[di p. Gabriele Ferrari • 28.10.01] Questa guerra, dichiarata silenziosa, speciale, invisibile …(la si chiami come si vuole, sempre guerra è) è diventata uno spartiacque per la storia contemporanea e anche per ciascuno di noi, perché davanti ad essa dobbiamo farci un giudizio, prima di affermare che essa è un mezzo giusto, proporzionato, per rispondere alla sfida del terrorismo. Sono bastate queste due settimane di bombardamenti su Kabul e le altre città per far cadere l’illusione che essa potesse essere, secondo la promessa di Bush, una guerra “limitata”, “circoscritta” e “chirurgica”.

AFGHANISTAN – C’E’ ANCORA UNA GUERRA GIUSTA?

Questa guerra, come quella del Golfo, ha già coinvolto altri stati e altre realtà, e si rivela sempre più una guerra globale: lo è per i civili afgani, colpiti “per errore” o insieme a obiettivi militari; lo è per i profughi; per il Pakistan, per Israele e per i palestinesi, per la Nigeria, e lo è infine per l’Occidente che si sente minacciato dalla guerra biologica, la vendetta spietata di Al Qaeda. Lo notiamo anche qui in Italia. Per quanto i ministri della sanità, della difesa e degli interni si susseguano sugli schemi della TV per invitarci a non cadere nel panico, e per quanto tutto sembri normale, sentiamo che normale non è più. Sappiamo che il fronte della guerra è lontano, ma sentiamo che esso è nello stesso tempo vicino a noi, perché questa è una guerra che si combatte tra due mondi e due civiltà. E noi, lo vogliamo o no, siamo in uno dei due. Era quello che temevamo, ed è proprio quello che sta succedendo.

Un’incredibile voglia di  guerra

Mi si permetta una constatazione, amara e incredibile. Nel corso dei telegiornali di queste settimane, mi è parso di cogliere un interrogativo, che è insieme preoccupazione: come mai a noi italiani non è chiesto di partecipare alla guerra? I conduttori pongono questa domanda ai loro invitati, agli esperti militari, ai politici, o ai giornalisti. Ma le risposte non li convincono. Il nostro primo ministro, rimasto per alcune settimane in lista d’attesa, è stato finalmente accolto alla Casa Bianca. E’ andato ad offrire tutta la disponibilità delle nostre forze militari, ma pare che sia rientrato con le classiche pive nel sacco…Che cosa dobbiamo fare per essere trattati come gli altri? “Se l’Italia vuol aver voce …” recita il titolo di un articolo apparso su un quotidiano ad alta tiratura lo scorso 15 ottobre u.s. Da dove viene questa smania di guerra?

“Dagli al pacifista!”
 

Nello stesso tempo i giornali filogovernativi criticano senza alcun ritegno coloro che si dichiarano pacifisti e che osano dirsi in favore della pace, contro la guerra. Non si attacca il Papa, meno male! ma i pacifisti, i giovani (e meno giovani) della Marcia Perugia-Assisi, quelli sì, e come! Forse si sperava di aver una nuova occasione per poter gridare ancora contro i dimostranti no global dello scorso luglio, tacciati di pseudomoralismo antiamericano(!). Forse (Dio mi perdoni il giudizio temerario … ma mi pare così ovvio) si sperava di aver l’occasione per menare ancora un po’ le mani e il manganello … Ma non è successo nulla.  I soloni della guerra hanno moltiplicato gli articoli tra l’ironico e il rabbioso sul “pacifismo strumentale” dei cattolici (pardon, dei cattocomunisti!), su “Le ambiguità dei pacifisti”. Si sono domandati con intensa partecipazione:“Ma dove sono i bellicisti?”. Da dove vengono fuori quegli ingrati che osano criticare le scelte di Bush, un presidente improvvisato che si è trovato al vertice del mondo dopo un’elezione confusa oltre che rocambolesca, ma che oggi ha in mano i destini del suo paese e dei nostri.  

E’ possibile dissentire?

L’impressione è che oggi non si possa proprio dissentire. Una volta si chiamava questo «portare il cervello all’ammasso». Chi osa farlo è accusato di mancare di rispetto ai morti di Manhattan o alla sofferenza degli americani. Ma nessuno di quelli che dissentono dalla guerra intende giustificare l’orribile e deprecabile tragedia abbattutasi su New York e su Washington: essa è e rimane un crimine da condannare e da sanzionare. Ma la guerra scatenata da Bush era proprio necessaria? Può essere detta giusta? Personalmente non riesco ad accettarla e a giustificarla. Anche a ragionare solo da un punto di vista politico, lasciando fuori ogni valutazione morale di tipo religioso, la guerra non era la soluzione giusta. Che Bush scatenasse la guerra era proprio quello che volevano i terroristi, tanto è vero che il 7 ottobre, a poche ore dall’inizio dei bombardamenti, è stato puntualmente trasmesso il video preparato da Osama Ben Ladden sugli schermi della catena televisiva Al Jazeera. Dichiarando la guerra, gli Stati Uniti e i loro alleati si sono messi sullo stesso piano dei terroristi, togliendosi dalla posizione di vittime. Non bastano le porzioni alimentari sganciate sull’Afghanistan insieme con le bombe a mascherare un’aggressione che finisce per far danno alla popolazione civile.

