SERGIO PARONETTO: «AFGHANISTAN, CHE FARE?»

Leggo dell’ipotesi di mandare più soldati in Afghanistan. Secondo il generale Tricarico, capo di stato maggiore dell’aeronautica, sei aerei Amx sono pronti a partire. L’idea mi sembra non solo incoerente con il programma della coalizione politica oggi al governo ma anche del tutto controproducente proprio ai fini della lotta al terrorismo e del ripristino della democrazia.

Sono già passati cinque anni dall’intervento militare. Pochissimi ricordano le morti civili. Solo nei primi tre mesi dell’intervento (7 ottobre 2001 – 16 gennaio 2002) i civili uccisi, gli ‘effetti collaterali’, sono stati 3.800 (inchiesta Marc Herold, Universita’ del New Hampshire). Ogni settimana aumentano gli attentati e i morti sia tra i soldati ‘occidentali’ sia tra i civili afgani. Cosa stiamo difendendo realmente in Afghanistan? Proteggiamo la permanente sottomissione delle donne? Secondo il Rapporto 2005 di Amnesty International, esse «hanno continuato a subire livelli di violenza sistematica e diffusa e discriminazioni sia in ambito pubblico che privato». Sosteniamo la mancanza di libertà religiosa tanto sbandierata come regola fondamentale della democrazia? La vicenda di Abdul Rahaman, l’apostata afgano che stava per essere condannato a morte per la sua conversione al cristianesimo, è emblematica di una situazione diffusa.


Per quanto tempo dovremo rimanere in forme militari?
Al di là del comportamento individuale dei nostri soldati, bisogna saper vedere la cruda realtà dei fatti. Ci interessa prevenire la tossicodipendenza nel mondo, in Italia, e colpire i mercanti di morte? Allora bisogna dolorosamente ma lucidamente ammettere che, al di là delle intenzioni, i soldati sono alleati dei ‘signori della guerra’, padroni del commercio dell’oppio, che stanno guadagnando cifre colossali. «Il narcotraffico -dichiara l’Ufficio Antidroga dell’Onu- è la fonte principale dell’instabilità e del terrorismo». Ci sta a cuore la lotta all’eroina, ottenuta con l’oppio afgano, che uccide  molti giovani? «Il giro d’affari afgano -osserva Luciano Bertozzi (“Rocca“, n. 11, 2006) è stimabile in 2,3 miliardi di dollari che sono reinvestiti nelle armi e nel pagamento dei combattenti, in una spirale perversa che promette sempre maggiori sofferenze».

É certamente più produttivo investire risorse per la risoluzione di alcuni problemi economici e sociali e attivare un’ampia rete di solidarietà e di cooperazione legata alle Nazioni Unite, alla Comunità europea e all’iniziativa internazionale. Uno degli obiettivi prioritari à quello di sminare il paese, uno dei più a rischio nel mondo. Mi sembra urgente riprendere la Campagna per la messa al bando delle mine, mettendo a fuoco l’obiettivo dello sminamento e della riabilitazione delle numerose vittime colpite da queste armi di distruzione di massa che uccidono o mutilano dopo ogni guerra per moltissimi anni tantissime persone. Penso non solo all’Afghanistan ma anche al Sudan e al Corno d’Africa, alla Cambogia e all’Angola. Un impegno umanitario di lunga durata. Una vera grande missione di pace, un’azione solidale legata alla guarigione di immense ferite, alla riconciliazione tra le persone e i popoli, alla difesa e alla cura della vita, di ogni vita sempre e ovunque.

 

Sergio Paronetto


Sergio Paronetto insegna presso l’Istituto Tecnico «Luigi Einaudi» di Verona dove coordina alcune attività di educazione alla pace e ai diritti umani. Tra il 1971 e il 1973 è stato in Ecuador a svolgere il servizio civile alternativo del militare con un gruppo di volontari di Cooperazione internazionale (Coopi). L’obiezione di coscienza al servizio militare gli viene suggerita dalla testimonianza di Primo Mazzolari, di Lorenzo Milani e di Martin Luther King. In Ecuador opera prima nella selva amazzonica presso gli indigeni shuar e poi sulla Cordigliera assieme al vescovo degli idios (quechua) Leonidas Proano con cui collabora in programmi di alfabetizzazione secondo il metodo del pedagogista Paulo Freire. Negli anni  Ottanta è consigliere comunale a Verona, agisce nel Comitato veronese per la pace e il disarmo e in gruppi promotori delle assemblee in Arena, suscitate dall’Appello dei «Beati i costruttori di pace». In esse incontra o reincontra Alessandro Zanotelli, Tonino Bello, Ernesto Balducci, David Maria Turoldo, Desmond Tutu, Rigoberta Menchù, Perez Esquivel, Beyers Naudè e tanti testimoni di pace. Negli anni Novanta aderisce a Pax Christi (che aveva già conosciuto negli anni Sessanta) del cui Consiglio nazionale e del cui Centro studi fa parte. É membro del «Gruppo per il pluralismo e il dialogo» e, ultimamente, del Sinodo diocesano di Verona. Opere di Sergio Paronetto: «La nonviolenza dei volti. Forza di liberazione», Editrice Monti, 2004.