«Fare chiarezza e cambiare strada anche sui risparmi. Questo è possibile, se le diocesi, le parrocchie, le comunità religiose e i singoli chiederanno esplicitamente alle banche presso cui hanno i propri depositi se sono o no coinvolte nel commercio delle armi». È il passaggio centrale dell’appello che Nigrizia, Missione Oggi e Mosaico di pace fecero, in occasione del Giubileo del 2000, per lanciare la campagna di pressione alle «Banche armate».
Alcuni passi, anche significativi, sono stati fatti. La campagna ha visto una grande adesione di singoli che hanno contattato le proprie banche, chiedendo conto del loro operato. Anche diverse amministrazione pubbliche hanno aderito alla campagna collegata delle «Tesorerie disarmate». Poi, alcune realtà ecclesiali – parrocchie, centri missionari, Caritas, istituti religiosi – hanno iniziato percorsi di riflessione in tema di finanza ed etica, e si sono interrogati sulla destinazione ultima del denaro, controllando se la propria banca rientrasse nell’elenco delle ‘banche armate’. Hanno sperimentato piccoli percorsi di partecipazione della comunità intera alla gestione delle risorse economiche… In vista di un prossimo convegno nazionale, raccoglieremo tutte queste esperienze, per conoscere e condividere i diversi percorsi che le varie realtà, anche piccole, hanno messo in atto.
Ma non basta. A noi non basta. Vorremmo che la proposta di una forte riflessione sul tema del denaro e dell’uso che ne facciamo divenisse corale. Comunitaria. Soprattutto nella comunità ecclesiale. In chiesa. Torniamo, perciò, a chiedere alle realtà ecclesiali di muoversi in questa direzione, interrogandosi nei consigli pastorali e nei consigli per gli affari economici, proponendo e sperimentando una maggiore trasparenza. Torniamo a chiedere che, dopo aver esaminato la situazione, indirizzino alle banche una lettera pubblica. Una lettera condivisa dalla comunità. Sarebbe un gesto importante, profetico, per testimoniare che ci sta a cuore, prima di tutto, il Vangelo. Sul sito www.banchearmate.it si trovano tutte le informazioni e i supporti per agire.
Certo non è facile nel mondo ecclesiale infrangere il tabù del denaro! «Il denaro è lo sterco del diavolo»: quante volte l’abbiamo sentito! Come a dire che non bisogna avere a che fare con i soldi. A volte, si sente anche dire: «Pecunia non olet», cioè il denaro non ha odore: non importa da dove arrivi; l’importante è averne e usarlo, anche a fin di bene. Sono due atteggiamenti che, in modo diverso, portano a non collegare l’uso del denaro con alcuni criteri morali. Perché non togliere quel velo di pudore e omertà che spesso accompagna i criteri dell’uso del denaro anche all’interno della chiesa?
Sembra a volte che nella chiesa valga questo criterio: «il fine giustifica i mezzi». Ma è evangelico fare profitti investendo nel commercio di armi? L’appello della campagna «Banche armate», che facciamo girare da otto anni, dice: «Spesso, le banche si rivolgono alle parrocchie, offrendo condizioni particolarmente favorevoli. Crediamo sia moralmente doveroso chiederci come e dove investono questi istituti bancari. Non possiamo accettare il criterio che, avendo dei soldi, li dobbiamo far fruttare al meglio, senza interrogarci sul modo».
Per essere operativi, due proposte mirate per le parrocchie:
– Scrivere alla direzione generale della propria banca, chiedendo di essere trasparenti. Cioè di confermare o smentire, per iscritto, il coinvolgimento dell’istituto (attraverso finanziamenti o il semplice appoggio) in operazioni di import-export di armi. E sollecitando la banca a un nuovo orientamento, più attento alla redistribuzione del credito a favore dell’economia sociale e delle fasce più povere della popolazione. E la risposta sia resa pubblica.
– In caso di risposta vaga o di non risposta, interrompere i rapporti con la banca, rendendo pubblica la scelta.
Fonte: Nigrizia – Gennaio 2008