[Matteo Fagotto • 07.02.05] Si torna a sparare nel Delta del Niger: la scorsa settimana tra manifestazioni represse nel sangue dalle forze di sicurezza e scontri tra le varie comunità locali per il controllo del territorio, i morti sono stati almeno 11. Unico comune denominatore tra le due vicende, il petrolio. Dagli anni 70 la Nigeria ha ottenuto qualcosa come 320 miliardi di dollari in proventi petroliferi, ma i 7 milioni di abitanti che della zona del delta vivono ancora in condizioni di estrema povertà. In Nigeria per ora l'oro nero ha portato solo inquinamento, sottosviluppo e tanta violenza...

NIGERIA. PETROLIO ROSSO SANGUE

Il primo episodio si è avuto venerdì scorso (4 febbraio 2005, n.d.r.) vicino a Warri quando una manifestazione da parte della locale comunità Itsekiri davanti all’impianto di Escravos, controllato dall’americana Chevron Texaco, è finita in tragedia: le forze di sicurezza nigeriane infatti avrebbero risposto col fuoco al tentativo dei manifestanti di forzare i cancelli dell’impianto, lasciando sul terreno alla fine degli scontri almeno 6 morti e 12 feriti secondo fonti locali.

Austin Ajurenmisan, capo della comunità locale, ai microfoni della Reuters ha accusato le forze di polizia di aver sparato indiscriminatamente sulla folla riunitasi pacificamente per manifestare contro la Chevron Texaco, colpevole secondo la comunità Itsekiri di non aver tenuto fede alle promesse di investimenti e di impiego fatte nel 2002 in séguito ad una precedente occupazione degli impianti.

La Chevron Texaco non ha voluto commentare l’accaduto, dichiarando solamente di non sapere se gli scontri abbiano provocato morti e demandando la questione alle forze di polizia che controllano le installazioni petrolifere da quando il governo nigeriano le ha dichiarate “vitali” per lo sviluppo del paese. Nessuna dichiarazione al momento è giunta dalla polizia.

Sabato scorso invece nuovi scontri tra le due comunità locali Odiama e Bassambiri nello stato di Bayelsa avrebbero provocato la morte di 9 persone: secondo quanto dichiarato dalla polizia, un’imbarcazione con a bordo alcuni capi della comunità Odiama sarebbe rimasta vittima di un’imboscata presso le paludi di Nembe: un gruppo di miliziani Bassambiri avrebbe infatti assalito l’imbarcazione uccidendo almeno 9 persone.
Petrolio e sangue

I recenti avvenimenti dimostrano ancora una volta come per la Nigeria l’equazione tra petrolio e sviluppo non sia assolutamente veritiera: 320 miliardi di dollari sono finiti negli ultimi 35 anni nelle tasche del governo centrale, ma un terzo della popolazione nigeriana continua a vivere con un dollaro al giorno e le comunità che vivono presso il delta del Niger, la zona che fornisce praticamente tutto il petrolio del paese, sono tra le più povere di tutta la Nigeria.

Per capire come ciò sia possibile bisogna seguire il flusso di danaro che, versato dalle grandi multinazionali del petrolio che operano in “joint venture” con compagnie di stato nigeriane, finisce nelle tasche del governo di Abuja e dei vari stati della federazione nigeriana. La mancanza di trasparenza nell’invio e nell’utilizzazione di questi fondi fa sì che miliardi di dollari possano volatilizzarsi senza lasciare traccia nel tenore di vita delle popolazioni locali, che dello sfruttamento petrolifero conoscono solo il lato peggiore.

Oltre all’inquinamento e alla bassa incidenza che ha l’industria petrolifera sul livello di occupazione, vi sono tutta una serie di problemi legati all’impossibilità per le popolazioni locali di fruire dei proventi petroliferi. Le condizioni di miseria in cui vive la gente locale spinge inevitabilmente molti, in gran parte giovani, verso la delinquenza. La facilità con cui ci si può procurare armi sul mercato nigeriano fa da ulteriore incentivo ad intraprendere questa strada.

Il risultato è che il delta del Niger pullula di bande armate, alcune più legate alle comunità locali e altre meno, ma tutte dedite all’attività più redditizia che la zona possa offrire: il contrabbando di petrolio.Queste bande operano nelle vaste paludi del delta danneggiando gli oleodotti, da cui “spillano” letteralmente il petrolio che viene poi venduto a minor costo alle imbarcazioni che attendono al largo dei porti nigeriani.

Un’attività assolutamente redditizia, che si calcola costi alla Nigeria circa il 10% della propria produzione petrolifera e che garantisce a queste bande nuovi fondi per continuare le proprie attività criminose. Ben presto il proliferare di queste bande armate ha fatto capire sia alle autorità che alle compagnie petrolifere come sia molto più conveniente allearsi con queste gangs piuttosto che combattere una guerra difficilmente vincibile.

