[Corriere della Sera • 23.4.04] Il premier spagnolo Zapatero: «Ci siamo riallineati a Francia e Germania Così Madrid potrà avere un posto nel motore dell'Unione Europea»...

ZAPATERO: «L’AMERICA TERRÀ IL COMANDO: ECCO PERCHÉ HO DECISO IL RITIRO»


Presidente José Luis Rodríguez Zapatero, che cosa ha pensato pronunciando il giuramento come nuovo capo del governo spagnolo?

«In quel momento avevo due idee nella testa. Un sentimento di responsabilità. E poi una grande passione, voglia di cominciare a fare cose».

Il giorno in cui lascerà questa casa in cui è appena arrivato, che epitaffio politico vorrebbe avere?

«Mi piacerebbe che si dicesse di me che non sono cambiato come persona. Credo sia quello che la gente mi chiede di più».

E che epitaffio politico scriverebbe per il suo predecessore, José Maria Aznar?

«Che non ha avuto un buon carattere. Credo che se avesse avuto un altro carattere e un altro modo di fare non avrebbe preso molte delle decisioni che ha preso e alla fine il suo mandato sarebbe stato molto migliore».

Nel suo discorso di investitura, però, Lei ha detto che durante gli anni di Aznar sono state attuate politiche positive per la Spagna. A che cosa si riferiva?

«Soprattutto al periodo della crescita economica, della creazione di nuovi posti di lavoro».

Non pensa di non aver rispettato la sua promessa sulle truppe in Iraq con la decisione di non aspettare fino al 30 giugno, di non cercare di promuovere una nuova risoluzione del Consiglio di Sicurezza per il trasferimento di potere all’Onu?

«Un anno fa chiesi che le truppe non fossero inviate in Iraq. Dopo l’uccisione dei nostri nove agenti dei servizi segreti dissi a Aznar che ero disposto a che le truppe rimanessero se fosse intervenuta l’Onu. Da quel momento fino alla campagna elettorale non c’è stato nessun movimento. Dal giorno delle elezioni, il 14 marzo, ho avuto un’infinità di riunioni, contatti e conversazioni, anche con Colin Powell e Tony Blair… Abbiamo raccolto una frase di un alto funzionario americano che dice testualmente: “Lei si immagina che 130.000 soldati americani siano comandati da una persona che non sia un generale americano?”».

A chi è stata detta?

«Al ministro della Difesa José Bono. Era evidente che non c’era nessuna possibilità che l’Onu prendesse il controllo. In questo scenario non aveva assolutamente senso rimanere in una falsa attesa, creando incertezza lì tra le nostre truppe e qui tra i nostri alleati… Dopo aver ottenuto in qualità di presidente del governo tutti i ragguagli e le garanzie di sicurezza, ho preso la decisione che l’operazione di rientro si poteva annunciare. Per questo lunedì e non domenica, in questo stesso ufficio, ho dato l’ordine al ministro Bono di riportare le truppe a casa».

Come dimostrerà agli alleati che il ritiro non implica un indebolimento dell’impegno della Spagna nella lotta al terrorismo?

«I promotori della guerra in Iraq, partiti da un errore iniziale, adesso hanno deviato verso un discorso con poco fondamento. La guerra in Iraq è stata fatta per cercare le armi di distruzione di massa di Saddam Hussein. Perché adesso discutiamo di terrorismo? Le armi non sono comparse. Tutti i servizi di intelligence allora dissero con chiarezza che il regime orribile di Saddam non aveva nessun legame con il terrorismo… Adesso son dovuti andare verso il grande inganno del terrorismo. Non va bene. Credo che quello che ha fatto il governo spagnolo meriti un’attenzione che va oltre il
rispetto degli impegni elettorali. In un doppio senso. Primo, non può esserci un ordine mondiale né un’azione bellica che non sia compresa dalla popolazione. Secondo, non si può combattere il terrorismo internazionale con i metodi della guerra convenzionale. Così si apre solo un’altra porta al
radicalismo…».

Che sensazione ha avuto dalla conversazione con il presidente Bush su questo tema?

«Una doppia sensazione. La prima, che logicamente gli sarebbe piaciuto che non avessimo ritirato le truppe. E la seconda, che rispettava la decisione di un governo democratico. Cosa di cui non ho mai dubitato perché siamo nazioni libere, amiche ed alleate…».

Non teme che il ritiro rovini le relazioni tra Spagna e Usa?

«Gli Stati Uniti sono una grande democrazia. Credo che nelle relazioni internazionali bisogna essere leali, e il principio della lealtà è la sincerità. Siamo d’accordo con tutte le operazioni di pace e di sicurezza che portino la bandiera dell’Onu. Non con le guerre unilaterali e preventive».

Che cosa pensa delle minacce alla Spagna registrate in un video dopo il suo annuncio di mantenere le truppe in Afghanistan?

«Il governo che presiedo non accetterà mai il ricatto di un gruppo terrorista. L’unica cosa che faremo con il terrorismo sarà combatterlo con tutta la forza dello Stato e della legge. Ho dato ordine al ministro degli Interni di rafforzare la lotta contro il terrorismo».

