[di Gabriel Bertinetto • 11.12.03] Il governo italiano sapeva, ma non ritenne necessario fare nulla. A poco meno di un mese dall'attentato di Nassiriya, si conferma con dovizia di particolari che gli agenti dei servizi segreti operanti sul posto, già all'inizio di ottobre, in tre successive occasioni, avevano informato le autorità del nostro paese circa le minacce che incombevano sul contingente in Iraq...

NASSIRIYA, IL SISMI ANNUNCIO’ LA STRAGE. IL «WASHINGTON POST» PUBBLICA I DOCUMENTI DEI SERVIZI SEGRETI

Il governo italiano sapeva, ma non ritenne necessario fare nulla. A poco meno di un mese dall’attentato di Nassiriya, si conferma con dovizia di particolari che gli agenti dei servizi segreti operanti sul posto, già all’inizio di ottobre, in tre successive occasioni, avevano informato le autorità del nostro paese circa le minacce che incombevano sul contingente in Iraq. Il contenuto dei rapporti del Sismi sembra smentire le giustificazioni sinora accampate dai ministri del governo Berlusconi per motivare l’inerzia nel prendere misure di sicurezza adeguate. Giustificazioni oscillanti fra la presunta genericità delle informazioni e la loro sovrabbondanza. In realtà i documenti del Sismi, afferma il quotidiano statunitense “Washington Post”, «contraddicono la nozione che non fosse stato lanciato alcun allarme specifico». L’intelligence italiana aveva invece addirittura fatto i nomi di personaggi del vecchio regime. Militari delle forze armate di Saddam e membri della milizia Feddayin, che insieme a elementi legati ad Al Qaeda e al gruppo Ansar-al-Islam stavano tramando azioni armate contro le truppe impegnate nella missione «Antica Babilonia». Fra il 6 ed il 9 ottobre a Roma pervennero tre successivi rapporti degli 007 di Nassiriya. Nel primo si parlava di «un imminente attacco», forse con mortai, di cui sarebbero stati bersaglio o i militari italiani a Nassiriya o le forze polacche nel sud dell’Iraq. Solo due giorni dopo, gli investigatori sentivano il bisogno di farsi nuovamente vivi con il loro quartier generale a Roma per segnalare particolari ulteriori. Stavolta si puntava chiaramente il dito contro i Feddayin, dicendo che la milizia un tempo diretta da uno dei figli di Saddam, si apprestava a colpire il contingente italiano. Non si indicavano le modalità dell’attacco, ma si citavano due ex-ufficiali di Saddam, Mustapha Hamid Lafta, e Majid Kassem, come individui coinvolti nei preparativi. Il giorno dopo, un’ulteriore aggiunta, e altri nomi. Nel complotto -rivelava l’intelligence italiana- sono coinvolti due membri della milizia Feddayin, Jasim Kahtan Omar e Abdullah Abud Mahomud, il primo originario di Balad, il secondo di un villaggio vicino a Baghdad. Questi particolari aiutano retrospettivamente a capire per quale motivo il ministro della Difesa Antonio Martino, il giorno stesso dell’attentato kamikaze contro il quartier generale dei carabinieri, fosse così esplicito nell’accusare i Feddayin. Disse allora Martino: «Sembrerebbe possibile che la matrice dell’attentato possa essere ricondotta ad elementi sunniti della guerriglia irachena insieme a componenti estremistiche arabe». Una joint-venture fra Al Qaeda e nostalgici del rais insomma. Ma il ministro lasciava poi intendere che il ruolo predominante nella trama spettasse a questi ultimi: «In concreto le evidenze sul territorio e le indicazioni di intelligence autorizzano a ritenere che l’attentato sia stato pianificato da una cellula dei Feddayin Saddam».

Ora sappiamo che la sicurezza di Martino derivava da una conoscenza piuttosto approfondita dei retroscena dell’impresa terroristica. Una conoscenza purtroppo sterile, che non era sfociata in alcun provvedimento utile a limitare i lutti e i danni di un eventuale attacco. Nè può essere una valida scusa il dire che le gole profonde del Sismi non avevano indicato il luogo e la data. Le installazioni fisse del contingente italiano non erano mille ma cinque, e di queste solo due nel centro di Nassiriya. Nessuna precauzione addizionale venne presa a protezione di queste ultime due, in cui erano ospitati rispettivamente il comando dei carabinieri e il loro quartier generale logistico. Quest’ultima, soprannominata a volte Base Maestrale, a volte Animal House, fu devastata dall’esplosione di un’autocisterna zeppa di esplosivo che potè avvicinarsi sino a una distanza di dieci metri.

A Nassiriya inoltre, nei giorni successivi alla strage, L’Unità ha appreso che altre segnalazioni pervennero sia agli alti ufficiali di Antica Babilonia sia alla Cpa (Autorità provvisoria della coalizione) provinciale. L’ultima, quattro giorni prima del massacro, per bocca del responsabile locale della polizia, Hassan.

L’articolo del Washington Post, firmato dal noto giornalista Daniel Williams, marito della presidente della Rai Lucia Annunziata, ricorda che il 18 novembre in un’audizione in Parlamento del direttore del Sismi, Nicolò Pollari, è emerso come i servizi abbiano parlato dell’esistenza del pericolo fin da luglio. Ma il ministro Martino quel giorno ribatteva che «il Sismi non aveva previsto attacchi specifici, aveva prodotto informazioni che erano state passate alla catena militare di comando, ma questo non significa che l’intelligence avesse previsto che ci sarebbero stati attacchi». Martino sino a ieri sera non ha voluto tornare sull’argomento. Intervenendo alla cerimonia per il giuramento degli allievi dell’Accademia navale di Livorno, si è limitato a dire che la missione in Iraq «non cambia». Portare «aiuto e sostegno a un Paese sfortunato», ha detto Martino, significa da una parte perseguire «nostri vitali interessi di difesa nazionale» e dall’altra avere sempre presente che «il terrorismo agisce anche quando non ha spunti» ed è pronto a colpire «in qualsiasi momento».


Articolo tratto da «l’Unità» dell’8.12.2003