[Maria de Falco Marotta • 26.12.03] “La risposta all’ingiustizia non deve fare tacere il critico, ma rimediare all’ingiustizia” (Paul Robeson). Vi proponiamo una riflessione sul tema della pace ed insieme un'intervista a Sami Aldeeb, Presidente dell'«Associazione per un solo Stato democratico in Palestina/Israele»...

RIFLESSIONE E INTERVISTA. COME SI DIFENDE LA PACE NEL NOSTRO TURBINOSO MONDO?

Ci sono mode (R.Gere, buddhista e membro di Peacemaker Circle International Inc., che si reca in Giordania per organizzare un evento internazionale con la partecipazione di molti personaggi famosi in favore della pace: cfr.: i quotidiani della prima quindicina di dicembre 2003) e modi (marce, convegni, libri, Saloni dell’editoria, tipo quello che si è svolto di recente a Venezia e che presentava una miriade di gruppi che promuovono il bene supremo della pace, tanto da rendere universale il grido del papa Giovanni Paolo II: “Fa’ che ogni essere umano, di tutte le razze e culture, incontri ed accolga Gesù, venuto sulla Terra nel mistero del Natale per donarci la “sua” pace”) (8 dicembre 2003).

Scriveva Aldo Capitini (un fervente promotore  della non-violenza) qualche tempo fa: “A noi pare che ci siano due posizioni sbagliate:
a) quella di coloro che dicono di volere la pace, ma lasciano effettivamente la società attuale come è, con i privilegi, i pregiudizi, lo sfruttamento, l’intolleranza, il potere in mano a gruppi di pochi;
b) quella di coloro che vogliono trasformare la società usando la violenza di minoranze dittatoriali e anche la guerra, che può diventare atomica e distruttiva per tutti. Per noi il rifiuto della guerra e della sua preparazione militare, industriale, psicologica, è una componente fondamentale del lavoro per la trasformazione generale della società. (dal periodico “IL POTERE E’ DI TUTTI”,  pag.159).

La presenza delle armi “intelligenti” e tra poco vi sarà il soldato “Intelligente” (cioè strutturato come un automa ad alta tecnologia che non patirà più alcunché, tranne l’handicap dello scaricamento delle pile che avranno un’autonomia di solamente 72 ore: cft. “La Stampa”, 10 dicembre 2003) ci costringono oggi a lavorare sul serio per superare tutti insieme, con il rifiuto della violenza e l’uso della non- violenza, le ragioni, le occasioni e gli interessi che portano alla guerra, ai conflitti armati tra i popoli della terra. Le scelte di pace e di giustizia della non- violenza emergono oggi dall’incertezza dei buoni propositi e si fanno strada come le più praticabili, le più sperabili, perché le meno dolorose, nella soluzione dei problemi internazionali, dove la lotta per il disarmo, per i diritti umani e civili, contro la miseria e la fame, per la costruzione di rapporti amichevoli e solidali tra i popoli, le nazioni e gli stati nota impegnati numerosi movimenti politici, religiosi, volontaristici (e se dovessi citarli tutti, non basterebbero tutte le pagine Web).

Dall’ONU è spesso ricordato che nel nostro tempo si è, per la prima volta nella storia di sofferenze del genere umano, raggiunta la capacità di garantire a tutti (quasi) la salute, il cibo, l’educazione( ma non proprio se esistono ancora milioni di analfabeti). L’ostacolo è nella gestione egoista delle risorse, però voci e forze autorevoli si muovono con tenacia per superare insieme le difficoltà. Le oligarchie ricchissime che governano l’economia mondiale chiedono mani libere in nome dello sviluppo (ovviamente, del loro tipo di sviluppo che ha illuso i popoli dell’Asia, che ha ri-colonizzato l’Africa, che ha scatenato l’integralismo islamico, che ha perpetuato la miseria dell’America Latina, che distrugge ogni giorno l’ambiente naturale in molte zone della terra). Molti lavorano per togliere il potere assoluto a costoro e riconsegnarlo ai cittadini del mondo  che propongono in ogni dove (ultimamente, Il terzo Salone dell’editoria di pace, Venezia, 6-8 dicembre 2003, una commovente raccolta di piccole case editrici che pubblicano esclusivamente documenti sui mali dell’umanità finalizzati a proposte concrete per risolverli, anche con l’aiuto di altre culture provenienti dall’Oriente: buddhismo, induismo, taoismo…) strade, modi percorribili per ridurre le spese per gli armamenti, cancellare i debiti agli stati del terzo mondo, sottrarre ai potenti il controllo esclusivo sui prezzi delle materie prime, procurare ai paesi poveri le risorse della tecnologia per la crescita della loro economia e della loro cultura, realizzare piani di aiuti internazionali tra paesi ricchi e poveri, aggiudicare all’ONU i mezzi per risolvere le guerre locali, sia con la forza dei “Caschi blu” che con la non- violenza dei “Caschi bianchi”, lavorando  uniti per salvare le persone e l’ambiente terrestre.

