OGGI VICENZA É MOLTO PIÙ GRANDE DI VICENZA

«…Ho poi studiato a teologia morale un vecchio principio di diritto romano che anche voi accettate. Il principio della responsabilità in solido. Il popolo lo conosce sotto forma di proverbio: Tant’è ladro chi ruba che chi para il sacco. Quando si tratta di due persone che compiono un delitto insieme, per esempio il mandante e il sicario, voi gli date un ergastolo per uno e tutti capiscono che la responsabilità non si divide per due».

Così scriveva da Barbiana don Lorenzo Milani il 18 ottobre 1965 nella famosa «Lettera ai Giudici». Nel filo del ragionamento il suo principio resta valido ieri come oggi. Non si condanna solo il mandante, né solo il sicario. Gli aerei statunitensi scaricano la loro democrazia dall’alto dei cieli iracheni e stanno pianificando di farlo anche in Iran. Il popolo e il governo italiani hanno già detto con parole e scelte finora coerenti che non si riconoscono in quella strategia e per questo motivo hanno ritirato i soldati da Nassirya. Quale coerenza ci porterebbe oggi a «parare il sacco» del furto di vita e di umanità, attrezzando le basi di partenza per le missioni USA nel Mediterraneo? Non manca soltanto la trasparenza di questa scelta cui viene opposto puntualmente il segreto militare degli accordi del dopoguerra, salta un punto fondamentale della nostra Costituzione che non prevede alcuna possibilità di muovere guerra contro un altro popolo.

A Nairobi la società civile del sud del mondo e del Mediterraneo in particolare ci ha chiesto che il nostro Paese giochi un ruolo di primo piano nel promuovere dialogo, comprensione, solidarietà e amicizia tra le nazioni e i popoli delle sponde del Mediterraneo e del Nord e Sud del mondo. Per questo a Vicenza non è in gioco soltanto l’ampliamento di una struttura militare ma un disegno politico molto più ampio che lasci capire al mondo intero se l’Italia vuol essere una portaerei che si protende minacciosa contro i Paesi del fronte sud oppure vuole inaugurare il tempo nuovo dell’incontro stendendosi come un ponte tra Nord e Sud del mondo. Un ponte di conoscenza, scambio, amicizia, solidarietà, diritti…

Questa vocazione dell’Italia è iscritta nella sua stessa posizione geografica e deve essere fatta contare ancor di più oggi nel salotto buono del G8 come nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, nel consesso delle istituzioni internazionali come in seno all’Unione Europea.

A Vicenza si manifesta perché tanta gente ha preso consapevolezza del fatto che il sale della democrazia e della libertà è nella partecipazione di popolo. In questo senso Vicenza non è che l’altro anello della catena partecipativa che passa per Melfi, Scanzano, Sardegna e Val di Susa. Luoghi in cui abbiamo compreso più che altrove che quartiere, città, Paese, villaggio globale richiedono un contributo consapevole e vigile da parte di tutti e che nessuno potrà giustificarsi un giorno dicendo di non essere stato informato per tempo. Si tratta di questioni vitali a cui non si può sfuggire. Se è vero che il movimento per la pace manifesta qualche sintomo di stanchezza, è altrettanto vero che questo percorso carsico si rivela sorprendentemente nelle forme di una partecipazione spontanea non organizzata in cui la gente che abita i territori si riappropria del destino di quel pezzo di mondo in cui si giocano destini planetari. Ci si educa a sentimenti e valori di mondialità a partire dal vissuto e dalle sofferenze di ambiente e cittadini di un luogo che è tutt’altro che anonimo.

A Vicenza si manifesta per dichiarare la volontà della gente di tessere un’altra strategia. Quella che ci hanno insegnato i movimenti popolari degli Stati Uniti che parlano di Human Security e Inclusive Security. Ci chiedono cioè di non offrire alcuna sponda all’unilateralismo dell’amministrazione Bush in politica estera e semmai di tessere un nuovo modello di sicurezza che è garantita dall’estensione dei diritti, piuttosto che dal filo spinato delle fortezze e dalla diffusione della guerra col suo carico di morte e sofferenza. Ci dicono che il vecchio credo per cui solo la guerra spiana la strada alla pace (si vis pacem para bellum) è sconfessato manifestamente dalla storia e dal conto dei morti in Iraq. Semmai è giunto il momento di comprendere e praticare la giustizia come unica via alla pace autentica (opus justitiae pax).

A Vicenza manifesta un movimento trasversale, diffuso e variegato. Il significato della scelta nefasta dell’ampliamento della base non è questione che può cadere facilmente sotto il peso delle strumentalizzazioni. Per questo motivo saranno tante le organizzazioni di ispirazione cristiana, i gruppi e le associazioni di cattolici che da tempo hanno maturato che il Vangelo sconfessa la guerra e non contempla la possibilità di rendersi complici di progetti di morte.

Essere contro la guerra oggi significa operare per il disarmo e proporre scelte nella direzione dello sviluppo ecososteinibile, promuovere i beni comuni e favorire l’estensione vera dei diritti della persona a tutti i popoli, riformare Banca Mondiale, WTO e Fondo Monetario insieme al Consiglio di sicurezza dell’ONU.

La pace è un percorso fatto di politiche che abbiano al centro il rispetto di tutte le persone e di tutti i popoli. Anche il solo silenzio in questo caso sarebbe connivenza e complicità, l’indiffrenza sarebbe un altro modo di «parare il sacco» ai signori della guerra. Per questo Vicenza oggi è molto più grande di Vicenza: è il Parlamento della gente in cui si indica la politica estera e di sicurezza del nostro Paese.

Tonio Dell’Olio