LETTERA APERTA AL MINISTRO DELL’ISTRUZIONE, UNIVERSITÁ E RICERCA (di Paola Conti)


LETTERA APERTA AL MINISTRO DELL’ISTRUZIONE, UNIVERSITÁ E RICERCA



Gentile Ministro,

potrei cominciare dicendo che la scuola ha problemi diversi dal ripristino del grembiule, ma non lo farò proprio per il rispetto dovuto a quei problemi. Come i Suoi ultimi predecessori, anche Lei ha commesso un errore di prospettiva: il Ministro Moratti pensava di doversi occupare delle famiglie; il Ministro Fioroni credeva di doversi occupare dei ragazzi (sospinto anche dai numerosi episodi di cronaca); Lei ritiene che sia Suo dovere pensare a noi insegnanti. E alla scuola chi ci pensa?

Mi scusi se glielo ricordo, ma ci sono altri Suoi colleghi che si dovrebbero occupare di questi soggetti (Ministro della Funzione Pubblica, quello delle Politiche giovanili, quello degli Affari sociali). Lei è prima di tutto il Ministro della scuola: è ad essa che deve pensare, al suo funzionamento, alla sua organizzazione, alla sua qualità. E se per fare questo, talvolta è necessario scontentare alcune famiglie, una parte di studenti, la categoria dei docenti: pazienza! Non si può accontentare tutti. Quando si cerca di farlo, in genere si creano solo dei pasticci. Così il Ministro Moratti ha istituito l’anticipo, cercando di rispondere ad esigenze e bisogni presunti dei genitori e facendo un danno irreparabile alla scuola; così il Suo diretto predecessore ha emanato tutta una serie di circolari e norme volte a ripristinare serietà e ordine (recupero debiti, prove aggiuntive negli esami…) che hanno creato solo confusione e sconcerto; così Lei, nelle Sue prime dichiarazioni, richiede più impegno agli insegnanti, rivendicando per loro, al contempo, maggiori riconoscimenti di carriera e di stipendio. Mi perdoni il modo diretto con il quale glielo dico ma “Lasci perdere”.

Lei sa meglio di noi che non ci sono le risorse economiche per mantenere certe intenzioni. Dire poi che queste verranno reperite dai risparmi ottenuti dalle riduzioni di personale e dalle razionalizzazioni (chiusura di sezioni, classi, scuole) è come porgere una pala ad un condannato a morte e annunciare che può scavarsi la fossa delle dimensioni che vuole, per stare più comodo. Cosa potrei farmene di qualche euro in più di stipendio (ammesso e non concesso che venissero davvero utilizzati così) a fronte di un aumento del rapporto alunni/insegnanti, della cronica mancanza di strutture, materiali, strumenti, dell’aumento delle problematiche sociali cui devo far fronte senza il minimo supporto? Lei rilascia interviste nelle quali dichiara che la presenza di molti bambini stranieri nelle nostre classi non la preoccupa in quanto vi intravede una risorsa piuttosto che un problema. Anche io la penso così. Ma perché la “profezia” si avveri c’è bisogno di risorse, umane e materiali. C’è bisogno di compresenze in quelle classi perché quei bambini possano essere seguiti sin dalle prime fasi del loro inserimento, c’è bisogno di mediatori culturali che costruiscano ponti di relazioni con le famiglie, c’è bisogno di strumenti che facilitino la comunicazione dei saperi.

Lei è davvero convinta che si possa fare tutto questo in sezioni di scuola dell’infanzia di 28 bambini o in classi di scuola primaria di 25 o di scuola secondaria di 30 alunni? E contestualmente, pensa di aumentare le ore di permanenza e di mandare a regime l’anticipo nella scuola dell’infanzia senza potenziare gli organici, senza valutare le strutture esistenti? Ci pensi, Ministro, quando scriverà la prossima circolare sulle iscrizioni.

Ma Lei insiste nel parlare del ruolo dell’insegnante e ripristina il voto in condotta come strumento per riappropriarsi del controllo sulla classe, per ristabilire quell’ordine che sembra inesorabilmente perduto, se solo ci si affaccia su molti siti esposti nella rete. Non le pare un po’ semplicistica come risposta? Plauto, in una sua commedia, riferendosi a un tizio che non si trova più, fa dire ad un personaggio: «O è morto o fa il maestro!». Già, perché ai tempi di Plauto fare il maestro era un lavoro da schiavi e quindi era lecito accostare la sua situazione esistenziale a quella di un defunto, di qualcuno che, socialmente, non esisteva. Poi ci sono stati tempi in cui, quando passava un maestro (o perfino una maestra) per strada, le persone salutavano e si toglievano il cappello in segno di rispetto e considerazione. Chi ci ha ricacciato nella condizione di schiavitù? Di chi è la colpa di questo declino inarrestabile? Tutta e solo degli insegnanti? Possibile che si concentri, in virtù del caso, in questa categoria tutta l’ignoranza, l’incompetenza, la mancanza di deontologia professionale dell’universo mondo? No, gentile Ministro, non può essere e non è così.

