[A cura di ALESSANDRA GARUSI (Missione Oggi) • 18.12.03] Mentre le agenzie di stampa hanno ritirato in massa i loro inviati da Kabul, Rawa (Revolutionary association of women of Afghanistan) è tornata nella capitale afgana. Per lavorarci, clandestinamente. Ecco cosa racconta una di loro. Siamo tuttora nella morsa dei fondamentalisti e dei signori della guerra, gli stessi che fra il 1992 e il 1996 si macchiarono di crimini orrendi...

AFGHANISTAN. NELLA MORSA DEI SIGNORI DELLA GUERRA. INTERVISTA A ZOYA

Mentre le agenzie di stampa hanno ritirato in massa i loro inviati da Kabul, Rawa (Revolutionary association of women of Afghanistan) è tornata nella capitale afgana. Per lavorarci, clandestinamente. Ecco cosa racconta una di loro. Siamo tuttora nella morsa dei fondamentalisti e dei signori della guerra, gli stessi che fra il 1992 e il 1996 si macchiarono di crimini orrendi. Chiunque scriva contro questo governo e i signori della guerra, rischia la morte e solo nel migliore dei casi l’arresto. Le prigioni non sono mai state così piene di giornalisti come oggi. Nella provincia di Herat, solo dalle tasse del passaggio di frontiera con l’Iran, il signore della guerra Ismail Khan riceva oltre un milione di dollari al giorno. Il mio sogno è di vivere, magari anche un solo giorno, ma senza fondamentalismo. Vorrei che le nuove generazioni potessero crescere in un Paese moderno, civile.
“Una giornata che non dimenticherò mai: il 28 aprile 1992. Stavo facendo colazione con la nonna, quando la radio annunciò che i mujahiddin, superate le loro divisioni interne, avevano occupato Kabul. Anziché gioire per la sconfitta dei russi, la nonna mi disse che un male nuovo e peggiore avrebbe oppresso il Paese”. Così racconta Zoya, 24 anni, una militante di Rawa (Revolutionary association of women of Afghanistan). La sua infanzia è costellata di violenze e lutti: entrambi i genitori furono uccisi per mano fondamentalista in quegli anni; e il suo presente – fra il Pakistan, dove si rifugiò a 16 anni, e l’Afghanistan, dove continua a vivere e lavorare clandestinamente – è nel segno della militanza politica. Questa, oggi, la porta a denunciare: “Molti in Occidente parlano di ‘liberazione dell’Afghanistan da parte degli Stati Uniti. Purtroppo, le cose non stanno così. Siamo tuttora nella morsa dei fondamentalisti e dei signori della guerra, gli stessi che fra il 1992 e il 1996 si macchiarono di crimini orrendi”.
Ecco l’intervista che ci ha rilasciato.

Ci può dare una sua opinione riguardo all’attuale governo afgano?
L’attuale governo afgano – per intenderci quello in carica dopo la cosiddetta “guerra al terrorismo” da parte delle forze americane – aveva suscitato molte speranze tra la gente comune. Questa ne aveva avuto abbastanza di quello talebano e delle massicce violazioni che l’avevano caratterizzato. Si sperava che il nuovo esecutivo avrebbe portato la democrazia e il rispetto dei diritti delle donne; o che almeno l’Afghanistan sarebbe stato finalmente ripulito della presenza fondamentalista. Ma dagli ultimi rapporti che abbiamo ricevuto da Kabul, risulta che la situazione non è poi molto diversa della precedente. Molti in Occidente e nei media governativi afgani parlano di “liberazione dell’Afghanistan” da parte degli Stati Uniti. Purtroppo, però, non siamo stati liberati. Siamo tuttora nella morsa dei fondamentalisti e dei signori della guerra.
Non c’è libertà di parola. Di recente, è uscito un rapporto di Human Rights Watch: ricostruisce con precisione una lunghissima serie di rapine, stupri, minacce nei confronti di giornalisti spesso incarcerati e torturati. Chiunque scriva contro questo governo e i signori della guerra, rischia la morte e solo nel migliore dei casi l’arresto. Le prigioni non sono mai state così piene di giornalisti come oggi. Rawa, che è un’organizzazione nonviolenta, ancora non può lavorare in Afghanistan. Talvolta vorremmo solo denunciare quanto avviene, e non ci è permesso. I servizi segreti sono molto attivi nei confronti di leader dell’opposizione, degli intellettuali.

