FINANZA ETICA. L’INTERESSE PIÙ ALTO É QUELLO DI TUTTI

«In questi giorni di gravissima crisi finanziaria globale si riscopre l’importanza delle regole e si invoca una nuova etica in campo economico-finanziario. In realtà non c’è nulla di nuovo da inventare, perchè la finanza etica esiste già da alcuni anni, sia in Italia che nel mondo» spiega Luca Salvi, coordinatore del Gruppo di Iniziativa Territoriale veronese di Banca Etica.

Ma cosa intendi, Luca, per finanza etica?



«Per finanza etica si intende una finanza eticamente orientata, attenta alle conseguenze sociali e ambientali dell’agire economico. La principale realtà italiana di finanza etica è la Banca Etica, nata per sostenere un utilizzo responsabile del denaro e promuovere un’economia a misura d’uomo, a partire dagli ultimi, dai più deboli, da chi non ha accesso al credito, che è considerato un diritto umano. In quasi dieci anni di attività la Banca Etica ha finanziato circa 3000 progetti, in Italia e nel mondo, nel campo della cooperazione sociale e internazionale, dei servizi socio-sanitari, dell’ambiente, del microcredito, dell’agricoltura biologica, delle energie rinnovabili e via dicendo. Non è un caso che in questi giorni di crisi generalizzata, Banca Etica goda di ottima salute e registri una costante crescita di partecipazione e attenzione. Questo perchè la finanza etica ha solide radici e mira a perseguire non il profitto, attraverso spericolate operazioni finanziarie, ma solamente il bene comune attraverso un utilizzo etico e solidale del denaro perchè – come recita il motto di Banca Etica – l’interesse più alto è quello di tutti, soprattutto di chi è più vulnerabile», sottolinea Salvi.

NUOVE REGOLE

Una banca che sfida la finanza tradizionale e aderisce ad una scala di valori nel rispetto della sostenibilità economica invece della creazione di valore per gli azionisti. É questa la testimonianza che oggi Banca Etica vuole mettere sulla bilancia su cui pesare il valore di un mercato fallimentare e che catalizza ormai solo critiche e negatività. Aprendo persino nuovi scenari di speculazione – c’è sempre chi guadagna, come gli sciacalli dopo il terremoto – e facendo correre il rischio che per gestire l’emergenza si perda nuovamente di vista l’epicentro del sisma e le soluzioni più adeguate.

«Fino ad oggi ci siamo trattenuti dal parlare. Non volevamo essere confusi con i grilli parlanti. Ma diventa essenziale oggi il nostro contributo. Noi vogliamo essere un testimone nel tribunale che ha messo le banche e la finanza sul banco degli imputati. Forse siamo un testimone contro, vista la nostra scelta, ma chissà che da un processo giusto vengano fuori elementi per ripartire. Non da zero ma dal buono che c’è. Le regole non possono essere scritte da chi le ha violate o interpretate a proprio appannaggio. Né possono rispondere ad una crisi endogena del sistema senza valutarne le alternative già esistenti», spiega Fabio Salviato, presidente di Banca Popolare Etica.

Gli fa eco il collega Mario Crosta, direttore dell’unica banca etica in Italia: «Beck, Stilgitz, Roubini e molti altri – tra cui Banca Etica – sono stati inutili profeti. La crisi maturava da tempo. Vero che ce ne sono state molte ma questa è una crisi profondamente etica. Accanto a numeri oramai impronunziabili, di fronte ai quali il piano U.S.A. fa la figura di un Davide che combatte Golia, c’è una profonda ferita sociale. Ora non è certo il momento di allargare il fronte dei critici, purtroppo. Ma leggere che il Ceo di Unicredit fa ammenda – un po’ tardi, direi – e che chiami con sé nel declino il mestiere dei banchieri non lo accetto. Si può essere banchieri attenti e responsabili, e si può fidelizzare la clientela con servizi e prodotti onesti e sostenibili nel tempo».

Siamo in un paese in cui le prime banche del sistema vendono derivati agli enti locali, strozzandone la capacità di sviluppo e di autonomia finanziaria o fanno cordate per comprare un’azienda pubblica a prezzo d’asta lasciandone però i debiti ai cittadini contribuenti. Che – ricordiamo, per inciso – non sono tutti. Etica è anche questo. Facile evocarla e trasformarla in una liana per saltare da un albero all’altro, difficile applicarla con coerenza e ancora più difficile riconoscere il merito a chi ne ha fatto una prassi. «Forse il cambiamento può passare già da questo. Ammettere che c’è un’alternativa e che qualcuno ne è degno rappresentante. Riconoscere insomma a una concorrenza – piccola ma agguerrita – il vantaggio di applicare pratiche economiche sostenibili pur se alternative e applicarle senza nessuna velleità di sacrificio economico ideologico. Noi siamo in piedi, e siamo forti, nella nostra differenza» riprende Salviato.

«Noi non creiamo prodotto da collocare, usando le sirene del facile guadagno o dello stile di vita accessibile a tutti. Ascoltiamo il territorio, le persone, i bisogni e adeguiamo i servizi bancari e finanziari alle tasche ma anche alle esigenze reali dei cittadini. L’ultimo prestito obbligazionario, esaurito molto prima della scadenza dei termini per la sottoscrizione, ci conforta sulla fiducia dei nostri clienti. Stiamo pensando di emetterne un altro. La nostra caratteristica di banca fondata sulla finanza etica è la carta vincente in questa crisi. Ma non abbiamo da soli la forza di spostare l’ago della bilancia. Possiamo però dare un contributo al sistema economico-finanziario nel formulare ipotesi di ripresa: ricostruire fiducia con regole chiare e trasparenti e mettere al centro della nostra azione la persona e il suo futuro» conclude Crosta.

