[Pax Christi • 13.03.03] Non siamo né rassegnati, né pessimisti rispetto alla soluzione della crisi irachena e vogliamo gridarlo con la fierezza che nasce in noi dalla forza della speranza Troppo sbrigativamente i signori della guerra avevano pensato che la macchina del consenso e della propaganda avrebbe dato risultati certi e che  non ci sarebbe stato spazio alcuno per le utopie dei costruttori di pace.

PAX CHRISTI: LE CHIESE INVITINO ALL’OBIEZIONE DI COSCIENZA

Non siamo né rassegnati, né pessimisti rispetto alla soluzione della crisi irachena e vogliamo gridarlo con la fierezza che nasce in noi dalla forza della speranza Troppo sbrigativamente i signori della guerra avevano pensato che la macchina del consenso e della propaganda avrebbe dato risultati certi e che  non ci sarebbe stato spazio alcuno per le utopie dei costruttori di pace. Quando lo scorso mese di agosto proponevamo l’Appello “Fermiamo la macchia della guerra” in cui chiedevamo ai vescovi italiani di unirsi alla nostra richiesta di pace rivolta al Governo e al Parlamento del nostro Paese, forse nemmeno noi contavamo su una tale diffusione della sensibilità a favore della pace. Le tante prese di posizione di vescovi e di comunità cristiane, così come le bandiere dai balconi e le manifestazioni del 15 febbraio scorso, ci indicano con evidenza che la speranza della pace ha superato persino le nostre utopie, che il desiderio di pace ha contagiato di più del virus della guerra e che l’arcobaleno avvolge di colori milioni di persone. Questo conduce molti uomini delle istituzioni ad affermare che: “Non si può fare la guerra in queste condizioni!”. Siamo convinti che questo fremito di speranza che ora preoccupa l’amministrazione americana e quanti ne sostengono la volontà di dominio, domani potrà essere consapevolmente condiviso da questi come da coloro che tramano per seminare terrore e morte. La brezza della pace e non la tempesta della guerra piegherà la tirannia in tutte le sue espressioni di violenza. Nel digiuno e nella preghiera abbiamo ringraziato Dio di aver posto parole e gesti di profezia e di parresia (franchezza) nel cuore stesso della Chiesa, sulle labbra del Pontefice (costruttore di ponti) e di tante donne e uomini che nel mondo si professano credenti. Anche l’incessante azione diplomatica della Santa Sede ci appare oggi come un segno grandioso di resistenza al male della guerra e di annuncio del Vangelo della pace. Se mai i passi della comunità internazionale dovessero raggiungere l’orlo del precipizio, chiediamo sin da ora che le Chiese non esitino ad invitare ad una corale obiezione di coscienza. A ogni donna e uomo di buona volontà venga autorevolmente rivolto l’appello a non offrire sostegno e collaborazione alla guerra con le armi o con il proprio lavoro. Guardiamo a questa scelta come all’estrema forma di resistenza di fronte alla guerra che è stata opportunamente definita “crimine organizzato”. Speriamo di non dover mai pervenire a quel momento che vedrebbe la coscienza e la fede contrapporsi alle decisioni dei propri governanti. A quanti in questi mesi hanno organizzato e partecipato a forme di manifestazione e di protesta contro la violenza del terrorismo e della guerra, vogliamo far giungere il nostro incoraggiamento a continuare ad osare la pace. Conosciamo il prezzo della responsabilità personale che bisogna essere disposti a pagare, sappiamo quale sapore amaro hanno l’incomprensione, la strumentalizzazione e la derisione. ma a tutti  chiediamo di continuare a far lievitare la speranza con questi gesti.
Sempre vi siano parole e segni capaci di dire NO alla guerra senza SE e senza MA con gli ideali e gli strumenti di una nonviolenza senza SE e senza MA. (Pax Christi Italia 10.03.03)
 
L’EX PRESIDENTE USA, CARTER, DICE «NO ALLA GUERRA» CONTRO SADDAM
L’ex presidente Usa Jimmy Carter ha chiesto alla Casa Bianca di rinunciare al proposito di condurre una guerra unilaterale contro il regime del dittatore iracheno Saddam Hussein. “Le politiche sempre più unilaterali e prepotenti hanno fatto crollare la fiducia internazionale nei confronti del nostro Paese, al punto più basso a memoria d’uomo”, ha scritto Carter sull’edizione domenicale del ‘New York Times’. “I profondi cambiamenti nella nostra politica estera – rileva il Premio Nobel per la pace nel 2002 – fanno venir meno agli impegni che da oltre due secoli hanno determinato la grandezza del nostro Paese: quelli che si basano su principi religiosi, il rispetto delle leggi internazionali e le nostre alleanze”. Per Carter, la simpatia sincera e amicizia offerte agli stati Uniti in seguito agli attacchi terroristici dell’11 settembre 2001, persino da regimi considerati fino a quel momento ostili, “è stata per la maggior parte sciupata”. L’ex inquilino della Casa Bianca ritiene che occorra utilizzare la presenza e la minaccia del potere militare Usa per costringere l’Iraq a rispettare le risoluzioni dell’Onu. La guerra, secondo Carter, è l’ultimissima opzione. Sempre domenica, il New York Times ha pubblicato un editoriale contro un’invasione dell’Iraq. Sotto il titolo “No alla guerra”, l’influente quotidiano americano sottolinea la necessità di non indebolire le Nazioni Unite con un’azione bellica unilaterale. Misna 10.03.03