Ma quali sono  le richieste possibili dell’umanità? Il rifiuto deciso delle soluzioni violente, l’isolamento dei paesi, dei gruppi e degli individui violenti, l’appoggio ai paesi, ai gruppi e a quanti praticano le tecniche della non-violenza, attraverso una mobilitazione internazionale dell’opinione pubblica. Mezzi non più irrealizzabili per indurre nella direzione della pace.
 
“Nell’idea di fratellanza dei popoli si riassumono i problemi urgenti di questo tempo: il superamento dello imperialismo, del razzismo, del colonialismo, dello sfruttamento: l’incontro dell’Occidente con l’Oriente asiatico e con i popoli africani….; la fratellanza degli europei con le popolazioni di colore; l’impianto di giganteschi piani di collaborazione culturale, tecnica, economica.  (IN CAMMINO PER LA PACE, pag.47)
 
La mondializzazione, indotta finora soltanto da interessi economici, deve nascere come propria dai popoli della terra, che possono trarre il massimo profitto dalla gestione unitaria delle risorse, dalla programmazione internazionale delle ricerche scientifiche, dallo scambio sempre più ampio di conoscenze culturali.
 
“Con la non-violenza si arriva ad un mondo dove ci sia la libera circolazione di tutti dappertutto. Che a ciò si arrivi gradualmente dipende dalle forze in movimento, dagli strumenti apprestati, dagli animi pronti. Le Nazioni Unite possono aiutare questa realizzazione, incalzandola e reprimendo violenze.
Ma noi già intravediamo questo fine universale. E se intanto si scambiassero migliaia di giovani lavoratori e studenti per lunghi periodi, ne sarebbe un’anticipazione certamente utile.” (LA NONVIOLENZA OGGI, in “Scritti sulla non-violenza”, pag.185).

Amici palestinesi e israeliani oggi ci invitano a riflettere sulla angosciosa situazione di due piccoli popoli di razza simile che, in ostaggio a vecchi pregiudizi e rancori, agli interessi regionali di potenze straniere, sono istigati a odiarsi, a uccidersi o ad avere come prospettiva meno peggiore quella di costituire in un fazzoletto di terra due piccoli stati armati e contrapposti.

Mentre basterebbe non ascoltare gli interessati protettori che forniscono le armi per uccidere, e vivere e lavorare insieme senza altri problemi di quelli, immensi, che la natura e la vita ci pongono sul cammino( Cfr.: quotidiani di dicembre 2003). Capitini non si illudeva sulla nostra capacità di costruire qui e subito una società non- violenta in cui il potere fosse di tutti: esortava tuttavia a trovare insieme la tensione religiosa, sociale, politica indispensabile per risolvere le contraddizioni odierne rifiutando ogni intolleranza, contrastando ogni violenza, realizzando i valori più alti dell’umanità.

Attualmente è consolante rendersi conto che nel mondo intero esistono persone, gruppi, associazioni, intellettuali che lavorano per la pace. Però questa non vi sarà mai, se non si riuscirà a risolvere la questione palestinese(Cfr. i quotidiani di dicembre 2003).

INTERVISTA A SAMI ALDEEB

Per tale motivo, l’intervista a  Sami Aldeeb ([email protected]) Presidente dell’«Associazione per un solo Stato democratico in Palestina/Israele» , potrebbe offrire spunti  anche per altre soluzioni pacifiche del gravissimo conflitto in corso tra israeliani e palestinesi, di cui, tuttora, è difficile pronosticare la fine.
 