LETTERA DALL’ALTRA FINANZA

Il Responsabile delle Relazioni Culturali di Banca popolare Etica, Riccardo Milano (foto), ha preso carta e penna e il 2 ottobre 2008 ha scritto questa lettera al direttore del Corriere della Sera, Paolo Mieli.



Lettera aperta al direttore del Corriere della Sera



2 ottobre 2008

di Riccardo Milano

(Responsabile delle Relazioni Culturali di Banca popolare Etica)

 

Gentile Direttore,

Qualche giorno fa, il 25 settembre 2008, sul suo giornale sono apparsi tre articoli (l’interessante fondo di Michele Salvati sulle confusioni tra Stato e mercato, il commento del Sottosegretario Giovanardi sulla presa di posizione del Vaticano sugli immigrati a pag. 6, e il richiamo del Ministro Ronchi sui problemi industriali ed ambientali a pag. 39) che, sebbene apparentemente slegati, avevano un comune denominatore: un asimmetrico rapporto tra quello che dovrebbe essere un buon connubio (rispettivamente) tra teoria del mercato e sua applicabilità, tra i principi fondamentali (cristiano/religiosi e laici) dell’Uomo e la concreta applicazione, tra la necessità di un ambiente “naturalmente” vivibile e l’interesse economico immediato.

Riccardo milanoIn un certo senso si potrebbe sostenere che nella pratica vince il «sì, ma…» ed i principi primi vengono, di fatto, declassati in utopie. Quanto sta succedendo sui mercati, sulla vita delle persone (sia di quelle «che non hanno» sia di quelle «che hanno») e sull’ambiente è cosa nota a tutti; meno noto è il fatto che i provvedimenti che si vogliono prendere per colmare le lacune manifestate sono essenzialmente parziali in quanto a sé stanti. Da una parte: il mercato, con le sue leggi; la sicurezza dello Stato e dei cittadini, con le sue necessità; l’ambiente, con le sue urgenze – e dall’altra parte l’Uomo. Detto in altri termini, di un solo Uomo, che dovrebbe essere unitario (come le radici storiche cristiane europee, così tanto decantate, dovrebbero suggerirci) – e come tale ha diritto ad una sana economia, ad un’adeguata vita da vivere e ad un ambiente vivibile anche per le generazioni future -, se ne fanno tre distinti, uno per ogni dualismo citato: e ciò sarebbe assurdo.

Il motivo fondamentale soggiacente è, invece, quello di un’economia che dovrebbe permettere la coniugazione tra lo star bene «dell’uomo con gli altri» in tutte le discipline; ma ciò si dimentica, e non credo per vera amnesia. Gli interessi sono tanti, troppi, come sostiene anche Salvati. La crisi dei mercati che forse suggellerà la fine di un’epoca e l’inizio di una nuova potrebbe essere una buona occasione per riconsiderare quale ruolo ha l’Uomo nelle varie discipline: soggetto o oggetto?

Oltre che a invitare a ragionare su ciò, vorrei far osservare una strana cosa: nel commentare tutte queste vicende si fa riferimento ai grandi economisti (spesso i soliti) che non sempre hanno dato sfoggio di coerenza. E la conclusione è sempre la stessa: occorre l’etica, come se si potesse comprare al supermercato e non come una disciplina da tener sempre in conto in un cammino di vita.

Perché mai non si è data la parola, anche sul Corriere, agli econimisti e operatori che si occupano di “Finanza Etica“, realtà ormai non più marginale a livello mondiale, e che potrebbero dire qualcosa di nuovo? Possibile che non venga in mente a nessuno di chiedere cosa sta succedendo nel mercato finanziario e bancario etico? Certo, si scoprirebbero cose interessanti e che potrebbero creare problemi in altre Istituzioni finanziarie, le quali pensano di noi che «… sì, vabbé, siete bravi e magari da imitare, ma in fondo solo noi siamo quelli autorizzati a fare e dire certe cose».

Difatti la Finanza Etica, e in tutto il mondo, cerca nella sua filosofia di tutti i giorni di coniugare le cose suddette (lo slogan di Banca Etica è «l’interesse più alto è quello di tutti» e, ancora, si legge nell’art. 5 del suo Statuto: «La finanza eticamente orientata è sensibile alle conseguenze non economiche delle azioni economiche»), nel rispetto della realtà economica, della dignità umana e dell’ambiente. Personaggi come il mai nominato in questa crisi A. Genovesi – della scuola economica napoletana del ‘700, mentre si cita solo il contemporaneo A. Smith -, Don Sturzo, A.K. Sen e altri (a cominciare da Aristotele con la sua differenza tra Economia e Crematistica) hanno e stanno sostenendo ciò: possono coesistere una buona economia, una buona pratica di idee laiche e religiose – che non sono mai utopie -, e il rispetto dell’ambiente. In tutte queste cose l’Uomo potrebbe, anzi dovrebbe, svolgere il suo compito.

La Finanza Etica non è una finanza “altra”, ma è la vera continuazione di pensieri profondi da cui si è deviato per “quell’altra” finanza che sta producendo così tanti e grandi guai; non è la panacea di tutto, ma offre la possibilità di valutare le stesse realtà da ottiche diverse e di riportare l’Uomo a quella che è la sua caratteristica: essere amministratore e non proprietario assoluto del mondo.

Noi siamo a disposizione, senza la pretesa di voler insegnare alcunché: ma in questo periodo chi sono i docenti e chi i discenti? Credo che forse un po’ più d’umiltà da parte di tutti non guasterebbe, visto che – bene o male – bisogna ricominciare a pensare insieme un nuovo futuro economico.