«CONCRETI E COERENTI» (Intervista a don Luigi Ciotti)


Don Luigi Ciotti, fondatore e coordinatore nazionale di «Libera, associazioni, nomi e numeri contro le mafie» e del Gruppo Abele, intervistato da Elisa Marincola (E.M.) di Rainews24, parla al popolo della pace: dobbiamo riflettere seriamente, unire le forze e le energie, fare proposte concrete e operare concretamente a partire dalle cose concrete, di tutti i giorni anche in casa nostra, e poi nella mondialità.

Don Ciotti: «Dobbiamo essere una spina al fianco della politica, ma serve coerenza»

(Trascrizione dell’intervista registrata a Roma in vista del dibattito “Facciamo pace con la politica” che si è svolto ad Assisi il 29 febbraio 2008)

E.M.: Ottobre scorso: più di 200.000 persone alla marcia Perugia-Assisi con una piattaforma forte puntata sui diritti umani; e il giorno dopo l’informazione fa piazza pulita, dimentica tutto. I  duecentomila e i contenuti di quella piattaforma. Una prima riflessione che ti viene in mente?



don luigi ciottiDon Luigi Ciotti: da una parte di gioia, di soddisfazione, di continuità da parte di molta gente, giovani, associazioni, gruppi, tanti gonfaloni di città che ancora una volta si è camminato da Perugia ad Assisi in nome delle paci, e finalmente unire anche la dimensione che la pace è sinonimo di giustizia, di libertà, di legalità, di diritti, di convivenza. Ecco da una parte la gioia di tutto questo, e di questa dimensione che si va sempre più rinforzando che non c’è pace senza giustizia, cominciando dalla giustizia sociale sulla faccia di questa terra, la libertà e i diritti.

Dall’altra parte è una storia che si ripete. Il mondo dell’informazione, non generalizzo, ma in gran parte segue l’emergenza, segue le emozioni, segue i momenti che possono colpire. Di tutto il resto non ne parla sennò diventa un tran tran: qui sta il grave errore, perché su questi temi e altri temi come la lotta alla mafia, ai problemi di diritti, la dignità delle persone, ci vuole una continuità di attenzione, di informazione. E ce ne vuole ancora di più nei momenti in cui tutto sembra essere più quieto, più tranquillo. Perché, intanto, chi ha fatto altri tipi di scelte sono quelli i momenti in cui si organizza, si riattrezza, si rimette in gioco. Allora è un problema di coerenza di un’informazione che non diventi solo mercato, che non si preoccupi solo di vendere delle copie in più o di avere un aumento di ascoltatori. Poi dipende cosa vai a edicolare, non può essere mercato, non può essere merce. Qui c’è in gioco la vita, la dignità, la libertà di milioni di persone, e quindi non diventino delle celebrazioni che vengono eseguite dalle nostre reti televisive, dai nostri giornali. In certi momenti poi ci si dimentica gioia e amarezza.

E.M.: Però i 200.000 della Perugia-Assisi trovano queste stesse porte chiuse nella politica e sembra riportarli ad ascoltare la voce che viene dalla base e dalla società. Come riuscire a sfondare questo muro di gomma?

Don Luigi Ciotti: anche nel mondo della politica, diciamo così, ci sono le luci ma anche le ombre. Persone più attente e più sensibili attraversano un momento in cui c’è molta più preoccupazione alla propria poltrona, alla propria organizzazione, ai propri obiettivi e al proprio potere. Ci sono persone di grande sensibilità e di grande impegno che non sono venute meno a questa attenzione ma il metodo della politica, in generale, rispecchia questo tran tran della società. Noi dobbiamo essere una spina al fianco, dobbiamo essere una corretta e puntuale provocazione, dobbiamo unire le nostre forze. Bisogna che il primo esame di coscienza se lo facciano le nostre realtà, le nostre associazioni, i nostri gruppi, anche quelli che hanno etichette molto più conosciute. Ci vuole un’unanimità nell’interrogarci se fino in fondo ci crediamo a questa coerenza, se diamo credibilità a quello che facciamo, se diamo continuità, se abbiamo scelto in noi; o se invece ci ritroviamo anche noi nello stesso gioco dei segreti dell’informazione, dove se ne parla solo quando gli si dà spazio.

Dobbiamo fare in modo di fare emergere le cose positive, ma serve un esame di coscienza che parte anche dalla nostra realtà.  Io credo che una riflessione in questo senso, che non semplifica, che non mette etichette, che non vuole giudicare nessuno, si tenga dentro i nostri contesti e cominciare da quello che mi riguarda, da Libera, da quello che mi riguarda da altri coordinamenti nel mondo del sociale dove noi dobbiamo riflettere seriamente, unire le forze e le energie, fare proposte concrete. Un operare concreto per la pace, che poi vuol dire giustizia, vuol dire legalità, vuol dire diritti, vuol dire politiche sociali, vuol dire convivenza, parte dalle cose concrete, di tutti i giorni, anche in casa nostra, e poi in modo strabico nella mondialità.

