A MANI NUDE SULL’ACQUA, DOPO ISTANBUL


La legge 133/08 contenente la manovra 2009-2013, all’art. 23 bis, ha chiuso per il Movimento Italiano dell’acqua la fase della legge d’iniziativa popolare. Il rifiuto, per la quinta volta, di dichiarare l’acqua diritto umano, pronunciato dal Forum Mondiale di Istanbul ha chiuso, per il movimento internazionale, un’altra fase, quella dei Forum Mondiali e dei Controforum.I due eventi messi assieme, rispecchiano paradossalmente la medesima cultura giuridico legislativa verso la quale ci avviamo. A Istanbul, negando il diritto umano all’acqua, si è negato l’obbligo per tutte le istituzioni a legiferare al fine di garantire, a tutti i cittadini del mondo, l’accesso a tale diritto. In Italia, d’altro canto, obbligando per legge tutte le istituzioni locali a privatizzare i servizi idrici, si è resa obbligatoria la negazione di tale diritto.

Questo impone alcune serie riflessioni su come procedere.

I successi ottenuti ad Istanbul sono innegabili: 26 paesi hanno dichiarato che l’acqua è un diritto umano e 16 di questi hanno sostenuto che l’Onu deve gestire direttamente i prossimi Forum Mondiali; il movimento ha dettato i punti essenziali dell’agenda del Forum Mondiale. Eppure le difficoltà sono sostanzialmente nostre. I successi infatti registrano solo quanto abbiamo inciso nelle istituzioni mondiali. Ma sono le multinazionali che hanno vinto, riuscendo nell’intento di far negare alla «politica» il più elementare e naturale dei principi: l’acqua è un diritto umano. Loro hanno l’iniziativa politica.

Può darsi che il movimento italiano non sia d’accordo, ma i punti a favore delle multinazionali sono tanti.

1. L’Italia, con la legge 133 art. 23 bis del 6 Agosto, obbliga i comuni a privatizzare i servizi idrici entro il 2010.

2. Il sistema politico, con i ricatti economici, sta in questi giorni piegando i comuni riottosi o dubbiosi a privatizzare, oppure procede con fusioni societarie (Iride/Enia, A2A che assorbe Lecco, Pavia ecc..) che preludono alla nascita di una grande multiutility italo-francese di tutti i servizi pubblici.

3. L’Europa definisce l’acqua un bene di «interesse generale a prevalenza economica»; il parlamento europeo assume tale posizione e legittima il Forum mondiale dell’acqua.

4. L’ONU rinvia di tre anni il rapporto sul diritto all’acqua, legittima il Forum Mondiale e permette che l’acqua sia dichiarata un bisogno e non un diritto.

5. Nel World Economic Forum di Davos, si è costituita una lobby definita «Patto per l’acqua» formata dalle multinazionali: Nestlè, Coca Cola, Pepsi Cola, Unilever, General Electric, Levi Strauss, alla quale l’Onu ha delegato la definizione delle linee guida della politica mondiale dell’acqua.

6. In Italia la lobby ha costituito una fondazione dal nome: «Food and Water for Live», con Nestlè, Giulio Tremonti e Marco Tronchetti Provera alla guida.

7. Tutta la politica ambientale mondiale ha assunto come priorità totalizzante i mutamenti climatici e la riduzione delle emissioni di gas serra; così facendo nega l’esistenza di una specifica «crisi mondiale dell’acqua», con il risultato che per ridurre i gas serra, si indica nella produzione di energia, la priorità nell’uso dell’acqua dando impulso, con veste ambientalista, al proliferare delle dighe e alle coltivazioni degli agrocarburanti. É quanto il ministro turco ha dichiarato al Forum Mondiale di Istanbul ed è un terribile cambio di paradigma che determinerà: l’aumento degli assetati, degli affamati, l’espulsione di un miliardo di contadini della sussistenza, nuovi slum, nuova emigrazione, il passaggio alla mercificazione / commercializzazione di tutta l’acqua del pianeta e la definizione del suo prezzo al “barile”.

8. Le multinazionali, nelle loro sedi, decidono la priorità degli obiettivi, si danno una strategia unitaria per realizzarli, concentrano gli sforzi e coordinano le istituzioni. Il movimento dei Forum Sociali invece, si riunisce da ben 10 anni, ma non decide nulla, non concentra gli sforzi di tutte le realtà associative e la politica delle istituzioni che l’animano, non crea sinergie, non indica impegnative priorità.

Questa a me sembra la realtà dopo Istanbul, che ci obbliga a riaggiornare la nostra strategia in due direzioni apparentemente contrastanti. Prima conviene fare un passo indietro: tornare tra la gente normale, quella che di solito non si raggiunge; tornare a formare cultura dell’acqua e del diritto, riprendere i valori originari della nostra narrazione, che forse abbiamo perso per strada, presi dalla necessità di affrontare tecnicismi contabili e contingenze da associazione dei consumatori. Per poi fare due passi avanti.