Eppure qualcosa è cambiato?
Sì. Il fatto che le scuole e le Università oggi abbiano riaperto alle bambine e alle ragazze è positivo. Ma questo avviene solo a Kabul ed è strettamente legato alla presenza delle truppe dell’Isaf (la Forza internazionale di assistenza per la sicurezza, decisa dalla comunità internazionale a Bonn nel dicembre 2001, ndr). Quando queste lasceranno l’Afghanistan, siamo sicure che i fondamentalisti si risentiranno liberi di compiere crimini simili a quelli compiuti fra il 1992 e il 1996. La gente non può dimenticare quelle violenze; e che gli stessi signori della guerra siano oggi nuovamente al potere, purtroppo, non fa certo ben sperare: ogni notte ci si aspetta di essere derubati o uccisi nella propria casa. Non c’è alcuna sicurezza, libertà di parola; si temono gli stupri, le intimidazioni.

E Hamid Karzai? È un vero capo di Stato, o un burattino nelle mani degli americani?
Karzai è solo nominalmente a capo del governo. Il vero potere è nelle mani dei signori della guerra dell’Alleanza del Nord. Mentre Kabul sembra tornata alla normalità (ma non lo è) con scuole e Università aperte, il resto del Paese è più che mai stretto nella morsa fondamentalista: nelle province del nord, dell’est e dell’ovest, in questi ultimi sei mesi oltre otto scuole femminili sono state attaccate; di conseguenza, molti genitori hanno smesso di mandarci le loro figlie, per non correre il rischio di stupri, matrimoni forzati, ecc. L’educazione è dunque debole in tutto l’Afghanistan, ad esclusione della capitale. E la sicurezza è una chimera: persino alcune operatrici sanitarie straniere recentemente sono state stuprate; come lo continuano ad essere molte donne afgane, all’interno delle loro case. Sono violenze, queste, che di rado vengono denunciate. Lo stupro continua, infatti, ad essere un’onta per la famiglia e dunque si cerca di sotterrare la cosa. Ma sia Rawa che Human Right Watch confermano nei loro rapporti questo stato di cose.

Come esercitano il potere i vari signori della guerra?
Ognuno di loro ha sovranità su un’area specifica. Questa funziona come uno Staterello con proprie finanze, un proprio esercito, una propria polizia, ecc.; l’autorità dello Stato centrale viene assolutamente ignorata, perché il potere è nelle mani locali. Essi hanno partiti, supporti anche finanziari da parte di Paesi stranieri. Ad esempio, nella provincia di Herat, solo dalle tasse del passaggio di frontiera con l’Iran il signore della guerra Ismail Khan riceva oltre un milione di dollari al giorno. Per non parlare dei finanziamenti che gli arrivano dall’estero. Questo è solo uno dei tanti signori della guerra che oggi governano l’Afghanistan.

Quali Paesi li sponsorizzano?
Soprattutto gli Stati Uniti e la Gran Bretagna. Segue l’Iran che per adesso sostiene solo uno dei questi signori della guerra, e l’Arabia Saudita che pure vuole prendere parte al gioco. Ci sono insomma vari Paesi che hanno forti interessi economici, politici e geostrategici in Afghanistan.

Quanti sono i signori della guerra oggi in Afghanistan?
È difficile dire esattamente quanti siano. Il nostro ministro della Difesa, il generale Mohammed Fahim, fra i signori della guerra è uno dei più spietati criminali. La gente lo teme, perché quello che ha fatto fra il 1992 e il 1996 è qualcosa che non si può né dimenticare, né perdonare. Altro caso: il dottor Abdullah, nostro ministro degli Esteri, è anche lui un signore della guerra. Il presidente Karzai è un sequestrato, nella mani dei signori della guerra che hanno il potere di decidere per lui.

