QUESTO MATRIMONIO NON S’HA DA FARE: NON PIACE L’ACCORDO TRA CTM E INTESA-SAN PAOLO


«Abbiamo seguito e accompagnato il percorso di crescita e di sviluppo delle centrali di importazione del Ces (commercio equo e solidale, ndr), abbiamo criticato e sofferto per la scelta che alcune delle centrali hanno fatto, voi compresi, di inserirsi dentro la grande distribuzione… abbiamo sempre cercato di mantenere alto il dibattito, il confronto per evitare alcune derive pericolose. A questa preoccupazione ora si aggiunge la vostra scelta di convenzionarvi con Banca Prossima, la banca ‘no-profit’ (si fa per dire) del gruppo Intesa-San Paolo».

vendita di prodotti del commercio equo e solidaleÈ carico di delusione il tono della Lettera aperta a Ctm-Altromercato firmata da un consorzio fiorentino di realtà associative impegnate nel commercio equo e solidale, coordinato da don Alessandro Santoro, animatore della Comunità Le Piagge di Firenze. Quello che proprio non va giù ai firmatari, si legge nella Lettera, è «la palese contraddizione che sta dietro» quest’alleanza finanziaria, attiva già da metà settembre 2007, stipulata tra il colosso del commercio equo Ctm-Altromercato e la nuova creatura del gruppo Intesa-San Paolo, Banca Prossima, ingiustamente propagandata a suo tempo come «la prima banca europea dedicata al sociale».

La Lettera aperta a Ctm-Altromercato – pubblicata solo il 3 aprile scorso, dopo Natale e Pasqua, «per non inquinare un periodo così importante per la sopravvivenza delle tante realtà del Ces» – raccoglie in tre punti i motivi fondamentali per cui questa convenzione è da ritenersi estremamente dannosa. Innanzitutto, si legge, «il gruppo Intesa-San Paolo è una banca armata (la seconda in Italia)». Secondo i dati della Campagna Banche Armate pubblicati nel 2007, il gruppo San Paolo Imi era capofila degli istituti di credito ‘armati’, con un valore di oltre 448 milioni di euro di operazioni bancarie nell’export di armi.

Nonostante le promesse che hanno seguito la fusione di Banca Intesa con il gruppo San Paolo «già sappiamo (su loro ammissione) che nell’elenco delle banche armate del 2008 (che fa riferimento all’anno 2007) loro ci saranno». Inoltre, accusa la Lettera, «Il gruppo finanzia le maggiori e peggiori multinazionali del mondo, ha finanziato progetti devastanti che hanno provocato migliaia di morti e disastri eco-sociali come il gasdotto Comisea in Perù, l’oleodotto Oup in Ecuador, l’oleodotto Btc nel Caspio». E, infine, «Banca Intesa-San Paolo è dentro un sistema finanziario globale che inevitabilmente sottopone le aziende a pressioni sempre più forti per massimizzare i profitti a scapito dei lavoratori, dell’ambiente e delle comunità locali».

Analisi condvisa anche da Paolo Trezzi, del Centro Khorakhanè di Lecco, che, in un articolo pubblicato sul settimanale «Carta» del 10 aprile 2008, aggiunge che, oltre ad essere tra i primi soggetti finanziatori del mercato delle armi, il gruppo San Paolo è «partner economico e di capitali con Finmeccanica, che non vende cioccolata» e, inoltre, «ha transato, cioè pagato, alla new Parmalat qualcosa come 160 milioni di euro per togliersi dai processi che la minacciavano». Il gruppo, denuncia infine Trezzi, è «operatore qualificato con sedi e succursali nei Paradisi fiscali».

Da parte sua, il presidente di Ctm-Altromercato, Giorgio Dal Fiume, in un’intervista rilasciata il 5 ottobre 2007 al mensile Altreconomia, aveva spiegato che alla base della convenzione contestata dal Consorzio fiorentino sarebbe rimasto il «vincolo politico» che definisce la sostanziale diversità tra un istituto di credito tradizionale ed uno eticamente sostenibile. «Abbiamo chiarissimo – precisava Dal Fiume – il confine che definisce la finanza etica». Al primo posto, l’uscita di Banca Intesa dalla lista nera delle «banche armate», ossia da quel gruppo di istituti che investono, direttamente o indirettamente, parte del loro capitale nella produzione o nel commercio di armi o che si pongono da garanti ‘remunerati’, intermediari tra imprese e Paesi acquirenti di armi.

Le realtà equosolidali fiorentine hanno perciò deciso di tagliare i rapporti commerciali con Ctm-Altromercato. E forse non solo: «Se questa situazione dovesse perdurare e nulla cambiasse – è il monito conclusivo della Lettera aperta a Ctm-Altromercato – avvieremo una campagna nazionale coinvolgendo anche le altre botteghe e realtà del Ces e delle economie solidali e ci troveremmo costretti a rinunciare definitivamente ai vostri prodotti e a qualsiasi rapporto commerciale e politico con la vostra centrale». (Giampaolo Petrucci)


Fonte: Adista, n.33 del 26.04.08