La Spagna non ha bisogno di un piano per impedire che si diffondano idee estremiste?

«Naturalmente. Abbiamo bisogno innanzi tutto di essere coscienti del problema. E’ un problema serio di una portata che non abbiamo ancora calcolato. E’ una priorità assoluta del governo. Metterò tutti i mezzi possibili a disposizione».

È disposto a rinunciare a una parte del potere ottenuto a Nizza per sbloccare l’approvazione della Costituzione europea?

«Beh, il potere ottenuto a Nizza non è mai entrato in vigore. Pertanto credo che bisogna vederlo da un’altra prospettiva. I margini sul potere dei grandi Paesi, Francia, Germania e Italia sono piccoli. Secondo me, è più importante il peso della leadership che avere 0,5 voti in più nel momento del calcolo di fronte a una minoranza di veto. Logicamente difenderemo il diritto ad avere la massima rappresentanza. Arriveremo a un accordo, la Costituzione europea si farà sotto la presidenza irlandese. Il mio obiettivo è che questa Costituzione sia firmata a Madrid: un omaggio alle vittime dell’11 marzo».

Che vantaggi concreti crede che possa avere la Spagna da questo riallineamento con Francia e Germania?

«Stare nel motore d’Europa. Negli anni in cui siamo stati con la Francia e la Germania ci è andata bene perché si sono fatti progressi nella costruzione di un’Unione Europea con una coesione economica e sociale».

Quali argomenti userà per cercare di convincere il lehendakari (leader del governo basco, ndr ) Ibarretxe a ritirare il suo piano indipendentista?

«Sarà un colloquio lungo, spero di affrontarlo presto, in questo stesso ufficio. Userò due argomenti essenziali. Il primo: un partito democratico e un governante democratico non possono avventurarsi in un progetto che non rispetti i procedimenti di riforma dell’ordinamento giuridico. Il secondo: la mia volontà di avanzare nell’autonomia dei Paesi Baschi. Esiste uno spazio in cui si può stabilire un dialogo senza arrivare allo scontro radicale».

Prima di essere eletto, lei ha detto che questa potrebbe essere la legislatura in cui l’Eta scomparirà. Crede che sia realmente possibile?

«Lavorerò intensamente per questo scopo. Non voglio fare nessuna promessa che non possa rispettare, ma ci sono condizioni che indicano che ci avviciniamo alla fine».

Ne l suo discorso di investitura ha promesso di aumentare del 30 per cento l’investimento nella ricerca.

«Del 25 per cento».

…Costruire 180.000 case popolari l’anno, aumentare lo stipendio minimo a 600 euro al mese e destinare 4 miliardi di euro alle pensioni più basse. È verosimile che tutto questo possa farsi senza aumentare né le tasse né il deficit? E dovendo scegliere, quale aumenterebbe prima?

«Dovendo scegliere, se c’è un ciclo economico di crescita o di previsione di crescita, aumentare un po’ il deficit è molto meno problematico che aumentare le tasse».

Quindi, la pressione fiscale in questa legislatura non aumenterà…

«Assolutamente no. È un impegno forte che ho preso. La pressione fiscale non aumenterà. C’è un unico limite: che la lotta contro il terrorismo e la sicurezza degli spagnoli esiga un forte investimento».

Prima delle elezioni ha detto che se avesse vinto il suo partito, il Psoe, si sarebbe aspettato le dimissioni di tutti i dirigenti delle grandi imprese privatizzate nominati dai popolari. Poi invece il suo governo ha fatto intendere che non interverrà…

«Non è successo quello che avevo pronosticato. Ma, al di là di questo, voglio un governo che non intervenga nella vita delle imprese».

Ha concluso il suo discorso di investitura promettendo «il miglioramento sociale degli umili».

«Questo si fonde con la mia idea di democrazia e di progresso sociale. L’ho detto in molte occasioni: i cittadini devono avere sempre più diritti e i potenti un po’ meno potere».

Si impegna affinché in questa legislatura si raggiunga la piena uguaglianza della donna rispetto all’uomo in tutti i campi?

«Ci sono ancora molte cose da fare. Naturalmente se ottenessimo in due legislature un’eguaglianza reale e totale sarebbe una conquista storica. Ci sono due obiettivi per cui lavoreremo. Primo, la partecipazione delle donne negli organi direttivi delle imprese. Inaugureremo un meccanismo di incentivi fiscali e di altro tipo. Il potere politico e quello economico sono i due grandi strumenti per il cambiamento sociale. Adesso nel governo abbiamo 8 ministre e 8 ministri, è una questione di pedagogia…».

E il secondo obiettivo?

«La vita lavorativa deve conciliarsi con la vita familiare. Dobbiamo sostenere una politica di aumento della natalità. La Spagna ha bisogno di bambini».

Un’ultima domanda più personale. Che ruolo avrà sua moglie, Sonsoles Espinosa, nel nuovo contesto politico?

«Nessuno. Ciò che lei cerca è la discrezione e, nei limiti del possibile, il mantenimento di una vita familiare con un certo grado di privacy».


Fonte: El Mundo – Traduzione di Valeria Saccone