsi è subito esplosa. Ciò nonostante si ripete la vecchia ricetta: dopo aver privatizzato i guadagni si socializzano le perdite. Frana la cantilena del «meno Stato e più iniziativa privata». Al momento della crisi ci si rivolge allo Stato come tavola del naufrago, sotto forma di 700 miliardi di dollari (il 5% del PIL degli USA pari al costo di tutto il petrolio consumato in un anno in quel Paese) da venire iniettati come anabolizzanti nel sistema finanziario.

Il programma Borsa-Abbondanza di Bush riunisce una quantità sufficiente per sradicare la fame dal mondo. Ma chi si preoccupa dei poveri? In seguito all’aumento del prezzo degli alimenti negli ultimi 12 mesi, il numero degli affamati cronici è salito da 854 milioni a 950 milioni, secondo Jacques Diouf, direttore generale della FAO.

Chi pagherà la fattura di questo Proer americano [al tempo del presidente Fernando Henrique Cardoso, dieci anni fa, per salvare dal fallimento alcune banche private – i cui dirigenti erano legati a filo doppio con importanti personaggi politici – venne creato un fondo pubblico di ausilio, il Proer – n.d.t.]? La risposta è ovvia: il contribuente. Si prevede la disoccupazione immediata di 11 milioni di persone vincolate al mercato di capitali e al sistema edilizio. I fondi pensione, svalutati, non riusciranno ad onorare i diritti di milioni di pensionati, soprattutto di chi ha investito nella previdenza privata.

Le difficoltà economiche  tendono ad inibire la produzione e il consumo. Le banche di investimento rimangono in braghe di tela ad aspettare. Le tasse saranno aumentate. Il mercato continuerà in un regime di libertà vigilata: ora vale il modello cinese di controllo politico dell’economia, e non più il controllo della politica da parte dell’economia, come si verifica nel neo-liberalismo.

Nel 1967, J.K. Galbraith chiamava l’attenzione verso la crisi del carattere industriale del capitalismo. Nomi come Ford, Rockfeller, Carnegie o Guggenheim, imprenditori all’antica, stavano scomparendo dallo scenario economico per dar posto ad una ampia rete di azionisti anonimi. Il valore dell’impresa si spostava dal parco industriale alla borsa valori. Nel decennio successivo, Daniel Bell avvisava a rispetto dell’intima associazione tra informazione e speculazione e indicava le contraddizioni culturali del capitalismo: l’ascetismo (= accumulazione) che si scontra con lo stimolo consumista; i valori della modernità soppiantati dal carattere iconoclasta delle innovazioni scientifiche e tecnologiche; Legge ed etica in antagonismo ogni qual volta il mercato si arroga il diritto di arbitrare  le relazioni economico-sociali.

Se la caduta del Muro di Berlino, portò all’Est europeo più libertà e meno giustizia, introducendo disuguaglianze madornali, lo scossone di Wall Street obbliga il capitalismo ad un ripensamento. Il casinò globale rende il mondo più felice? Certamente no. La sconfitta del socialismo reale significa la vittoria del capitalismo virtuale (reale per appena un terzo dell’umanità)? Anche in questo caso la risposta è no.

Non si misura la sconfitta del capitalismo dalle sue crisi economiche, ma sì dall’esclusione – di accesso a beni essenziali di consumo e diritti di cittadinanza, come alimentazione, sanità, istruzione – di due terzi dell’umanità. Sono 4 miliardi di persone che, secondo l’ONU, vivono tra la miseria e la povertà, con una rendita giornaliera inferiore a 2 dollari.

È necessario, sì, trovare con urgenza, un altro mondo possibile, economicamente giusto, politicamente democratico ed ecologicamente sostenibile.

Frei Betto

(Tradotto dal quotidiano brasiliano Folha de São Paulo, 06.10.2008)