Professore, come è nato il suo impegno in favore dei palestinesi?
Prima di stabilirmi in Svizzera, ho lavorato per due anni come  impiegato locale della Croce rossa internazionale nella regione di Jénine. Dovevo corredare i delegati della Croce Rossa e far loro da interprete. Accoglievo e visitavo le famiglie dei prigionieri palestinesi, vedevo la miseria dei miei compatrioti. Quando sono venuto in Svizzera con una borsa di studio, mi son detto: non mi occuperò di politica. il Mio scopo era di finire i miei studi e di ritornare in Palestina per servire meglio quelle persone. Ma vedendo gli ebrei sionisti svizzeri difendere a sproposito Israele, ho capito che non avrei potuto  tacere. Un giorno i sionisti hanno distribuito un volantino in Svizzera che chiedeva del denaro per fare ” fiorire il deserto “. Mi sono ricordato allora del villaggio di Emmaüs, il famoso villaggio biblico che Israele ha raso al suolo  completamente nel 1967 dopo avere espulso i suoi abitanti. Sull’area di questo villaggio, ha poi piantato una foresta chiamata Parco Canada per gitanti con la ” generosità ” degli ebrei canadesi. Israele ha cancellato così le tracce di questo villaggio per una foresta. Mi sono chiesto: quanti altri villaggi palestinesi hanno subito la stessa sorte, in seguito alla menzogna israeliana di fare ” fiorire il deserto “? Così ho cominciato a inviare lettere ai giornali svizzeri per far conoscere la verità e i sionisti mi hanno trattato da bugiardo. Intanto, ho potuto ottenere da Padre Pierre Médébielle di Gerusalemme tre foto di Emmaüs, scattate prima e dopo la distruzione del villaggio da parte di Israele. Le ho diffuse in Svizzera. I sionisti mi hanno trattato di nuovo da bugiardo. E, tuttavia, le foto sono là!  Io conoscevo bene questo villaggio per averlo visitato prima  e dopo la distruzione.
Ho deciso allora di fondare nel marzo 1987 con gli amici svizzeri un’associazione per ricostruire Emmaüs. Lo scopo era di fare conoscere la storia di questo villaggio e le rivendicazioni dei suoi abitanti. Uno dei nostri membri, Christophe Uehlinger si è incaricato di verificare l’elenco dei villaggi palestinesi distrutti da Israele sulla base di carte geografiche israeliane che menzionavano espressamente sotto il nome dei villaggi il termine ebreo
“harouss” che significa “distrutto”.
Chiunque può vedere l’elenco in:
http://w1.858.telia.com/~u85819409/altinfo/list%20localities.htm).
Altri particolari si possono osservare in:
http://www.lpj.org/Nonviolence/Sami/Album.html
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Ci può dire qualcosa dell’Associazione per un solo stato democratico in Palestina/Israele?
Emmaüs è uno tra i 385 villaggi palestinesi distrutti da Israele. i Suoi abitanti sono un esempio tra tanti altri espulsi dalle loro terre e dalle loro case. Con l’insuccesso degli accordi di Oslo e del foglio di via che hanno dato tanta speranza, mi sono detto che bisognava occuparsi anche degli altri profughi palestinesi. Questi due accordi, come del resto quello di Ginevra, avevano per scopo principale di creare due Stati. Con ciò gli israeliani volevano far perdere il diritto dei  profughi di tornare là. Ora questo non sarà accettato mai dai profughi, eterni perdenti del conflitto israelo-palestinese che hanno dimostrato di essere capaci di far fallire ogni accordo che non tiene conto del loro diritto al ritorno. Dopo tutto, Sharon il russo, e Pérès il polacco,  hanno il diritto di venire in Palestina, perché no agli altri  profughi, visto che un tale ritorno non darebbe grandi problemi perché la maggior parte dei villaggi distrutti da Israele sono disabitati; oppure vi sono  foreste nei luoghi da loro occupati, per cancellare le loro tracce?
A parte il problema dei profughi, bisognava arrendersi all’evidenza che la creazione di due stati significa che lo stato palestinese sarà a maggioranza musulmana che discrimina i non- musulmani e le donne, e lo stato israeliano sarà a maggioranza ebraica che discrimina i non- ebrei e le donne. Infine, il territorio su cui dovrebbero stabilirsi i due Stati è grande come un fazzoletto. Tanto gli ebrei che i non – ebrei che abitano lì si sentono attaccati all’insieme di questo territorio, e hanno degli interessi economici in comune. Tagliare questo territorio in due, creerebbe solamente altre ingiustizie. In nessun caso i profughi palestinesi lascerebbero vivere in pace Israele che, al primo attentato, rioccuperà lo stato palestinese e si ricomincerà da zero. Bisogna arrendersi all’evidenza che l’unica soluzione percorribile è di mantenere un solo Stato coi diritti uguali per tutti, rigettando ogni discriminazione sulla base della religione o del sesso. Del resto, la Palestina  lungo la sua storia non è stata divisa che per una ventina di anni(1949-  1967). La geografia del paese non permette la divisione. Certo, si può dire che l’odio tra ebrei e non- ebrei in questa regione impedisce la creazione di un solo Stato per il momento, ma questo odio è dovuto all’ingiustizia. Se si ripara l’ingiustizia, l’odio sparirà. La divisione del territorio in due Stati farà aumentare solamente l’odio. Se detestate vostro fratello, non è una ragione valida per tagliare vostra madre in due pezzi. L’idea di creare un solo Stato è stata avanzata spesso dagli israeliani e dai palestinesi. L’Olp ne faceva il suo credo principale e il  rimpianto Edward Said difendeva una tale idea. Ma nessuno è entrato nei dettagli riguardante la cornice giuridica che doveva reggere un tale Stato. Ho capito, allora, che si  doveva creare un’associazione per incaricarsi dell’idea e svilupparla. Così è nata il 15 aprile 2003 l’Associazione per un solo Stato democratico in Palestina/Israele. I suoi statuti fissano, per la prima volta, il quadro giuridico dello stato auspicato. Si trova in differenti lingue sul nostro sito: www.one-democratic-state.org. Essi partono dal principio: ” La pace sarà il frutto della giustizia ” (Isaia 32:17). Nel mese di dicembre 2003, l’Associazione conta 296 membri: ebrei, cristiani, musulmani ed altri, viventi all’interno ed all’esterno sia della Palestina, che di Israele. Ogni giorno vi sono numerose persone che aderiscono alla nostra Associazione.
 