Tutto questo è il frutto di politiche sbagliate, di scelte colpevoli fatte da chi avrebbe avuto il dovere di salvaguardare l’onorabilità della categoria per difendere la scuola della Repubblica. E invece sono dieci anni che non si bandisce un concorso ordinario per titoli ed esami e si continua ad assumere personale sulla base di criteri arbitrari, fortunosi, non trasparenti. Lei obietterà che il concorso non garantisce di per sé l’assunzione di buoni insegnanti; e questo è pur vero. Però istituisce un principio di uguaglianza di opportunità tra chi aspira alla professione, fissa (attraverso il programma di esame) alcuni indicatori di competenza che vengono richiesti, stabilisce che si debba studiare ed essere preparati. Negli ultimi anni si è assunto di tutto: precari “storici”, insegnanti di religione (che immancabilmente, dopo il passaggio in ruolo, hanno rinunciato a quell’insegnamento per entrare nei ruoli comuni) e chi più ne ha più ne metta. Che dire di quelli cui è consentito considerare l’insegnamento come una fonte di guadagno integrativo rispetto ad un altro lavoro, quello vero, più prestigioso e spesso più redditizio? E di quanti sono stati assunti in virtù di punteggi ottenuti per l’assistenza a familiari bisognosi e che poi vengono spediti a insegnare a centinaia di chilometri di distanza, o per invalidità che non consentirebbero neanche di lavorare in un centralino e ai quali vengono affidate classi di 25/28 ragazzini? Fra di loro ci sono sicuramente persone di valore, ma è un fatto assolutamente casuale, non voluto, non necessario.

Si dà l’impressione, cioè, (ma non è solo un’impressione), che per fare l’insegnante basti iscriversi in una graduatoria e poi aspettare più o meno pazientemente che la fortuna giri a tuo favore e che venga estratto l’anno in cui hai lavorato di più. E invece questo è un mestiere alto, complesso, difficile, che richiede una solida formazione teorica e un’altrettanto forte propensione alla ricerca. I maestri non fanno scuola: fanno la scuola. Più dei dirigenti, degli ispettori, dei ministri. Sono loro che proiettano gli individui verso il loro futuro, che ne orientano le scelte, che educano le intelligenze verso traguardi inizialmente insospettabili. O almeno, questo dovrebbero essere. Certo non ci può aspettare tanto da degli schiavi, da ombre confuse, strattonate da tutti, alla ricerca vana di un orizzonte di senso cui aggrapparsi. Sì, Ministro, perché anche questo manca; anzi, si fa di tutto per farlo mancare. Ho letto proprio oggi che nelle scuole lombarde si insegnerà la rianimazione cardiovascolare. Bravi! E poi? Perché non la tracheotomia o come prevenire l’insorgere delle verruche? E di insegnare a leggere e scrivere potrebbero occuparsi i volontari delle Misericordie! I ragazzi si schiantano con le auto il sabato sera? La colpa è della scuola ed è lei che deve rimediare con un apposito corso di educazione stradale. Le adolescenti rimangono incinte?

La responsabilità è della scuola e via ad un progetto di educazione alla sessualità consapevole. Scoppiano gli incendi d’estate? Perché non proporre un fantastico percorso di educazione ambientale? Non si sa dove mettere i bambini di due anni perché mancano i nidi? Mandiamoli a scuola! A questo si deve aggiungere l’incessante avvicendarsi di riforme e riformine più o meno epocali e storiche che piovono dal cielo senza che nessuno ne senta il bisogno o la necessità.

Che senso ha tutto questo? Sono davvero questi i compiti degli insegnanti? Ci avete trasformati in dilettanti allo sbaraglio, in bricoleurs più o meno entusiasti, in animatori disperati alla continua ricerca di “giochi di prestigio” capaci di “intrattenere” per qualche ora un pubblico distratto ed ostile; continuate ad offendere senza capire, ad insultare senza aver mai neanche provato ad ascoltare. Perché i ragazzi o i genitori dovrebbero aver rispetto di noi, se i ministri per primi dichiarano pubblicamente che siamo un mucchio di fannulloni incompetenti privi di qualunque coscienza professionale? A che può servire il sette in condotta in un clima di questo tipo? Perché vede, Gentile Ministro, io non sono mai stata tenera con la mia categoria: l’ho sempre trovata deludente e francamente indifendibile. Ma io posso dire questo, perché ogni mattina vado a scuola e sostituisco i colleghi che mancano, e organizzo le attività in modo che le classi non debbano essere divise, coordino progetti, reperisco il materiale, cerco di spiegare a genitori confusi come interpretare norme illogiche e incongruenti (per esempio che bambini di tre anni possono stare a scuola 50 ore a settimana, mentre per i loro fratellini di sei anni ne sono sufficienti 27).