Per eliminare le radici del terrorismo

Gli strumenti giusti per colpire i terroristi erano il controllo dei loro imponenti flussi finanziari e del riciclaggio internazionale, l’intelligence, la prevenzione, la vigilanza internazionale, il taglio di ogni complicità, l’isolamento internazionale, ma soprattutto il ricorso alla autorità delle Nazioni Unite, al Tribunale penale internazionale. Invece la guerra, lo possiamo già vedere, sta facendo scoppiare anche altrove nuove guerre interne (v. Nigeria, Pakistan, Indonesia …), e provocherà l’uscita dalla coalizione antiterroristica di paesi islamici moderati, convincendo molti paesi del Terzo Mondo che gli Stati Uniti fanno parte degli oppressori e dei nemici. Tutto questo mentre il most wanted  Ben Ladden, l’uomo più ricercato del momento, su cui c’è una altissima taglia, continua a tramare liberamente.  Che dovrebbero fare gli Stati Uniti e i loro alleati (noi compresi), se non nell’immediato, quanto meno nel medio termine? Dovrebbero programmare seriamente la risoluzione dei conflitti in corso, soprattutto quello palestinese. Lo ha detto chiaramente il Patriarca latino di Gerusalemme, Mons. Michael Sabbah alla marcia della pace: in questo modo il 90% delle rivendicazioni terroristiche sarebbero state svuotate di contenuto. Dovrebbero cercare di abbattere finalmente il muro di povertà che separa il Sud dal Nord del mondo e che è apparso così chiaro nel corso del G8 di Genova.  Non sarà la guerra che potrà risolvere questi problemi. Una guerra non ha mai dato soluzione definitiva ai contenziosi, ma ha solo preparato altre guerre e nuove tensioni. Si deve invece prosciugare il bacino di cultura del terrorismo, bisogna dialogare, bisogna raggiungere degli accordi e dei compromessi e applicarli con la forza del consenso delle nazioni. Se questo valeva in passato, quanto più oggi in presenza di questa guerra nella quale il nemico non si vede, non perché nascosto nelle grotte dell’Afghanistan, ma perché potrebbe essere anche in casa propria, magari nell’appartamento accanto; perché si tratta di un nemico che usa le borsa e i mercati finanziari e ha un esercito internazionale di kamikaze istruiti proprio da coloro che poi ne sono le vittime, che invia le polverine dell’antrace attraverso il servizio postale nazionale.

Si può ancora parlare di guerra giusta? 

Una volta la guerra poteva essere giusta. Il Catechismo della Chiesa Cattolica, che trasmette tutta la tradizione cattolica, ci ricorda quei principi che rendono possibile una guerra giusta: quando il danno causato dall’aggressore sia durevole, grave e certo; quando gli altri mezzi si siano rivelati impraticabili o inefficaci, quando ci siano fondate condizioni di successo; quando il ricorso alle armi non provochi mali e disordini più gravi del male da eliminare. Queste condizioni sono applicabili oggi? Forse si potevano applicare alle guerre tradizionali dove i danni si spartivano tra i due eserciti. Già il Catechismo degli adulti è molto più restrittivo e ricorda una frase di Giovanni Paolo II: La guerra è “il mezzo più barbaro e più inefficace di risolvere i conflitti” (n. 1037)  Oggi non si usano più le armi tradizionali, ma quelle super-sofisticate; oggi c’è il rischio delle armi nucleari; oggi si lanciano missili dalle portaerei per colpire un nemico invisibile e spesso si mancano gli obiettivi malgrado la precisione chirurgica (si ricordi la guerra del Golfo), mentre i danni sono riversati su popolazioni inermi e innocenti. Pensiamo alle popolazioni dell’Afghanistan che pagano per Ben Ladden e per i Talebani, degli stranieri venuti dal Pakistan ad occupare la loro terra… Per ora le vittime, morti e feriti, sono i civili Afgani, vittime di tre guerre negli ultimi decenni! L’esperienza delle ultime guerre mostra che in qualunque tipo di guerra su cento persone che muoiono sette sono soldati e novantatre sono civili di cui 34 bambini! Oggi la guerra uccide essenzialmente civili indifesi. Può essere dichiarata giusta una simile guerra? Possiamo giustificarla solo per un dovere di gratitudine verso gli Stati Uniti che ci hanno liberati dai nazifascisti? Non bisognerà invece suggerire e praticare altre strade per risolvere i contenziosi internazionali?  