Rawa ha mai cercato un contatto personale con il presidente Karzai?
L’opinione di Rawa e della nostra gente a proposito di Karzai è questa: non è un signore della guerra, non è un fondamentalista; le sue mani non sono macchiate di sangue. All’inizio, quando approdò all’incarico di presidente, aveva una certa popolarità: era il solo a parlare dei diritti delle donne e di democrazia. Ma lentamente ha perso credibilità. E la gente s’è resa conto che non stava disarmando, ad esempio, i signori della guerra. Senza un effettivo disarmo, non si può essere ottimisti circa il futuro dell’Afghanistan: non si può pensare che le elezioni possano essere realmente democratiche, o che la nuova Costituzione possa funzionare. Nulla potrà cambiare, finché Karzai stesso non imporrà la consegna degli enormi quantitativi di armi che ci sono ancora in giro. E la gente vede che il presidente è invece uno incline al compromesso con i signori della guerra. La stessa Rawa non ha aspettative nei confronti di questo governo.

I crimini commessi in Afghanistan fra il 1992 e il 1996, oltre a quelli di cui si sono macchiati successivamente i talebani, sono destinati a rimanere impuniti? In che stato versa la giustizia?
Questo è stato uno dei primi progetti di Rawa: vogliamo trascinare chiunque si sia macchiato di crimini contro l’umanità davanti ad un Tribunale penale internazionale. È una grande vergogna per la comunità internazionale, che i maggiori responsabili oggi ricevano milioni di dollari in aiuti, anziché un giusto processo. È un grande insulto nei confronti della popolazione afgana, il cui sangue è stato (e continua ad essere) versato. Da anni siamo raccogliendo testimonianze su testimonianze di violazioni e siamo pronte ad andare in tribunale. Ma, dal punto di vista finanziario, Rawa non ha le forze per sostenere tutto questo da sola. Durante i nostri viaggi all’ estero, cerchiamo dunque la collaborazione di avvocati occidentali disposti a collaborare a qualsiasi livello. Uno dei più potenti signori della guerra afgani, fra l’altro implicato nell’ assassinio di Meena (la fondatrice di Rawa, ndr) a Quetta, in Pakistan, il 4 febbraio 1987, è il leader del partito Hizb-i Islami (un partito islamico radicale dominato dall’etnia Pashtun), Gulbuddin Hekmatyar.

A che punto è la raccolta di prove a suo carico?
Gulbuddin Hekmatyar non è solo responsabile dell’assassinio di Meena, ma anche dell’uccisione di migliaia di intellettuali, politici, scrittori, persone che amavano la libertà. A Peshawar, in Pakistan, che all’epoca era un importante centro del terrorismo, egli gestiva prigioni segrete, camere di tortura. Le sue mani grondano di sangue. Nel 1992, quando era ancora al potere (sarà premier nel 1993, sotto il presidente Burhanuddin Rabbani; e si dimetterà per combattere l’antico rivale l’anno successivo, ndr), aveva già sulla coscienza la morte di 50mila afgani. Fra questi c’è il nome della nostra fondatrice, Meena, il cui assassinio fu organizzato con l’aiuto del Kgb.

Com’è percepita la presenza americana in Afghanistan da parte della gente
comune e degli intellettuali?
All’inizio alcune di noi pensavano davvero che gli americani fossero venuti per liberarci. Ma presto è apparso chiaro che gli Stati Uniti non avevano alcun vero interesse in questo senso. Avevano, al contrario, interessi economici e politici in relazione alla posizione geostrategicamente importante del nostro Paese nell’area asiatica. In particolare, erano gli oleodotti e i gasdotti in via di completamento ad apparire preziosi agli occhi di Washington. Una delle ragioni fondamentali per la presenza americana in Afghanistan, resta la volontà di punire una loro “ex creatura”, Osama Bin Laden, agente della Cia negli anni della guerra fredda. La stessa cosa è successa con i talebani. Poche settimane prima della loro fine, gli Stati Uniti avevano dato 43 milioni di dollari al loro governo (fra l’altro già internazionalmente condannato). L’America si è limitata a sostituire l’appoggio ad un governo fondamentalista con un altro. Se avesse
davvero desiderato la liberazione dell’Afghanistan, non si sarebbe mai appoggiato all’Alleanza del Nord, di cui la nostra gente ha una paura persino maggiore dei talebani. L’abbiamo già sperimentata fra il 1992 e il 1996; la mentalità è la stessa, forse la dose d’ipocrisia è addirittura più alta. Si sono rasati – niente più barbe lunghe – e ora indossano vestiti occidentali, ma le idee sono identiche.

