FINMECCANICA, MISSIONE BONTÁ


Non vorremmo annegare nella melassa inconcludente dei luoghi comuni. Ma vendere armi e allo stesso tempo raccogliere fondi di solidarietà per le vittime di quelle armi ha un senso? Non scricchiola, perlomeno, l’alfabeto etico? Per Finmeccanica, evidentemente no. Sta strombazzando da settimane sul suo sito, infatti, una nuova iniziativa in campo solidaristico, dal titolo enfatico: «Tecnologia e ricerca vestono la solidarietà», con sottotitolo: «Il Gruppo Finmeccanica per i bambini africani», con una bella foto stereotipata di bimbo sempre utile a creare assuefazione al conformismo pietistico.

Di che si tratta? L’holding armiera italiana, che ha chiuso i primi sei mesi dell’anno con un utile netto pari a 297 milioni di euro, ha deciso di realizzare un negozio virtuale creato per la commercializzazione del merchandising aziendale di tutte le società che fanno parte del gruppo Finmeccanica. Al momento si vendono capi di abbigliamento sportivo di una nota marca italiana. Tra un po’ saranno in commercio anche gadget, modellistica e altro ancora. Una parte dei ricavati sarà «destinato a un progetto che porta l’istruzione ai bambini africani, perché abbiano strumenti per contrastare un destino di emarginazione e disuguaglianza». Beneficiaria di questa campagna è l’ong inglese International Childcare Trust che si occupa di infanzia su scala internazionale.

Una pura operazione “cosmetica” e di immagine per l’holding italiana. La conferma che armi e solidarietà sono due mercati che tirano sempre. Già l’anno scorso Nigrizia puntò il dito sull’alleanza un po’ singolare tra Finmeccanica e la Comunità di Sant’Egidio, per progetti in Guinea. La notizia suscitò un po’ di clamore. Ci fu rinfacciato che è facile gonfiare i muscoli dell’indignazione e sparare (verbo caro a Finmeccanica) pallettoni di retorica. Intanto dei soldi «sporchi di sangue» stavano generando speranze e risolvendo problemi in Africa. Quindi nessuno è fuori luogo…

Sarà anche vero, ma a noi continua a risultare stridente che una società che si abbuffa nel mercato mondiale delle armi (vedi la recente acquisizione dell’americana Drs Technologies, azienda leader nel settore dell’elettronica per la difesa) debba poi purificarsi immergendosi nell’acqua profumata della charity. In Africa, la stessa che compare nelle foto di propaganda dell’iniziativa, società del gruppo Finmeccanica hanno chiuso, di recente, accordi col Kenya per la vendita di sistemi radar per un valore di 25 milioni circa di euro; hanno venduto aerei militari al Marocco per 130 milioni di euro; hanno vinto una commessa per 230 milioni di euro in Algeria e si sono buttate a capofitto sul mercato libico, straricco e bisognoso di armi per controllare il flusso dei migranti. Per citare solo gli ultimi affari.

«La solidarietà non ha confini. Non geografici, né politici, né religiosi», si legge sul sito di Finmeccanica. Ma qualche confine etico ci sarà pure?

Gianni Ballarini


Fonte: Nigrizia


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