ALLE NOVE DEL MATTINO

Alle nove di un qualunque mattino di una scuola superiore, uno studente del primo anno è stato trasportato d’urgenza al pronto soccorso. Diagnosi: coma etilico.

Il Preside dell’Istituto mi ha invitato a dare un contributo con la mia testimonianza. Mi sono recato all’appuntamento con angoscia, di fronte a un episodio davvero grave. La sensibilità della parola deve camminare con la responsabilità del confronto. Nel dialogare per conoscere le problematiche della trasgressione che diventa spesso devianza, di come e quanto nell’assunzione di sostanze, nella più grande discesa c’è solamente la più dura salita, lo spavaldo di turno mi diceva che lui la canna la fumava, ma non si considerava assolutamente un drogato.

Un altro simpatico provocatore mi sgridava, perché a suo dire non aveva bisogno di nessuno, si aiutava da solo per risolvere i suoi problemi. Infine qualcuno ha sostenuto che non c’è necessità di chiedere una mano all’altro, né di affidare ad altri il proprio dolore, meglio custodire nel silenzio le proprie sofferenze, proprio perché gli altri «ti fregano quando dai fiducia».

Senza rendersene conto stavano sciorinando i colpi bassi che avevano condotto in sala rianimazione il loro compagno: le presunzioni, le assenze, le fughe in assunzioni di coraggio al millesimo, il nuovo disagio, quello dell’angolo autistico. Fin troppo facile ricorrere all’eredità lasciata e trapassata dalla mia adolescenza, per tentare di avvertire chi ho innanzi del pericolo insito nei rischi estremi, quelli che non hanno parentela con alcuna capacità di scelta né di libertà.

I ragazzi ora tacciono, riflettono sull’intorno reale, su qualcuno che manca all’appello. Ma in questa aula magna mi accorgo improvvisamente che non riesco a sbattere contro l’inadeguatezza e l’indifferenza dei docenti, di quanti hanno giudicato e condannato. Di quanti con la stessa superficialità hanno scelto di andare a fare la spesa o qualche altra commissione, assai meno impegnativa del partecipare a questo incontro, sottraendo alla discussione quella parte di criticità vitale in grado di far sì che all’istruire trasmettendo nozioni possa affiancarsi l’arte dell’educare, tirando fuori e costruendo insieme intuizioni, passioni e ideali nuovi. Perché questo disagio non abbia a decantare lodi all’imbocco dei vicoli ciechi.

Vincenzo Andraous