VERONA. ACQUA PUBBLICA, E MONSIGNORE SE NE LAVÒ LE MANI


Siamo alle solite. Ancora una volta, monsignor Zenti, vescovo di Verona, sceglie di non scegliere. Seguendo una prassi consolidata nella sua conduzione pastorale del gregge cattolico veronese, con una buona dose di sufficienza, monsignore ha aggirato quello che poteva essere un piccolo richiamo alla responsabilità dell’intera diocesi su una questione di grande attualità e rilevanza: l’acqua e la sua gestione.

I fatti. Dal 2007, nel panorama ecclesiale italiano esiste la Rete Interdiocesana Nuovi Stili di Vita, promossa da alcuni organismi diocesani – Uffici Pastorale sociale e del lavoro, della Cultura, Centri missionari, Caritas diocesana ecc. – impegnati ad «unire conoscenze ed esperienze per promuovere un movimento del popolo di Dio sui Nuovi Stili di Vita nella Chiesa e nella Società» (dallo statuto delle Rete). Attualmente aderiscono alla Rete 41 diocesi italiane (su un totale di 226), interessate a vari livelli ad approfondire tematiche antiche e al tempo stesso attuali, ma sicuramente proprie della tradizione cristiano-cattolica quali la giustizia, la pace e la salvaguardia del Creato.

IL VESCOVO DI VERONA MONS. ZENTIOrbene, quando alcuni giorni fa la segreteria chiese agli aderenti di sottoscrivere il testo della campagna intitolata «Acqua, dono di Dio e bene comune», il vescovo Zenti decise di non firmare il documento. La motivazione per la mancata adesione alla campagna da parte della Chiesa di Verona da lui guidata risiedeva «nel timore che il nome della diocesi venga coinvolto in questioni che potrebbero essere interpretate come prese di posizione politica».

Sarebbe interessante chiedere a monsignor Giuseppe cosa egli intenda per «prese di posizione politica». In attesa di una sua risposta, è sufficiente una rapida lettura del documento della Rete per rendersi conto che la tanto temuta «politica» contenuta nel testo altro non è che una semplice e lineare riflessione sull’acqua, «uno dei grandi doni della creazione, tramite i quali Dio dona la vita alle sue creature». Un approfondimento biblico e teologico, quindi, con precisi riferimenti ai documenti del Magistero e alle linee pastorali della Chiesa italiana sull’argomento. Considerazioni esposte secondo un “taglio” nettamente ecclesiale tanto da convincere i vescovi di ben 24 diocesi e i responsabili di 5 uffici diocesani a sottoscrivere la campagna.

Ma allora perché monsignor Zenti, a differenza di 24 fratelli nell’episcopato – tra questi il cardinale Patriarca di Venezia… -, non se l’è sentita di aderire ufficialmente alla campagna sull’acqua? Sembra che la risposta a questa domanda sia tutta nel panico suscitato nell’animo del prelato dalla parola «referendum». Una parola che appare una sola volta nel testo in questione, ma che spaventa più di molte altre in questi tempi di vigilia referendaria. È bastato affermare quanto sia «importante partecipare attivamente al dibattito legato al referendum sulla gestione dell’acqua, che mira a salvaguardarla come bene comune e diritto universale, evitando che diventi una merce privata o privatizzabile» per indurre il vescovo di Verona ad autoescludersi da un dibattito molto sentito dai suoi fedeli.

In effetti, il timore spesso gioca brutti scherzi. Perché mai come in questa occasione monsignor Giuseppe avrebbe potuto mettersi in prima fila nella discussione sulle tematiche dell’acqua, illuminando con lo specifico “cristiano” di cui è interprete quel movimento trasversale di cittadini, credenti e non, decisi a non retrocedere di un passo sulla battaglia per la gestione pubblica delle risorse idriche. Sarebbe stato di sicuro in buona compagnia, con l’amico sindaco di Verona Flavio Tosi, da sempre sensibile agli umori del “territorio”; con i sindaci e le giunte del centrodestra che amministrano la stragrande maggioranza dei comuni della provincia; con i vertici di Acque Veronesi, la società a capitale interamente pubblico che gestisce la quasi totalità del servizio idrico integrato (acquedotto, fognatura, depurazione) del Veronese.

Per evitare di saltare sul carro del “vincitore” (il movimento Acqua Bene Comune impegnato per il «SI’» al referendum del 12-13 giugno), l’umile e mite vescovo di Verona ha preferito riposare «su pascoli erbosi» ed essere condotto «ad acque tranquille» (salmo 23). Muovere troppo le acque sul tema dell’acqua, di questi tempi, non conviene né a lui, né ai signori delle potenti lobby che sognano di privatizzare il ricco patrimonio idrico veneto, e tantomeno alla classe politica locale e regionale, sempre pronta a ripararsi nel bunker della quieta convenienza quando fuori infuria la battaglia e ci sono da prendere  delle decisioni impegnative e importanti.

Nel silenzio e nel raccoglimento della curia veronese, Zenti osserva lo scorrere delle acque del fiume Adige sotto il palazzo vescovile e medita sul fluire della vita. Panta rei os potamòs: «passerà anche questa!». A volte è sufficiente l’acqua di un catino.

Pablo Sartori