Il primo, dandoci l’obiettivo di «conquistare» ai contenuti dell’acqua tutto il movimento di Porto Alegre. Il movimento sembra incapace di battaglie mirate, in cui tutte le realtà decidono di impegnarsi senza per questo venir meno alla loro vocazione. Ognuno persegue la propria missione e le proprie priorità, trascurando l’emergenza che vale per tutti. Inoltre molte realtà che partecipano ai Social Forum non si sono pronunciate contro la privatizzazione dell’acqua, anzi talvolta la sposano. E questo è un ostacolo da rimuovere da parte nostra.

Il secondo, puntando la nostra iniziativa in alto, interloquendo direttamente con alcuni governi (penso ai governi Latino Americani), lavorando sui rapporti che si sono stabiliti tra essi e i movimenti, con le carovane che abbiamo fatto, attraverso i forum che intendiamo promuovere in Centro America. Occorre determinare strategie che rendano tali governi protagonisti non saltuari verso il resto delle istituzioni: i governi incerti, gli appuntamenti dell’Onu, i vari G8, G20, affinché si diano degli obiettivi e propongano un’agenda in tal senso.

Prima però mi permetto di indicare, per la situazione italiana, il compito di accumulare forze nuove al fine di modificare la legge 133/08 art, 23 bis. Togliendo ogni riferimento all’obbligatorietà alla privatizzazione, permettendo ai 61 Ato che ancora detengono la totalità delle azioni di competenza, di scegliere liberamente la gestione in house, tra le tre varianti ammesse dall’Europa e introducendo bensì criteri tali da impedire che attraverso le fusioni societarie determinate da politica e multinazionali, si sottraggano alla direttiva di scegliere tra la gara e la gestione in house. Una azione, questa, possibile attraverso emendamenti nella prossima finanziaria, creando una mobilitazione delle coscienze, degli intellettuali, informando l’opinione pubblica, costruendo un rapporto speciale con i sindaci e con alcuni parlamentari di tutti i partiti.

Tenendo conto di entrambi gli obiettivi, occorre completare il quadro:

1. Finora abbiamo raggiunto una piccola parte dei cittadini, spesso nella indispensabile forma della mobilitazione contro le tariffe, secondo il principio che la gente si muove solo quando è toccata nel portafoglio. Abbiamo agito per affinità politiche, rivolgendoci al popolo di alcuni partiti. Ma non basta più, occorre parlare anche alla gente che non ci è affine. Senza deflettere dai nostri principi di fondo, il consenso va cercato nelle sedi del popolo di centro destra, della Lega in particolare. Parlare nelle università all’insieme degli studenti non attraverso qualche frazione di sinistra. Parlare ai fedeli sul terreno della spiritualità e con l’idea di coinvolgere le alte sfere della Chiesa. Cercare gli uomini di cultura, dell’arte e dello spettacolo per portarli a scelte di campo costanti. Promuovere iniziative con associazioni lontane dalla nostra missione.

2. Le istituzioni internazionali hanno risucchiato la crisi dell’acqua dentro i mutamenti climatici, dando priorità alla produzione idroelettrica e dei biocombustibili. Così, hanno definito l’agenda, gli appuntamenti internazionali e i contenuti da negoziare da qui al 2012, nell’ambito del post Kyoto. Questa dimensione dei negoziati sul protocollo, non è più eludibile da parte nostra. E’ il momento di una strategia complessiva sull’acqua, con al centro il diritto, ma non limitata al servizio idrico. Occorre una nostra agenda fatta di contenuti e di appuntamenti. Copenhagen 2009 diventa un appuntamento obbligatorio in tal senso. Inserire un protocollo sull’acqua dentro ai negoziati sul clima, in discussione a Copenhagen è un modo per riprendere l’iniziativa dopo Istanbul. In questa prospettiva, il nuovo rapporto, tutto da costruire, con i governi diventa oltre che determinante, urgente. Così dicasi per il rapporto tra i due movimenti, i soli internazionalmente organizzati, dell’acqua e della terra/cibo: diventa strategico.

Lo stesso rapporto va perseguito e costruito con i numerosi movimenti che in tutto il mondo: Turchia, Centro America, Brasile, India, Cina ecc.. si battono contro le grandi dighe, la canalizzazione e derivazione dei fiumi. Questi movimenti non sono ancora coordinati tra loro e nella prospettiva di Copenhagen, l’agenda del movimento dell’acqua deve arricchirsi di incontri in tal senso, di contenuti da trovare assieme e da rovesciare dentro ai negoziati.

