[di Piero Sansonetti • 08.01.03] La rivista Time, nella sua edizione on-line europea, ha lanciato un sondaggio tra i lettori. Domanda semplicissima e chiara: qual è, in tutto il mondo, la nazione che oggi rappresenta il pericolo più grande per la pace? Il risultato è netto come la domanda: la maggioranza assoluta dei lettori, e cioè il 55,4%, pensa che la nazione più pericolosa di tutte -usando le parole di Bush potremmo dire "la nazione canaglia"- per eccellenza sia la nazione americana.

TIME: IL VERO PERICOLO PER LA PACE VIENE DAGLI STATI UNITI

La rivista Time, nella sua edizione on-line europea, ha lanciato un sondaggio tra i lettori. Domanda semplicissima e chiara: qual è, in tutto il mondo, la nazione che oggi rappresenta il pericolo più grande per la pace? Il risultato è netto come la domanda: la maggioranza assoluta dei lettori, e cioè il 55,4%, pensa che la nazione più pericolosa di tutte -usando le parole di Bush potremmo dire “la nazione canaglia”- per eccellenza sia la nazione americana. Poi c’è un buon quarto dei lettori che individua il pericolo più grande nella Corea del Nord (il 25,7%), e infine una netta minoranza, meno del 19 per cento, che è d’accordo con il governo degli Stati Uniti e crede che il pericolo sia l’Iraq di Saddam. Il Time non è un giornale dei fondamentalisti islamici, non è comunista, è per tradizione un giornale occidentale e non anti-americano. E così sono i suoi lettori, gente di un certo livello culturale e sociale, in gran parte borghesi americani o britannici e i ogni caso buoni conoscitori della lingua inglese. Il sondaggio è stato presentato da Time con una paginetta esplicativa piuttosto chiara e certo non tendenziosa. Nella quale si spiega che il governo americano sospetta che l’Iraq possieda armi atomiche, chimiche e biologiche, e che Washington ha giudicato un mucchio di bugie le 12.000 pagine inviate da Saddam all’Onu per discolparsi dalle accuse di riarmo. Si spiega che attualmente è in corso in Iraq un’ispezione dell’Onu. E infine si parla della Corea, e si dice che possiede sicuramente armi atomiche e che potrebbe usarle. Infine Time pone la domanda secca: secondo voi chi è il più pericoloso? Il risultato del sondaggio, al quale hanno partecipato fino ad ora, 10 mila persone, ci dice qualcosa di molto interessante sui rapporti tra opinione pubblica, politica e mass-media. Ci dice che ormai esiste un’opinione pubblica che si forma al di fuori della politica ufficiale e che “ignora” giornali e televisioni. Siamo alla vigilia della guerra degli Usa contro l’Iraq, alla quale parteciperà anche la Gran Bretagna e forse altri paesi dell’occidente; la stragrande maggioranza delle forze politiche occidentali – esclusa la sinistra italiana, parte della sinistra tedesca, e settori importanti del mondo politico francese- premono per il conflitto e spiegano che è inevitabile; la quasi totalità degli organi di informazione, in modo più o meno appassionato, appoggia la guerra; tutti raccontano delle atroci nefandezze di Saddam: non è sorprendente, in questo clima, scoprire che una ampia opinione pubblica borghese sia convinta che il mostro vero è George W. Bush? Su quali basi arriva a questa conclusione? Sulla base del semplicissimo buon senso, che evidentemente non viene intaccato da tonnellate di editoriali o di campagne di stampa. L’opinione pubblica si limita a porsi qualche domanda facile: chi sta spostando le sue truppe per attaccare un paese indipendente? Chi ha scritto un progetto per occupare militarmente questo paese, per trasformarlo per alcuni anni in protettorato e per governarne i pozzi di petrolio? Dalla risposta, univoca, a queste domande viene la decisione di votare Bush come primo “statista canaglia”. Cosa vuol dire: che l’antiamericanismo sta dilagando nel mondo? Se vogliamo dirla così, possiamo farlo. Però non è vero. L’antiamericanismo dilaga – e non potrebbe essere altrimenti- in tutti quei paesi del mondo (del terzo mondo) che subiscono la prepotenza politica, economica e militare degli Stati Uniti. E pagano il prezzo di milioni di vite umane alla politica economica di Washington o alle aggressioni militari. Ma in occidente, cioè nel mondo privilegiato che riceve dallo sviluppo e dalla politica aggressiva degli Stati Uniti anche molti vantaggi economici, non c’è nessun anti-americanismo. C’è solo la convinzione che non si può continuare in eterno a governare il mondo con la dittatura di una superpotenza, che abolisce la legalità internazionale, che trasforma i suoi interessi in interessi generali, che opera per accentrare sempre di più tutti i diritti e tutte le ricchezze nel primo mondo (dove vive neanche un quinto dell’umanità). E diventa sempre più grande quella parte di opinione pubblica “moderata” che vorrebbe che questa aggressione e questa insensata e sanguinosa corsa all’oro finisse. E capisce che per farla finire occorre sconfiggere politicamente gli Stati Uniti e in particolare il gruppo politico-economico, costituito da militari e petrolieri, che attualmente ne ha assunto la guida. Non è un’opinione pubblica composta da black block: è un’opinione pubblica saggia e “moderata”.


(l’Unità, 8 gennaio 2003)