[Redazione di Cunegonda • 01.04.04] Un aumento di venti centesimi circa per ogni pacchetto di sigarette. Poco meno di quaranta lire. Che andranno a sostenere spese militari dello Stato italiano: gli adeguamenti previsti dal contratto, ma anche le missioni “di pace” in giro per il mondo, per un totale di circa 650 milioni di euro...

QUANDO LA PACE SE NE VA… IN FUMO

Un aumento di venti centesimi circa per ogni pacchetto di sigarette. Poco meno di quaranta lire. Che andranno a sostenere spese militari dello Stato italiano: gli adeguamenti previsti dal contratto, ma anche le missioni “di pace” in giro per il mondo, per un totale di circa 650 milioni di euro (tanto si aspetta il governo). E’ stato tutto deciso il 22 dicembre, quando anche il Senato ha dato il via libera alla Finanziaria 2004: una Finanziaria che ha dovuto affrontare il nodo degli stipendi dei militari, nonché dei costi per sostenere il prolungamento delle missioni all’estero (per le quali è stato anche istituito un fondo di 1.200 milioni). Dove trovare i soldi necessari? La proposta sarebbe arrivata da Alleanza nazionale: un ritocco delle accise statali sul tabacco. In realtà, An avrebbe voluto anche incrementare il sostegno ai piccoli comuni, ma alla fine si è deciso che tutto il maggiore incasso servirà a pagare, nutrire, alloggiare, equipaggiare, trasportare, vestire, curare, riscaldare e addestrare i militari. Anzi: pare che, oltre ai fumatori, anche i bevitori di superalcolici e gli amanti della birra saranno presto chiamati a dare il loro spontaneo contributo al patrio esercito attraverso gli stessi meccanismi.

E’ però sul fumo che si sta concentrando l’attenzione dei movimenti pacifisti e di tutti quei settori contrari all’impegno italiano in Iraq. Un giornalista del mensile “Vita”, Riccardo Bonacina, ha addirittura deciso di smettere: “Trentacinque anni di fumo impenitente e felice – scrive Bonacina in un pezzo intitolato significativamente “La pace in fumo” -. E’ mai possibile che l’idea che qualche mio euro vada a finanziare missioni militari mi spinga, alla soglia dei cinquant’anni, ad una vera e propria obiezione di coscienza? Nessun odioso appello alla salute aveva mai fatto breccia, nessuna minacciosa e ipocrita scritta sui pacchetti di sigarette, nessun malanno o starnuto. Dagli ayathollah del fumo passivo mi aveva sempre salvato un po’ di buona educazione e qualche volta la simpatia. Le idee, forse anche l’ideologia, può davvero tanto?” Evidentemente sì.

Bonacina fa anche due conti: “Nel mese di gennaio 2004 non ho fumato 500 sigarette, cioé 25 pacchetti non acquistati, 65 euro risparmiati (o non andati in fumo), di cui tredici euro invece di finanziare le missioni militari italiane rimarranno nelle mie tasche. L’obiettivo per il febbraio 2004 è salire a 32 pacchetti non acquistati, per 640 sigarette non fumate e 83,20 euro risparmiati. Insomma, un programma credibile, nessuna ultima sigaretta. Ma obiettivi mese per mese, sino a spegnere definitivamente i recettori di nicotina per il 19 marzo 2004, data dell’attacco contro l’Irak”. Un vero e proprio invito all’obiezione militare attraverso il fumo.

Ma, parlando di sigarette, si possono fare anche altre riflessioni. Qualche tempo fa Beppe Grillo disse che il prezzo “giusto” della benzina sarebbe almeno i 5 euro al litro. “Bisogna imputare al costo del petrolio i suoi costi reali – spiegava in un’intervista il comico genovese -: distruzione dell’ambiente, malattie, guerre. Questo non lo possiamo pagare noi, se lo paga chi consuma petrolio. Oggi il greggio è venduto in un regime di economia pianificato, ha un prezzo truccato deciso da un’economia di bolscevichi”. In altre parole: se è vero (ed è vero) che il mercato del petrolio è la principale causa dei danni all’ambiente, delle tensioni internazionali che generano guerre e terrorismo, di mutamenti climatici indotti dall’eccessivo consumo di carburanti, ebbene, perché mai la riparazione di tutti questi danni viene scaricata sulla collettività? Sarebbe giusto, sostiene Grillo, che il prezzo al consumo del petrolio e dei suoi derivati vada a coprire non solo i costi di produzione e trasporto, ma anche i vari “effetti collaterali” indotti da questo mercato. Analogo ragionamento si può fare allora con le sigarette: quanto spende il servizio sanitario nazionale per affrontare le malattie indotte più o meno direttamente dall’uso del tabacco? Miliardi di euro all’anno, spaziando dal cancro al polmone ai vari tipi di malattie cardiovascolari, per citare solo i due gruppi più consistenti. Soldi che si scaricano sulla fiscalità generale, non certo sul prezzo del pacchetto di sigarette. Anzi: il fumatore consuma e spende, produttori e distributori intascano, e la collettività paga i danni.

Un’altra considerazione riguarda poi le multinazionali del tabacco, quasi sempre sulla lista nera delle organizzazioni che difendono la salute pubblica e l’economia del Sud del mondo. La Philip Morris è il gigante della famiglia e anche l’esempio più significativo. Multinazionale con un fatturato annuo da 60 miliardi di dollari, vende i suoi prodotti in 180 paesi del mondo con marchi come Marlboro, Merit e Chesterfield. Negli anni Novanta è finita nel mirino di associazioni di consumatori e gruppi di cittadini a causa delle campagne pubblicitarie particolarmente aggressive, e nel 1997 è stata condannata a pagare una supermulta di 27 milioni di dollari per 25 anni a titolo di risarcimento in cause legali avviate da clienti un tempo molto affezionati, e successivamente molto ammalati (informazioni tratte dalla “Miniguida al consumo critico e al boicottaggio”, edizione dell’aprile 2003). La Philip Morris sarebbe “la maggiore responsabile dei 4,2 milioni di persone che muoiono ogni anno nel mondo per malattie legate al fumo”. A seguito di azioni legali e campagne di boicottaggio, nel 1999 è stata costretta ad ammettere che sì, il fumo fa male. Ma non per questo ha deciso di smettere. Anzi, “poiché nel nord del mondo il consumo di tabacco è in diminuzione, sta dirigendo le sue vendite verso il sud, aumentando a dismisura il consumo di tabacco nei minorenni”. Come dire che la multinazionale statunitense viene considerata dai movimenti solidaristici uno dei principali flagelli dell’umanità.

Sembra quindi che ci sia più di una buona ragione per applicare i criteri del consumo critico anche alle sigarette. Tra l’altro, oltre al discorso delle spese militari e dei danni al servizio sanitario nazionale, vale sempre l’avvertimento che appare bene in evidenza anche sui pacchetti: il fumo nuoce gravemente alla salute. E chi vuole dare il proprio contributo al boicottaggio di gruppi come la Philip Morris stia attento: la multinazionale ha anche avviato una divisione di prodotti alimentari alla quale fanno capo prodotti che nulla hanno a che fare con le sigarette: come i dolci targati Milka e i formaggi Philadelphia, Jocca e pure le italianissime Invernizzi e Fattorie Osella.

[Piercarlo, Redazione Cunegonda Italia]http://www.cunegonda.info/25sigarette.htm