10.02.10 – Trento – «Bruno Schulz: la realtà trasfigurata»

Mercoledi 10 febbraio 2010 alle 17,30 a Trento, nella Sala degli Affreschi della Biblioteca comunale (Via Roma 55) il Centro Studi sulla Storia dellEuropa Orientale organizza l’incontro-dibattito: «Bruno Schulz: la realtà trasfigurata». Interviene Massimo Libardi.

Bruno Schulz è stato uno dei grandi scrittori del Novecento. Non solo un grande scrittore polacco, bensì un importante scrittore tout court. Schulz nasce il 12 luglio 1892 a Drohobycz, nella Galizia austroungarica, che, dopo essere diventata polacca e poi sovietica, appartiene oggi all’Ucraina, in una vicenda metamorfica che lui avrebbe saputo apprezzare. Nelle sue pagine le vie e le bottegucce della piccola città galiziana sono animate da oggetti zoomorfi, da un fantastico bestiario e da figurine umane incantate come folletti, diventano, come scrisse Angelo Maria Ripellino, “per fatagione uno scenario cosmico, allargandosi all’immenso universo”.

L’amico Witold Gombrowicz così lo descrive: “Uno gnomo, un uomo minuscolo, macrocefalo, troppo spaurito per avere il coraggio di esistere, un espulso dalla vita, uno che si defila sempre alla periferia dell’esistenza”. Prima di essere scrittore Schulz è stato pittore: ha dipinto, disegnato e insegnato disegno tutta la vita. Poi scoprì la scrittura e a lui si deve uno dei libri più belli del Novecento: Le botteghe color cannella, un libro magmatico e avvolgente, surreale e folgorante, un incantato e sontuoso flusso di scrittura che fa volteggiare creature e sogni dell’immaginario ebraico nei cieli cobalto di Chagall, un’ininterrotta e ammaliante affabulazione che filtra i racconti dei chassidim nel setaccio della grande letteratura mitteleuropea e dell’arte espressionista e cubista, facendo convergere tradizione e avanguardia, passione e redenzione nel vertiginoso punto di fuga della scrittura, inappellabile come la Scrittura

Tre anni dopo, nel 1937, pubblica pubblica Il sanatorio all’insegna della clessidra. Il suo ultimo testo è un breve scritto del 1938, La Cometa. Esiste anche un libro fantasma, Il Messia, un romanzo a cui lavorava fin dal 1934. Doveva essere un romanzo illustrato, come Il sanatorio, ne rimangono alcuni disegni e due frammenti: Il libro e L’epoca geniale.

A proposito dei racconti di Schulz si richiama Franz Kafka, tanto più che lo scrittore galiziano tradusse nel 1936 in polacco Il processo. Tra i due autori esistono delle corrispondenze: le metamorfosi, soprattutto quelle del padre, i cambiamenti in scarafaggio e in gambero, il fatto che entrambi i genitori siano mercanti, anche se il magrolino Jakub è l’ opposto del grasso Hermann e le sue tirate burlesche ben diverse dagli imperiosi precetti che si trovano nella Lettera al padre. Lo stile è invece completamente diverso, rigido e vitreo Kafka, sfavillante, floreale, pura Art déco Schulz. È lo stesso Schulz che confessa: “Dipende da una caratteristica della mia esistenza che io parassiti nelle metafore, che mi lasci così facilmente trascinare dalla prima metafora che trovo”.

Quest’uomo timido e schivo venne ucciso per le strade di Drohobycz il 19 novembre 1942 in circostanze misteriose e che sono state indagate da David Grossmann, nel lavoro che precede l’antologia L’epoca geniale, da poco in libreria per Einaudi.

Bruno Schulz ha continuato ad essere presente in tutta la cultura del Novecento. La sua vita e la sua opera hanno influenzato illustri scrittori successivi. Pensiamo, tra i tanti, a Tadeuz Kantor, a Philip Roth, a Cynthia Ozick, ai più giovani Nicole Krauss e Jonathan Safran Foer. Più recentemente la sua vita tragica e tormentata ha ispirato due testi di Marco Ercolani e Ugo Riccarelli (Un uomo che forse si chiamava Schulz).

Intorno all’opera e al mito di Schulz, sono cresciuti due grandi libri: il primo è Vedi alla voce amore dell’israeliano David Grossman, una metà del quale è una rivisitazione alla Schulz di figurine e cantucci del ghetto, mentre nell’altra metà direttamente s’immagina uno Schulz sopravvissuto al suo assassinio e trasformato in pesce, salmone in un branco di salmoni, accompagnandoli nel lungo viaggio di ritorno al loro fiume di origine. “Ho scritto di Schulz per vendicare la sua morte insensata. Volevo scrivere un libro che facesse tremare gli scaffali” scrive David Grossman, che non ha mai nascosto il proprio debito creativo, ed è stato anche tra i massimi fautori della conoscenza di Schulz in tutto il mondo.

L’altro è Il Messia di Stoccolma di Cynthia Ozick, in cui un orfano quarantenne arrivato in Svezia dalla Polonia può intestardirsi a credersi figlio di Bruno Schulz, non tanto perché qualche indizio lo sostenga, ma per pura ossessione letteraria.

Ma il mondo di Bruno Schulz è quello della natale Drohobycz, da cui non si era mai allontanato, ormai scomparsa e delle botteghe, trasfigurate nei suoi racconti: “Questi negozi io li chiamerò botteghe di cannella, dal colore delle brune boiseries che le rivestono… Fiocamente illuminati, scuri e solenni, i loro interni odoravano intensamente di vernici, lacca, incenso, aromi di terre lontane e merci rare. Ci si potevano trovare bengala, scatole magiche, francobolli di paesi da tempo scomparsi, decalcomanie cinesi, indaco, colofonie di Malabar, uova di insetti esotici, di pappagallo, di tucano, salamandre vive e basilischi, radici di mandragola, giocattoli meccanici di Norimberga, omuncoli in vaso, microscopi e binoccoli, ma soprattutto libri rari e curiosi, vecchi in-folio pieni di incisioni straordinarie e di storie sorprendenti”.

Sulla “realtà trasfigurata di Bruno Schulz” interviene di Massimo Libardi, mercoledi 10 febbraio 2009, alle 17,30, a Trento, nella Sala degli Affreschi della Biblioteca comunale (Via Roma 55).