Lei e i Suoi colleghi invece, non potete. Perché Lei dovrebbe essere la garante della difendibilità della categoria, perché è Lei che assume, è Lei che forma, è Lei che firma i contratti, è Lei la responsabile istituzionale della qualità della scuola. Lo so che “la congiuntura internazionale non è favorevole e che l’eredità del precedente governo è pesante” ( come vede, sto studiando da ministro anch’io), ma nessuno le chiede sforzi eroici. Intanto, invece di sparare nel mucchio, sarebbe interessante cominciare a distinguere. Quanti dei fondi stanziati dal Suo Ministero per i progetti e i Piani nazionali si “perdono” tra agenzie, comitati più o meno scientifici, esperti e coordinatori più o meno qualificati, e quanti vanno invece agli insegnanti che dovrebbero essere «i veri protagonisti dell’innovazione»?

Sarebbe bello che, oltre ad un’analisi approfondita delle carenze, si cominciasse a riflettere sul come sia possibile che le scuole di questo paese continuino il loro lavoro nonostante tutto, si cominciasse a discutere di come si insegnano le scienze, come si fa per far comprendere la matematica, per far amare la lingua e la poesia, come si risponde alla noia, al disagio, alla mancanza di orizzonti ideali all’interno dei quali crescere, all’interno dei quali costruire il proprio futuro. Un Ministro che invece di cercare di lasciare un segno di sé appiccicando il suo nome all’ennesima “rivoluzione” scolastica, stimolasse un dibattito serio e competente sul ruolo della scuola nel paese, coinvolgesse le energie e le intelligenze con l’obiettivo di creare un clima, una tensione costante, un’attenzione profonda sul mondo della scuola, è destinato a rimanere un’illusione? Ci dobbiamo rassegnare al chiacchiericcio sulle maestre pedofile, al pettegolezzo sulle prof riprese coi telefonini, a confrontarci e a dibattere sulle parodie della scuola, stile Amici di Maria De Filippi? Nel Suo discorso programmatico alla Commissione Cultura della Camera, Lei ci ha chiesto uno scatto d’orgoglio. Ci ha spronato a dimostrare che «non siamo cattivi come ci dipingono».

Gentile Ministro, io lavoro nella Scuola dell’Infanzia da venti anni e in questi venti anni non ho fatto altro che questo: essere orgogliosa del mio lavoro e cercare di dimostrare con i fatti, giorno per giorno, che quel lavoro aveva un senso e un valore. Ora basta: io sono stanca. Non ho più voglia di dimostrare niente a nessuno. Badi bene: non ho detto che non più voglia di lavorare nella scuola. Questa, inspiegabilmente, mi è rimasta. Continuerò ad andare a scuola ogni mattina, a lavorare con e per i bambini, con e per le famiglie, come ho sempre fatto. Ma senza retorica e senza pensare (come ingenuamente ho fatto in questi anni) che questo mio lavoro possa avere un senso più generale, che possa andare al di là e oltre quei bambini e quelle famiglie che ho davanti.

Però Le propongo una sfida e si tratta di qualcosa di semplice, mi creda. Lei è avvantaggiata rispetto ai Suoi predecessori perché io non mi aspetto nulla da Lei e quindi anche il più piccolo gesto, sarebbe sufficiente. Mi stupisca, Ministro: abbia Lei per prima uno scatto d’orgoglio, mi dimostri che la scuola Le sta a cuore almeno quanto a me, che non ha accettato un incarico così prestigioso solo per fare da graziosa cornice alle conferenze stampa del Presidente del Consiglio, insieme alle Sue avvenenti colleghe. Come Le ho detto, mi accontento di poco. Provi a dire (per esempio) che le norme contenute nell’articolo 64 della Legge Finanziaria sono necessarie anche se pesanti, ma che l’aumento  del rapporto alunni/docenti è assolutamente insostenibile perché non si può lavorare con trenta bambini dai tre ai sei anni, non si può insegnare a leggere e scrivere a ventisei bambini della scuola primaria, non si può combattere la dispersione in classi di più di trenta adolescenti. Si arrabbi, alzi la voce, minacci le dimissioni se non verrà cambiata la norma. Sappiamo entrambe che non La ascolterebbero e io non pretenderei certo che mantenesse la minaccia (in questo paese non si dimette mai nessuno) però sarebbe in bel gesto, un segnale di vita che mi riscuoterebbe dall’amarezza che mi pervade. Mi stupisca, Ministro, oppure taccia. Fino a qualche anno fa Le avrei chiesto di metterci nelle condizioni di lavorare, di aiutarci a lavorare meglio. Oggi Le chiedo solo di lasciarci in pace.

Paola Conti

Docente di scuola dell’infanzia dell’Istituto Comprensivo di San Gimignano