I primi a rendersene conto sono stati i politici nigeriani, che hanno cominciato ad assoldare queste bande durante le campagne elettorali, che in Nigeria vengono condotte più a colpi di assassinii politici e di intimidazioni varie piuttosto che con i comizi. Questa pratica poco lecita ha consentito un ulteriore sviluppo delle bande armate, anche se ha creato il problema di come utilizzarle una volta vinte le elezioni.

Una volta che smettono di essere pagate dai vari politici infatti le bande si dedicano a tutta una serie di attività criminose tra le quali racket, rapine e scontri con altre gangs per il controllo del territorio. Inutile dire come queste “attività” poi vadano a detrimento di qualsiasi possibile sviluppo economico nella regione perché scoraggiano gli investimenti (eccetto ovviamente quelli petroliferi).

Quali sono, in questo quadro, le colpe delle compagnie petrolifere? Per quanto riguarda il versamento delle royalties al governo centrale ed ai vari stati locali nulla da dire; le entrate che ogni anno lo stato nigeriano ottiene dallo sfruttamento petrolifero stanno a testimoniare che i soldi arrivano. Le colpe vanno ricercate più nella negligenza per quanto riguarda il controllo della destinazione di questi fondi e nella parziale connivenza di queste compagnie petrolifere con le bande criminali.

Inutile dire infatti che la scomparsa dei fondi ricavati dallo sfruttamento petrolifero è una pratica favorita anche dal comportamento delle compagnie petrolifere, che in questo modo possono anche risparmiare qualcosa rispetto alle cifre che dovrebbero pagare se i bilanci statali nigeriani fossero in regola e se buona parte dei proventi non venisse stornata all’arrivo. Una responsabilità comunque indiretta da parte delle compagnie, che consiste soprattutto nell’essersi adattate benissimo alla realtà locale senza pretendere trasparenza da parte dei propri interlocutori politici.

Responsabilità più grave è invece quella che vede queste compagnie intrattenere legami con le bande criminali. Anche per paura di vedere danneggiati i propri impianti infatti le multinazionali dell’oro nero spesso assoldano le gangs, pagando loro una sorta di pizzo per essere lasciate tranquille e per garantirsi protezione nei confronti delle altre bande armate. Una pratica che, però, ha portato ad un’ulteriore sviluppo della criminalità nella zona.

Bisogna poi mettere in conto anche i proventi petroliferi pagati dalle compagnie alle comunità locali, che consistono in versamenti di denaro ed in progetti di sviluppo per le comunità che le compagnie si impegnano ad intraprendere. Mentre questi ultimi molto spesso rimangono solo sulla carta, il pagamento dei diritti di sfruttamento del territorio ai vari capi locali (che molto spesso non li distribuiscono) ingenera nuove spirali di violenza difficilmente controllabili.

Questi pagamenti infatti sono la causa di feroci guerre tra le varie comunità locali e tra le gangs per il controllo del territorio che dà diritto all’ottenimento di questi fondi. Un processo che si lega anche a quello politico e fa sì che i candidati alle elezioni usino tutti i mezzi in loro possesso, leciti e non, per aggiudicarsi la vittoria. Non è un caso che in occasione delle ultime consultazioni gli osservatori internazionali abbiano riscontrato iregolarità così rilevanti da far definire le elezioni “non democratiche”.

Una spirale di violenza e povertà favorita anche dal governo centrale, che nonostante il lancio di numerose operazioni di polizia nel delta del Niger non riesce a garantire un minimo di sicurezza per la popolazione civile. Un recente rapporto di Human Rights Watch sottolinea infatti come spesso gli arresti di massa da parte delle forze di sicurezza vengano poi seguiti dalla scarcerazione di quasi tutti gli imputati dietro pagamento di laute tangenti.
Anche in questo caso,gli unici a pagare sono gli abitanti della zona, rimasti spesso vittime della violenza della polizia che nei rastrellamenti non va tanto per il sottile e molto spesso coinvolge negli arresti persone innocenti. Senza contare le distruzioni materiali che spesso accompagnano queste operazioni.

C’è un modo per spezzare questa spirale che impedisce a una delle regioni più ricche del globo di svilupparsi? Difficile trovarlo, visto che come tutti i sistemi criminali su vasta scala anche questo può contare su diverse strutture (economiche, politiche e militari) che si autoalimentano tra loro.
Un primo passo importante sarebbe quello di rendere chiari e visibili i fondi ricevuti della compagnie per lo sfruttamento petrolifero e la loro destinazione. Spesso invece i proventi petroliferi vengono custoditi gelosamente dai governi come un segreto di stato, cosa che permette di non rendere conto alla popolazione della destinazione di questi lauti proventi. In questa pratica la Nigeria, purtroppo, è in buona compagnia.

Matteo Fagotto


Fonte: http://www.warnews.it

Per approfondimenti sulla situazione politica in Nigeria: http://www.warnews.it/index.php/content/category/9/93/29/