Rawa ritornerà ad operare in Afghanistan?
Siamo già tornate a Kabul e in tutte le province dell’Afghanistan. Ma lavoriamo clandestinamente. Del resto, anche sotto il regime talebano era così: la nostra era una presenza generalizzata, ma invisibile. Oggi organizziamo corsi di alfabetizzazione nelle scuole, nelle Università; vogliamo fornire alle donne gli strumenti dell’educazione e della consapevolezza. È uno dei progetti basilari di Rawa. Finché le donne non saranno educate, non conosceranno i loro diritti e quindi non saranno in grado di resistere nella dura lotta che si prospetta. Educare una donna significa “armarla” contro il fondamentalismo. Dunque siamo presenti, ma nascoste. Oggi in Afghanistan non c’è alcuna libertà per i partiti politici e soprattutto per un’organizzazione come la nostra, che espone i signori della guerra (in particolare quelli con incarichi governativi) e l’Alleanza del Nord a livello internazionale. Rawa ha documentato i crimini più efferati, che sono stati commessi da questa gente. Quindi ci temono e contrasteranno sempre le nostre attività, dentro e fuori il Paese. Abbiamo un ospedale ad Islamabad, un’unità sanitaria mobile e scuole femminili in vari campi profughi di Peshawar (Pakistan).

Che cosa succederà in Afghanistan nei prossimi mesi?
La gente parla di ricostruzione, di elezioni, di una nuova Costituzione, ecc. Tutto ciò, aggiungo io, avverrà all’ombra delle armi dei signori della guerra. Di conseguenza, le elezioni non potranno essere libere; e i diritti della popolazione non saranno tutelati. Sul breve periodo, è impossibile essere dunque ottimisti.

Quali dovrebbero essere oggi le priorità?
Le urgenze restano queste: il disarmo delle varie fazioni; il blocco dei finanziamenti da parte dei Paesi stranieri ai fondamentalisti di turno, che oggi sono più forti che mai. Non mancano i soldi, oggi in Afghanistan, nemmeno per la ricostruzione. Solo che sono nelle mani sbagliate. La comunità internazionale dovrebbe, da un lato, premere per l’apertura di processi, in Tribunali penali internazionali, riguardanti i crimini contro l’umanità commessi nel periodo 1992-1996 (oltre che sotto il governo talebano); dall’altro, dovrebbe sostenere tutte le forze democratiche che tentano di operare in Afghanistan. Altrimenti la libertà, la democrazia e soprattutto la laicità – importantissima, vista la strumentalizzazione dell’islam che è stata fatta in questi anni –  qui non vedranno mai la luce.

Sta emergendo qualche nuovo leader politico sulla scena afgana?
No. Lo stesso Karzai, oggi presidente, lavorava come funzionario della multinazionale petrolifera Unilocal (società americana che poco prima della guerra era in trattativa per costruire un oleodotto e gasdotto attraverso l’Afghanistan, ndr). Rappresentava gli Stati Uniti a Kabul. Era un loro uomo di fiducia. Poi, improvvisamente, si è proposto come leader politico alla nostra gente.

Che credibilità può avere?
Tuttavia, ci sono molti piccoli movimenti democratici che cominciano a funzionare oggi in Afghanistan. Hanno tante idee, ma troppi pochi soldi per potersi imporre sulla scena.

Che cosa sogna per sé e per l’Afghanistan?
Da quando sono nata, non ho mai visto la libertà in Afghanistan. Ho sperimentato solo crimini, una brutalità senza fine, sangue versato. Il mio sogno è di vivere, magari anche un solo giorno, ma senza fondamentalismo. Vorrei che le nuove generazioni potessero crescere in un Paese moderno, civile.


Per chi volesse approfondire, è uscito recentemente il libro Zoya: la mia storia (Zoya con John Follain e Rita Cristofani, Sterling & Kupfer editori, Milano 2002, pp. 210, 14,50 euro).