L’opinione cattolica in Italia

Secondo un sondaggio pubblicato sul n. 40 di Famiglia Cristiana, il 53 % dei cattolici italiani è favorevole all’intervento militare, ma il 68% non lo sarebbe più se questo dovesse provocare vittime tra la popolazione civile. Il Papa il giorno dopo dell’attentato, come in occasione della guerra del Golfo, dopo aver condannato con forza gli attentati, ha alzato la sua voce profetica: “Imploriamo il Signore, perché non prevalga la spirale dell’odio e della violenza” e ha subito chiesto all’ambasciatore degli Stati Uniti di non far prevalere la vendetta e lo spirito di ritorsione. Le stesse cose ha detto di nuovo con molta forza nel messaggio per la giornata dei profughi pubblicato il 18 ottobre u.s. Ma ancora nel corso del viaggio papale in Kazakhstan, il portavoce della Santa Sede, quasi a correggere il papa da possibili malintesi, si è premunito di dire che “il papa non è un pacifista, perché si deve ricordare che in nome della pace si può arrivare anche a terribili ingiustizie”. E ripetendo l’antica teoria della guerra giusta, identificata con la legittima autodifesa, affermava che ci sono casi in cui l’autodifesa può portare alla morte di una persona: “O la gente che ha perpetrato un crimine è in situazione di non più nuocere ulteriormente… o il principio dell’autodifesa si applica con tutte le sue conseguenze”. Qualche giorno dopo il presidente dei vescovi italiani, al consiglio permanente della CEI, dichiarava che, fuori di dubbio, esisteva “il diritto, anzi la necessità e il dovere” di combattere il terrorismo internazionale con i suoi promotori e difensori. E questo diritto/dovere doveva essere esercitato “non solo attraverso il ricorso alla forza delle armi – da mantenere sempre il più possibile limitato, senza rappresaglie indiscriminate – ma anche e principalmente adoperandosi per rimuovere le motivazioni e i focolai che alimentano il terrorismo o possono dargli luogo”. E’ facile notare in queste due affermazioni che l’antica giustificazione teologica della guerra, proprio al momento di applicarla, mostra il suo limite radicale di fronte al nemico invisibile, perché non si può immaginare di portare la guerra in tutto il mondo, là dove il terrorismo ha “promotori e difensori”. Come non vedere nell’applicazione oggi della teoria della guerra giusta una colossale e tragica ipocrisia? Siamo davanti ad una teologia esatta e puntuale sul piano della forma e delle parole, ma che si sfalda immediatamente quando è confrontata, per esempio, alle molte vittime civili, alle folle senza tetto, ai profughi, agli innumerevoli bambini irakeni morti in questi dieci anni a causa delle conseguenze della guerra e dell’embargo ad essa collegato. Una simile teologia (se ancora può attribuirsi questo nome) non è forse una teologia di morte? Una contraddizione.

Per concludere

Per concludere vorrei riassumere in modo chiaro qualche punto di queste riflessioni. 1. Devo oppormi a ogni terrorismo che condanno con tutte le mie forze e devo chiedere che si cerchino, si giudichino e si condannino i responsabili di questi crimini. 2. Ma non posso accettare questa guerra neppure come legittima difesa, posto che in queste condizioni essa diventa un’altra più grave ingiustizia, “il modo più barbaro e più inefficace per risolvere i conflitti” che ricade su persone completamente innocenti, un modo che non è proporzionato con il fine che mi prefiggo. 3. Essere per la pace non è essere contro gli americani e in favore dei terroristi. Essere per la pace non significa lasciar impuniti i colpevoli del terrorismo, ma cercare le strade coerenti con il vangelo e con i diritti dell’uomo. 4. Essere per la pace comporta chiedere che l’ONU si attivi e sia ascoltato anche dagli Stati Uniti, usare il Tribunale penale internazionale, cercare di risolvere i conflitti in atto e abbattere le barriere della povertà che oppongono il Sud al Nord del mondo. 5. Cercare la pace, almeno per chi si dice e vuol essere cristiano, è lasciarsi guidare dalla parola di Dio cui ci si appella sempre, a volte anche a sproposito, ma che si evita di chiamare in causa in questi momenti terribili, quando più è necessaria.