ROMANO PRODI: «20 MARZO, UNA ALTERNATIVA ALLA GUERRA»

Tredici mesi fa, il 15 febbraio, le capitali di tutto il mondo furono attraversate dal popolo della pace. Milioni di donne e di uomini dissero no alla guerra in Iraq. Un mese dopo è iniziata questa guerra al di fuori dell´Onu e del diritto internazionale, una guerra che non doveva cominciare, che saggezza e lungimiranza politica consigliavano di evitare e che oggi non è ancora conclusa, lasciando l´Iraq dentro un guado, il cui passaggio può avere esiti imprevedibili e pericolosi.

Il popolo europeo nella sua interezza è stato parte integrante del movimento della pace, anzi ha posto la pace nell´identità stessa della nuova Europa. A distanza di un anno, alla vigilia di una nuova giornata mondiale per la pace e contro la guerra, c´è una domanda che il popolo della pace pone alla politica, anche in Europa, e che non può essere evitata.Queste sono le questioni all´ordine del giorno: 1) Di fronte al fallimento della guerra come strumento per risolvere i conflitti, è necessario riflettere con più coraggio sul ruolo dell´Onu e sulla sua riforma, perché non si può permettere in nessun modo la delegittimazione di questo insostituibile strumento, per prevenire e risolvere i conflitti e per salvaguardare un ordine internazionale pacifico.

2) La lotta al terrorismo. L´assoluta consapevolezza del pericolo rappresentato oggi dal terrorismo e la necessità di moltiplicare tutti i nostri sforzi per combatterlo, non può giustificare la guerra. È necessario trovare nuove strategie efficaci da affiancare alle indispensabili azioni a tutela della sicurezza dei cittadini.Il terrore punta alla paura, per catturare e fare prigionieri del proprio disegno i popoli e le istituzioni. Per sconfiggere la paura e la cattura del terrore sono necessarie un´intelligence costante e puntuale, istituzioni forti e credibili e una politica, che sappia guardare lontano alle grandi ferite aperte in tante parti del mondo, a cominciare dal Medio Oriente, e sappia sanarle con coraggio.

3) Il drammatico e crescente divario tra il nord e il sud del mondo. C´è un nuovo muro, che divide il mondo. C´è uno sterminio per fame, per sete, per malattia, che travolge interi continenti e che interpella la coscienza di tutte le persone. Dobbiamo combattere questo sterminio con la stessa intransigenza con cui pensiamo di combattere il terrorismo, impegnando più risorse di quelle che spendiamo per le armi. Solo così e non altrimenti si costruisce il futuro.

4) Il nuovo ruolo dell´Europa. Un´Europa che sappia costruire la pace, in alleanza con pari dignità con gli Usa e in un dialogo efficace e lungimirante con le leadership africane, latino-americane e asiatiche, operando per un nuovo multilateralismo, dove possano contare davvero tutte le grandi aree del mondo. La stessa forza di difesa europea è al servizio di questo disegno e ne è strumento. La forza dell´Europa non sta principalmente nelle sue armi e nel suo esercito, ma nella sua politica, nella sua costituzione e nelle sue istituzioni.

Se questi sono i problemi sul tappeto, è giusto anche riconoscere che il movimento per la pace sta faticosamente costruendo una nuova cultura della pace, che la politica non può sottovalutare: anzi è un patrimonio di valori, a cui attingere.Queste sono le sfide: A) Costruire la pace con mezzi pacifici. Di fronte al fallimento della guerra, che oggi in tantissimi condividono, questa è una intuizione di straordinario valore, sui cui lavorare con pazienza, con intelligenza, senza arrendersi alla cultura della forza e delle armi. B) Vedere la guerra dalla parte della vittime. Non è umanitarismo compassionevole, è uno sguardo nuovo e grande, che rivela la follia della guerra, pagata sempre dagli innocenti e dai civili. C) Un nuovo senso della giustizia. Per secoli si è campato sull´equazione guerra/giustizia, ma, come ha scritto Gustavo Zagrebelsky, “nessuna politica è conforme a giustizia se il perseguimento del suo fine comporta il prezzo dell´ingiustizia, del male causato all´innocente”. D) Il tramonto della cultura del nemico. Il movimento della pace rifiuta alla radice l´odio, l´inimicizia, il disprezzo dell´altro, e critica la guerra con lucidità perché cerca incessantemente la pace. Anche l´antiamericanismo, che è presente in alcune frange, non fa parte della cultura del movimento della pace, come non fa parte di questa cultura la logica della scomunica, della delegittimazione con un linguaggio violento di chi non la pensa esattamente come noi. Queste sono scorie che appartengono ad altri recinti e che sono molto pericolose, perché possono portare a derive imprevedibili. La nuova cultura della pace domanda stili di mitezza e di dialogo. E) La riconciliazione. Sembra una parola debole e non politica. Al contrario ha una grande forza anche politica. Il problema ultimo nei conflitti non è vincere, ma riconciliare, perché solo riconciliando si vince e si costruisce futuro nella vita di un paese, come l´Iraq o nel confronto drammatico israelo/palestinese e in tante altre parti del mondo.Questi sono i motivi per cui vale la pena di guardare con grande speranza alla giornata di oggi. Essa sarà importante perché la pace avvenga in Iraq, ma anche per il futuro dell´Europa. Non c´è Europa senza la pace.

Adista


dal quotidiano “la Repubblica” del 20 Marzo 2004