Qual è la vostra posizione al riguardo degli accordi di Ginevra?
 La nostra Associazione ha rigettato gli accordi di Ginevra che giudica  immorali. Essi trascurano volontariamente il diritto al ritorno dei profughi palestinesi, e divide il paese in due Stati che saranno necessariamente due regimi discriminatori. Abbiamo condannato il ruolo giocato dalla Svizzera nella conclusione di questi accordi che violano le convenzioni di Ginevra ed il diritto internazionale, che quello della stampa internazionale, chiedendo   anche alla Svizzera, in  nome del dibattito democratico e plurale, di finanziare un’altra conferenza che abbia in conto, il diritto al ritorno dei profughi palestinesi e la difesa per la creazione di un solo Stato democratico in Palestina/Israele. Aspettiamo sempre la risposta a queste richieste legittime. Inoltre è da dire che i negoziatori palestinesi si sono fatti intrappolare dai  loro interlocutori israeliani. Adesso che essi ritorneranno  nel loro paese, scopriranno che i profughi sono irritati contro di loro e minacciano  addirittura di ucciderli. Ciò rischia di provocare una guerra civile tra i palestinesi. Che fare in questo caso? la Nostra Associazione stima che è un dovere della Svizzera venire in aiuto di questi mediatori, offrendo loro l’asilo politico, prima che siano uccisi.
 
Quali passi vuole intraprendere la vostra associazione per realizzare il suo obiettivo?
la Nostra Associazione ha un scopo educativo. Vuole promuovere l’idea della pace basata sulla giustizia ed il rispetto del diritto internazionale. Stima che senza il ritorno dei profughi palestinesi nel  Vicino-Oriente, non vi sarà mai pace. E’ convinta che le parti in conflitto, finiranno per adottare questo punto di vista. Inoltre, desideriamo suscitare il dibattito intorno a questa soluzione sul piano israeliano, palestinese, arabo ed internazionale, senza  costringere nessuno ad adottare il nostro punto di vista, dicendo, tuttavia, che l’unica alternativa  a questa soluzione,  è una discesa all’inferno per tutti. E questo è confermato ogni giorno sul campo per tutti.
Accanto a questa promozione dell’idea di un solo Stato, non escludiamo un giorno, se il nostro numero aumenta, di proclamare un governo esiliato. E’ anche probabile che formiamo un partito politico composto da ebrei, cristiani musulmani, agnostici ed altro, per sostenere la realizzazione del nostro obiettivo. Invitiamo ogni persona interessata alla nostra associazione che ha in mente di aderire, di riempire le seguenti domande, inviandole  all’indirizzo: aldeeb@bluewin., accettandone gli statuti in:
http://www.one-democratic-state.org e di voler esserne membro., con  nome, indirizzo, religione, nazionalità,  E- mail e indicazioni personali in due linee (curriculum e funzione attuale).


CHI E’ SAMI ALDEEB
Sami Aldeeb, dottore in diritto, Presidente dell’Associazione,  è un  cristiano di origine palestinese e di nazionalità svizzera. Vive in Svizzera dal 1970. Ha conseguito  il suo  dottorato in diritto all’università di Friburgo (1979), conseguendo, poi,  un diploma in scienze politiche all’istituto universitario degli alti studi internazionali di Ginevra (1976). Lavora dal 1980 in un istituto svizzero in quanto responsabile del diritto arabo e musulmano. Ha pubblicato numerosi lavori ed articoli, trattando principalmente la connessione  tra il diritto, la religione e le politiche internazionali.
Si  trova l’elenco ed un certo numero dei suoi  articoli nel suo sito: www.go.to/samipage