E.M.: Questo operare concreto significa anche riannodare i fili tra realtà che hanno portato avanti finora dei cammini paralleli ma diversi. Penso a chi lavora sul disarmo, sui diritti umani, sulla lotta alla povertà e chi lavora invece nel sociale o nella lotta per la legalità, contro le mafie. È possibile che il lavoro concreto possa riunire questi diversi fili?



Don Luigi Ciotti: Certo. La pace ha questo bisogno di paci che cominciano dall’avvio di paci dai nostri territori, dentro le nostre realtà, dentro il nostro Paese. Uno non può non prendere coscienza che ogni giorno nel nostro Paese, in Italia, noi abbiamo tutti i giorni morti di mafia.  I morti sul lavoro sono morti di mancanza di sicurezza, di ingiustizie, anche di superficialità nella stragrande maggioranza delle situazioni. Non ci possiamo commuovere solo in momenti particolari. Penso alla mia città di Torino, ai sette bruciati vivi in quell’acciaieria. Ma guarda caso che nel mese di agosto, quindi qualche mese prima di questo omicidio, di questa tragedia, di questa violenza compiuta in quella fabbrica, altri 5 morti bruciati vivi in Piemonte. E chi se ne ricorda? E chi ne parla? Distrazione del mese di agosto. E quindi tutte queste morti, queste e altre, ci devono porre una grande riflessione. Si continua avere morti giovani, morti di overdose di droga. Certo è diminuito il numero rispetto al passato, ma si continua a morire, e quindi tutta questa violenza, queste morti, queste fragilità ci impongono riflessioni sui problemi di casa nostra (la violenza, gli omicidi) che si lega a quel bisogno di pace sulla faccia di questa terra, di affermazione dei diritti.

Ricordiamo quest’anno i sessant’anni della nostra Costituzione: allora rileggiamola insieme. E i sessant’anni della Dichiarazione dei diritti umani. C’è una parola che ritorna con chiarezza nella nostra Costituzione e nella Dichiarazione, ed è la parola libertà. E libertà vuol dire creare condizioni di libertà per tutti. Noi dobbiamo liberare la libertà. Abbiamo gente che non rende libera, l’usura non rende liberi, il pizzo non rende liberi, la droga non rende liberi, la tratta degli esseri umani non rende liberi. Queste barche che arrivano e che continuano ad arrivare con immigrati che non sono liberi. Non sono liberi. E lo stesso lavoro nero. Allora, dico: riflettiamo sul bisogno di pace in casa nostra e nella mondialità. Viviamo questa coerenza, questo fare, questo impegno, uniamo le forze dei nostri gruppi, perché l’obiettivo verso il quale tutti insieme camminiamo è creare condizioni di libertà per le persone, di giustizia, di ricerca, di unità. Che poi vuol dire dignità umana.

E se penso ai dati di questi giorni sulla schiavitù, sulle persone che vivono schiave in forme diverse: ragazzini usati, commercializzati, comprati e venduti a sedici anni e immessi sul mercato internazionale della prostituzione, anche nel nostro Paese. Allora abbiamo bisogno di pace. Pace che vuol dire giustizia, vuol dire libertà e dignità. Tutti i nostri gruppi, con le loro caratteristiche, i loro percorsi, la loro storia, devono unire le proprie forze per portare un contributo di progettualità fatta di concretezza, di azione culturale, politica, sociale impregnata in una dimensione etica, concreta e corresponsabile degli uni verso gli altri.

E.M.: Seppure sembra che il problema centrale oggi sia più la sicurezza, che la libertà e i diritti.

Luigi Ciotti: Certo il vero problema è la sicurezza, la sicurezza umana. Andare incontro alle persone che sono sole, non dimenticarci che la prima dimensione della giustizia, è la prossimità: la giustizia comincia dal faccia a faccia, dalla relazione, dall’ascolto delle persone. E questa è la sicurezza di cui abbiamo più bisogno dentro le nostre relazioni, dentro le nostre città, dentro i nostri paesi. E poi va bene anche che creiamo un minimo di condizioni di un altro tipo di sicurezza, ma che non diventi l’alibi per lasciare la solitudine. Perché questa solitudine ha delle ricadute che sono davanti agli occhi di tutti.

Fonte: PerLaPace.it