FREI BETTO: «ALTERITÀ»

BEATI I COSTRUTTORI DI PACE

Beati i costruttori di pace

 

 

 

 

 

 

Murales dipinto nella Parrocchia di San Zeno di Colognola ai Colli (Vr) raffigurante otto testimoni di Pace: da sinistra: Mohandas Karamchard Gandhi – Mons. Oscar Arnulfo Romero – don Lorenzo Milani – don Tonino Bello. A destra: San Massimiliano Kolbe – Dietrich Bonhoeffer – Edith Stein e Leonardo Dallasega.

ALTERITA’

Cosa vuol dire alterità?

Vuol dire essere capace di capire l’altro in tutta la pienezza della sua dignità, dei suoi diritti e, soprattutto, della sua diversità. Quanto meno è presente l’alterità nelle relazioni interpersonali e sociali, tanto più frequenti sono, poi, i conflitti tra gli uomini. La nostra tendenza, molto spesso, è quella di colonizzare l’altro, a partire dal principio che siamo noi che sappiamo cosa insegnare all’altro. L’altro è colui che non sa niente. Noi sappiamo meglio e più di lui. Tutta la struttura scolastica del Brasile, molto criticata da un grande teorico brasiliano della Scienza della Educazione, il professore Paulo Freire, parte proprio da questa concezione dell’insegnamento, ossia, colui che fa il professore, insegna e coloro che sono gli alunni, imparano.

É evidente che noi sappiamo alcune cose e le persone che non sono andate mai a scuola ne sapranno tante altre. Ed é grazie a questo scambio di conoscenze, complementari, che si costituisce il vivere sociale. Riportando le parole di un operaio durante un corso di educazione popolare: «So che come tutti, non so tante cose». Nella società brasiliana, dove l’apartheid è ormai così ben strutturato, predomina la concezione che le persone addette ai lavori più duri, manuali, non sappiano niente, mentre noi, i laureati, siamo come gli angeli barocchi delle chiese di Bahia e di Minas Gerais (tutto testa e senza corpo) e quindi, non sappiamo cosa farne delle mani. Passiamo tanti anni a studiare e concludiamo con un dottorato in qualcosa, ma non sappiamo fare da mangiare, cucire, cambiare una presa di corrente elettrica o capire quale possa essere il difetto della nostra automobile… e ci consideriamo eruditi. E quel che è peggio ancora, non abbiamo equilibrio emozionale per saper convivere con le relazioni sociali di alterità.

Ecco perché ci sono state delle modifiche nei nuovi parametri di valutazione degli individui, partendo non più dalla capacità intellettiva, ma dalla capacità emotiva. Questo perché le aziende si sono rese conto che tra gli impiegati più qualificati ci sono tante persone psicologicamente infantili e incapaci di gestire i propri disagi, di discutere in modo corretto un qualsiasi argomento con i colleghi di lavoro, di accettare di mettersi in discussione e di riuscire a criticare in maniera costruttiva gli altri, anche i propri superiori. Ma non importa neanche parlare della nostra incapacità emozionale.

Per valutarci, basta guardare il modo con cui viviamo il rapporto di coppia e il nostro infantilismo acquisisce proporzioni enormi. Sarebbe bello se tutti i settori delle aziende potessero fare, periodicamente, una accurata valutazione dei loro dipendenti, senza escludere nessuno. Come ha fatto Gesù con i suoi discepoli, quando, una volta, riunendo tutti i dodici gli ha domandato: «Cosa pensano gli altri di me?» E, subito dopo ha aggiunto: «Cosa voi pensate di me?». Gesù è stato l’unico che, nella cultura occidentale ha meglio enfatizzato la radicale dignità e sacralità di ogni essere umano. Il paralitico, il cieco, il tardivo, l’inutile, il pescatore, tutti sono tempio vivo di Dio, l’immagine di Dio sulla terra. Questa è una eredità della tradizione ebraica.

Tutti gli esseri umani, e anche tutto il creato, dentro la prospettiva ebraica o cristiana, sono pieni di dignità. L’evangelista Paolo, nella Lettera ai Romani, dice: «Tutto il creato soffre le doglie del parto per la sua redenzione». In questo contesto, la nostra sfida è quella di riuscire a trasformare le cinque istituzioni basilari della nostra società: famiglia, scuola, Stato (spazio del potere pubblico, della pubblica amministrazione), Chiesa (gli spazi religiosi) e lavoro, in comunità di riscatto della cittadinanza e dell’esercizio di alterità democratica. Far sì che diventino quello che avrebbero dovuto essere da sempre: comunità. E comunità di alterità.

Per questo dobbiamo muoverci nella prospettiva della generosità, ma questa può esistere soltanto quando noi riusciamo a percepire l’altro e nell’altro, la sua peculiarità, partendo dalla relazione tra noi. Soltanto così saremmo capaci di stabilire una relazione con gli altri, attraverso l’unica via possibile, perché, al di fuori di questa, facciamo colonialismo, con la conseguente idea di farsi uguale all’altro o di pretenderlo uguale a noi. Si tratta della via dell’amore, se vogliamo utilizzare un’espressione evangelica; oppure la via del rispetto, se vogliamo utilizzare un’espressione etica; la via della conoscenza dei suoi diritti, se preferiamo un’espressione giuridica; la via del riscatto e della valorizzazione della sua dignità di essere umano, se vogliamo usare un’espressione morale. Tutto ciò, comunque presuppone la via più corta della comunicazione umana, che è il dialogo tra le persone e la loro capacità di capire l’altro a partire della sua esperienza di vita e della sua interiorità. ( Frei Betto )