IL G8 DIVERSO

A luglio in Italia si svolgerà il primo G8 dell’era Obama. La domanda che sorge spontanea è: questo fatto cambia qualcosa? Cambia anche per noi del movimento?

Oggi, secondo una prassi immutabile, stiamo discutendo di seminari nei quali le diverse realtà potranno riproporre i temi preferiti e ribadire le proposte. Stiamo anche discutendo dove riunirci, visto che il G8 si tiene all’Aquila e dobbiamo tener conto di una città sconvolta dal terremoto e del disagio delle persone sopravvissute a una tragedia.

Si sta già discutendo delle aree tematiche da affrontare con maggior risalto. Si discuterà, perché qualcuno lo riproporrà sicuramente, di fare una improponibile manifestazione in Abruzzo contro gli otto grandi che si arrogano il diritto di decidere le sorti del mondo. Certo, i seminari vanno fatti e i problemi affrontati. Il movimento dell’acqua dovrà presentare le sue proposte per contrastare la dichiarata Crisi Mondiale dell’Acqua oggi più che mai, dopo che il Forum Mondiale di Istanbul si è rifiutato, per la quinta volta!, di dichiarare che l’acqua è un diritto umano e un bene comune, mentre nel pianeta se ne afferma la mercificazione universale.

É tutto giusto, ma è tutto scontato. Questa prospettiva di lavoro è davvero al passo con i tempi? Non si ripropone come una abitudine nel pensare e nell’agire? Come un rito che non tiene conto dei cambiamenti politici avvenuti? Mentre nell’era Obama a cambiare, se non tutto, sono molte cose.

Senza enfatizzare e senza farmi illusioni, penso stiano cambiando le relazioni internazionali, il modo di affrontare certi conflitti. Negli Usa cambia persino il modo di affrontare la difficile realtà dell’emigrazione o dei problemi ambientali, finora ridicolizzati. La sanità pubblica viene chiamata con il termine bene comune.

Cambiano le politiche verso governi che fino ad ieri erano al bando e cambia anche il loro atteggiamento verso la grande potenza imperialista. L’era Obama sembra quella in cui i problemi si affrontano con il «parliamone». Perché non pensare che anche il movimento, portatore di grandi problemi, possa essere un soggetto del parliamone? Perché non metterci in questa ambiziosa dimensione e pensare di poterci rivolgere al Presidente degli USA ponendo i problemi e chiedendo risposte? E’ così velleitario, così sopra le righe?

C’è stato un momento in cui, come movimento, ci siamo definiti «potenza mondiale». Se oggi cambiano gli atteggiamenti del Venezuela, dell’Iran; se si attivano canali di comunicazione con Cuba, perché non partire da quella presunzione di noi stessi per cercare di aprire canali diretti di confronto?

Da una parte ci sono sempre i potenti della terra e dall’altra la società civile, i movimenti sociali, alternativi e sempre a rischio di venire cooptati nelle logiche della «governance». Ma guardando dall’osservatorio dell’acqua, penso sia questo il momento di osare simili strade per rompere l’impasse che si è determinato dopo Istanbul. Di provare a dire: presidente Obama, agli occhi del mondo Lei rappresenta il cambiamento della politica mondiale. Questa politica si rifiuta di dichiarare la cosa più evidente e cioè che l’acqua è un diritto umano. Poiché gli Usa sono i principali sostenitori di questo rifiuto, cosa intende fare se questa la politica, come per il petrolio, fa governare l’acqua da quel mercato che ha generato la crisi economica che travaglia il mondo? E’ giusto che l’ONU deleghi alle multinazionali le scelte mondiali sull’acqua?

Parliamone, in concreto, su questi 4 problemi, fondamentali per la pace: 1) Il diritto umano all’acqua; 2) la mercificazione di questo bene; 3) l’assunzione di responsabilità dell’Onu sull’acqua; 4) l’inserimento della crisi dell’acqua nei negoziati sui mutamenti climatici.

Perché non provare? Perché non domandarci se attivando tutte le forze del movimento, le personalità che lo animano, i governi con cui dialoghiamo questa prospettiva non possa diventare realistica? Produrrebbe una amplificazione delle nostre battaglie, una maggiore credibilità dei nostri contenuti. Certo è una strada costellata di forse, se, ma, di rotture con abitudini consolidate, di rischi di essere cooptati nel sistema, ma è anche vero che con Obama tutto non sarà più come prima…anche per noi.

Emilio Molinari

Presidente del Comitato Italiano per un Contratto Mondiale sull’Acqua

Fonte: L’articolo è stato scritto per il Cospe e per la pubblicazione su sbilanciamoci.info e su «il manifesto».